Se
 disegnare non mi costasse così tanta fatica, se riuscissi a non perdere
 così tanto tempo su ogni stramaledetta, singola tavola... Beh, sì! Me 
ne fotterei. Non importerebbe più di tanto se il risultato finale è più 
"simpatico" che davvero professionale. Penso che probabilmente produrrei
 molti fumetti in più. Il vero problema è che semplicemente... non ce la
 faccio. Su ogni singola pagina sudo, bestemmio, rifaccio daccapo... 
chiedo consiglio, prendo aspirine, carta bollata, sedute di psicanalisi,
 interrogazioni parlamentari, terapie del sonno, esaurimenti, file 
all'ufficio di collocamento, risse in taverna, messe da requiem e 
maratone da fare invidia alle notti precedenti agli esami di maturità. 
Ho un'età, devo arrendermi a questa evidenza e scegliere quale strada 
intraprendere. Il fatto è che disegnare mi piace... Ma cavolo! 
Evidentemente non abbastanza. Non abbastanza da impegnarmi a studiare, 
non abbastanza da perseverare più di tanto. E poi... vogliamo dirlo. Io 
sono uno... 
che scrive. Non voglio imbrodarmi, e non mi definisco
 uno "scrittore". Sono uno cui piace scrivere, questo sì. Tanto. Come 
potrei non ammetterlo? Sarebbe come negare la propria calvizie, il 
proprio peso corporeo o il colore degli occhi. Sono un maledetto 
scrivente. Un troll della penna. Un fottuto grafomane. Un vomitatore di 
parole. Insomma, fate voi.
Il perno della questione è che mi piace 
creare personaggi e raccontare storie, giocare con le parole e con i feticci dei fumetti. Parlare, insomma,
 di fumetti usando i fumetti stessi come veicolo, e una serie di 
espedienti surreali per progredire nell'argomento capitolo dopo 
capitolo. Tanto tempo fa buttai giù questo esperimento. Poi non se ne fece nulla, ma a me piacque immaginare questo 
inizio. Una soggettiva in cui l'autore (aspirante fumettista) si trovava
 a camminare su una banchina costituita da balloon, e a bussare a quella
 che sembra essere la porta del Cielo. Ad aprirgli è un dio poco 
conciliante, una sorta di 
Yellow Kid
 invecchiato e arcigno sul cui abito compare quel che sta pensando 
(spesso anche peggio di quel che dice). Una divinità del fumetto che 
adombra le regole sfuggenti e spesso discutibili dell'editoria. Un totem
 della fantasia ufficiale, istituzionalizzata, che nel procedere del 
racconto sarebbe stato abbattuto. Per la precisione decapitato, causando
 un diluvio universale di sangue color inchiostro da cui si sarebbero 
sviluppati i capitoli successivi. 
intrecci. E che mi riesce molto più naturale fare questo che non 
disegnare. Sprofondare nella palude del disegno seriale, nel senso di 
produrre (tutto da solo) una serie a fumetti che aspiri ad avere una 
certa regolarità, in parole povere mi ammazza. Mi sfianca fisicamente, 
mentalmente, e sottrae tempo prezioso
 alle mie attività di recensore, narratore, blogger e quant'altro. Tutte
 cose che adoro fare e che - sono convinto - mi riescono meglio del 
disegno. Le tavole in questo post dovevano essere il prologo per un 
saggio (a fumetti) sui supereroi e sulla loro evoluzione attraverso la 
storia dell'editoria e i mutamenti sociali. Tutto nasceva da una serie 
di conversazioni tra amici (un po' nerd, ok) che accarezzavano l'idea 
(mai veramente realizzata) di scrivere un libro a più mani proprio su 
questo tema. La mia proposta era stata quella di affrontare l'argomento 
con il medesimo strumento usato da 
Lo realizzerò mai? Completerò mai qualcosa? Qualcuno lo completerà con me? Chi può dirlo?
Se non ve ne foste accorti, ho ancora tanta 
dannata voglia di 
scrivere. Chiaro?
 
A me piace anche come disegni, ma so che dirtelo, o non dirtelo, non serve a nulla :)
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