giovedì 30 maggio 2019

Brightburn



In principio era “Il presagio”. Un bambino diabolico con un destino da compiere, e una serie di fatali incidenti che eliminavano quanti si mettevano sulla sua strada.
Oggi il male non è generato dal diavolo. Cade dal cielo, dalle stelle, sempre con le sembianze innocenti di un bambino. Non esita a sporcarsi le mani personalmente, e sovverte del tutto le aspettative messianiche che finora gli erano state attribuite. Non arriva per proteggere la terra, ma per conquistarla. Forse distruggerla.


Era nell'ordine naturale delle cose. Con lo sdoganamento definito dei supereroi sul grande schermo, che la loro versione al negativo volesse dire la sua, era soltanto questione di tempo. Ed ecco infatti arrivare “Brightburn”, film di David Yarovesky, prodotto da James Gunn e scritto dal fratello Brian in collaborazione con il cugine Mark (cose di famiglia, insomma). La rilettura al nero del mito di Superman non è una novità. Non lo è sicuramente nei fumetti, dove dimensioni alternative, storie immaginarie e variazioni sul tema hanno proliferato nel corso dei decenni. Su tutte, ricordiamo la serie “Irredimibile” (il titolo è tutto un programma) di Mark Waid, dove facciamo la conoscenza di un possibile Superman (qui chiamato il Plutoniano) che dopo essere stato per anni un eroe protettore della terra, perde la testa a causa dello stress e di una lunga catena di traumi, trasformandosi in un mostro onnipotente che dà inizio a una devastazione senza fine. E un Superman cattivo... ripetiamolo: Superman, l'Uomo d'Acciaio, più veloce di un proiettile, invulnerabile, fortissimo, che ti rintraccia ovunque solo sentendo il tuo battito cardiaco ed è in grado di ridurre tutto in cenere con uno sguardo... è un vero incubo. Dalla fantascienza avventurosa, quindi, si sconfina nell'horror, e l'eroe con superpoteri diventa il peggiore dei mostri possibili.


Se nel fumetto di Mark Waid tutto era già successo e una larga parte del racconto consisteva nello scoprire le ragioni della progressiva follia del protagonista, in “Brightburn” il discorso è più schematico. Il punto di partenza è quello canonico. Una coppia nel Kansas (ma qui la cittadina si chiama Brightburn invece che Smallville) fatica ad avere figli, finché una notte non cade dal cielo una navicella con dentro un bambino alieno.


Alieno. Una parola che nel caso di “Brightburn” andrebbe sottolineata più volte. Brandon Breyer (con l'allitterazione nel nome come Clark Kent) non ha bisogno di particolari traumi per sbroccare. I suoi genitori sono affettuosi, il contesto benevolo, e sporadici episodi di bullismo a scuola sono qualcosa di troppo blando per giustificare il suo veloce passaggio al lato oscuro. Una lezione di biologia all'inizio del film fornisce subito la chiave di lettura. Brandon è figlio di una stirpe che agisce come il cuculo, che mette il proprio uovo nel nido altrui affinché sia covato. E l'uccello intruso una volta rotto il guscio dimostra la sua vera natura di predatore.

Come già in passato (compresa la serie TV “Smallville”), un ruolo importante è svolto dalla navicella che ha portato il piccolo alieno sul nostro pianeta. Esiste un richiamo culturale che induce Brandon ad abbracciare il suo retaggio e a considerare, una volta raggiunta la pubertà, i terrestri come esseri fragili e prescindibili, che possono essere schiacciati come insetti non appena diventano inutili o appena molesti. L'assenza di empatia della natura di Brandon è il motore di tutto. Nel nuovo millennio, gli alieni non sono più buoni. Non sono E.T. E non sono nemmeno Superman. La scena post credito parla chiaro. Il superuomo qui è visto come l'avvento di una nuova generazione che probabilmente spazzerà via quanto rimasto del vecchio mondo, della sua storia e delle sue pretese di civiltà. In funzione di cosa non è dato sapere, ma l'orizzonte non è roseo e annuncia solo devastazione.

Il film di Yarovesky (irresponsabilmente intitolato dalla distribuzione italiana: “L'angelo del male”, come l'edizione nostrana di “La Bête humaine” di Jean Renoir del 1938 e come l'horror “The Prophecy II”, segno di grande originalità e rispetto per la storia del cinema) scorre bene e riesce a essere discretamente inquietante. Grazie anche al volto (di per sé già alieno) del giovanissimo attore Jackson A. Dunn. Il film ha qualche pecca sul piano logico e della costruzione di alcuni personaggi. La scoperta dei poteri di Brandon è forse troppo veloce, e risulta inverosimile che certi danni compiuti dal piccolo alieno non attirino l'attenzione dei genitori adottivi molto prima. La conduzione in stile slasher, però, funziona, e si giova di alcune sequenze gore realmente disturbanti. Il travestimento ideato da Brandon per le sue scorribande malefiche diventerà sicuramente un'icona. E chissà che non ci aspetti un sequel o un nuovo universo narrativo. Tutto dedicato, stavolta, a esplorare una versione distorta, negativa e malvagia di quelli che chiamiamo supereroi.

Adesso, però, sarebbe auspicabile una serie televisiva basata su “Irredimibile”. I tempi sono maturi e così il mezzo televisivo. Riscoprire un Superman che diventa lentamente malvagio in un'esplosione di follia e crudeltà, sarebbe una ghiotta occasione per un prodotto audiovisivo in linea con un mondo sempre più disincantato, in cui ormai si guarda con sospetto e paura anche chi un tempo immaginavamo come eroe.

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