lunedì 17 novembre 2014

Andiamo a quel paese


Il duo comico palermitano, Salvo Ficarra e Valentino Picone, famosi per avere esportato al cinema la loro sicilianità con i film Nati Stanchi, Il 7 e l'8, La matassa e Anche se è amore non si vede, con quest'ultima fatica cinematografica, Andiamo a quel paese, inscenano una straordinaria commedia all'italiana, e mi sembra doveroso, senza fare paragoni improponibili, citare un grande del cinema italiano come Mario Monicelli che scriveva: «La commedia all'italiana è questo: trattare con termini comici, divertenti, ironici, umoristici, degli argomenti che sono invece drammatici. È questo che distingue la commedia all'italiana da tutte le altre commedie.»

Infatti, Andiamo a quel paese è la storia di Valentino e Salvo, disoccupati in cerca di fortuna e magari di una raccomandazione,che lasciano il capoluogo siciliano per un paese dell'entroterra del Siracusano, dove Valentino è nato e ha piantato la donna che fin da ragazzino aveva sempre desiderato avere. La situazione a Monteforte non è però rosea. La gente mormora, tra la piazza, il parroco (un'encomiabile interprestazione di Mariano Rigillo, il bar (dove riconosciamo Toti e Totino), il barbiere (interpretato da Nino Frassica) e il brigadiere dei Carabinieri (Francesco Paolantoni). La totale assenza di un lavoro e l'eta' avanzata dei paesani ispira Salvo, che risolve di (soprav)vivere con la pensione della suocera e di ogni zio e zia provvisto di “utile”, ovvero: "Una pensione e' per sempre". Cosi gli zii, accolti in casa, delegano il ritiro delle pensioni a Salvo e Valentino, che comprano la prima auto nuova e provano a godersi il quotidiano. Ma uno dopo l'altro gli ospiti senili, per incidenti domestici o intossicazioni alimentari, passano a miglior vita. Ed è così che Salvo finisce col convincere Valentino a sposare la zia Lucia, ultrasettantenne, per potersi godere la pensione anche dopo il trapasso dell'"amata" parente.


Ed e' proprio a questo punto che il film prende lo slancio di una vera e nostalgica commedia all'italiana, in un contesto unico e nostrano, con battute esilaranti, mormorii dei paesani e stupori e dissapori generali. Ma anche di altri giovani disoccupati in cerca di qualche arzilla vecchietta dalla pensione d'oro da plagiare per convogliare a giuste nozze. Per i due attori e registi palermitani "nati stanchi", inizia e finisce una prova entusiasmante in vero stile comico nazional-popolare, e il duo dimostra una generosità attoriale cui si deve tanto di cappello, tale da trasmettere allo spettatore una spensieratezza e un divertimento assoluto.
C'è la battuta frequente e c'è la voglia di andare oltre la semplice commedia, spingendosi in quei territori – grazie alle location siciliane - che la grande scuola del cinema italiano degli anni '60 ha consacrato nella commedia all'italiana.


Questo film conferma il talento e la blasonata solidità del duo comico, egregi paladini siciliani, grande linfa vitale, due invenzioni magistrali capaci di far sorridere con una comicità pulita, garbata e finalmente senza avvalersi delle solite scene banali e sguaiate. L'Unica pecca da riscontrare sono i dialoghi in alcune scene, troppo eccessivi e sopra le righe come se servissero a coprire i limiti narrativi della sceneggiatura, e la colonna sonora quasi identica al precedente Il 7 e l'8. Ma in linea di massima la prova di Ficarra e Picone è ammirevole per la capacità di raccontare una storia tragicomica. Il finale lascia lo spettatore con una riflessione :"Le cose sono vecchie... le persone sono anziane..." in poche parole gli anziani sono ancora utili alla nostra società e non solo per " mangiarsi" la pensione.
Mitico far scorrere i titoli di coda del film con la famosa canzone di Albertone Sordi: Te c'hanno mai mannato a quel paese? Sapessi quanta gente che ce sta...
Buona visione.

[Recensione di Salvo D'Apolito]

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