mercoledì 12 settembre 2018

Rain Bus


Viaggiavamo su un autobus, discretamente affollato. Non che ci volesse molto. Era una di quelle vetture piccole, che danno l'idea di essere una specie di taxi allargato. Saremo stati una ventina di persone tra quelle in piedi e i passeggeri seduti. La vettura era vecchia e si vedeva. Non brillava certo per il suo lindore, e i segni del tempo non potevano essere ignorati. Il problema più serio lo dava il tetto del bus. Sfondato al punto di essere praticamente assente. Una vettura scoperchiata, un rudere prossimo alla rottamazione che nonostante tutto marciava e sembrava risoluto a fare il suo dovere fino in fondo. La pioggia battente era il vero dramma. Torrenziale, invasiva. Tanto che avrebbe potuto allagare il bus, se qualcuno non avesse pensato di incastrare un grande ombrello in quella volta sfondata che un tempo era stata il tetto della vettura. Un ombrello davvero grande. Insolito nel suo provvidenziale gigantismo, di colore giallino chiaro che lasciava intuire in trasparenza i colpi delle intemperie. La pioggia lo martellava duramente, ma noi eravamo al sicuro. Lo scroscio accompagnava il cammino del bus fermata dopo fermata, le rade gocce d'acqua che sfuggivano non erano sufficienti a incrinare la regolarità del viaggio. Dal canto mio, sapevo di dover scendere alla penultima fermata e ringraziavo la sorte per la presenza di quella sia pure raffazzonata protezione. Raggiungemmo infine la periferia. La vettura si fermò appena dopo l'incrocio e aprì le bussole per lasciare scendere chi era giunto a destinazione. Fu in quel momento che una signora di mezza età, bionda e dall'aria giuliva, agguantò il manico dell'ombrello. Lo chiuse con un gesto rapido sfilandolo dal telaio della vettura e scese dal bus sorridendo. Improvvisamente flagellati dalla pioggia furiosa, i passeggeri ancora in viaggio iniziarono a imprecare. Lo stesso autista s'era quasi piegato in due, curvo sul volante per sopportare il peso di quella scarica d'acqua cui non poteva sottrarsi a causa della sua incombenza lavorativa. Presto il bus prese ad allagarsi mentre i passeggeri in tumulto cozzavano vocianti l'uno contro l'altro. Una voce tentò invano di essere accomodante. «Che volete farci? L'ombrello era suo. Doveva scendere e basta.» Zuppo come un pulcino, mi rivolsi all'autista per chiedergli di avvisarmi quando ci saremmo avvicinati alla penultima fermata del tragitto. Il povero diavolo, fradicio a sua volta, annuì stillando acqua dai capelli mentre le dita livide stringevano il volante come il collo di una vittima che avrebbe amato strangolare. Il vecchio piccolo bus continuò il suo viaggio nella pioggia. Ecco i sogni che faccio. Ecco cosa succede ad addormentarsi ascoltando suoni ASMR con la pioggia.

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