domenica 3 novembre 2013

Linea 103: Nord e Sud


Palermo. Linea 103. Capolinea.

Come sempre, la vettura è quasi vuota.
Nel prendere posto, incontro uno degli autisti che, in attesa di partire, conversa con un giovane immigrato, forse indiano. I toni del discorso sono rozzi, ma tra i due non c’è vera tensione. So dai viaggi precedenti che il giovane è un passeggero abituale del bus, conosciuto dalla maggior parte degli autisti che, di norma, lo trattano in modo amichevole, sebbene paternalistico.

- Devi piantarla di addormentarti sull’autobus, capito?
- Ma... io... stanco...
- Non importa, devi restare sveglio. Se me lo combini un’altra volta, ti arriva una secchiata d’acqua. Poi non dire che non ti ho avvertito.
- Ma io... sonno...
- Se dormi, e mi capita di fare una frenata brusca... Ti sfasci il muso per terra, capito?! E la responsabilità è mia. Quindi non azzardarti a dormire. Giuro. Se ti becco un’altra volta a russare, la doccia ti faccio.

Dalla bussola aperta sale un nuovo passeggero. Si tratta di una donna di mezza età, biondastra, dinoccolata, ben vestita. Anche lei visibilmente assonnata. Si rivolge all’autista con un marcato accento emiliano.

- Mi scuuusiii, dovrei andaaare al palaaazzo del reeeettoraaato. Lo Steri di Paleeermooo. Questa liiinea ci va, veeero?

L’autista esita un attimo. Tenta di rammentare dove si trovi esattamente il rettorato. Suggerisco istintivamente.

- E’ a piazza Marina.

La signora conferma.

- Mo siiì, è là deeevo andaaare.

L’autista sorride.

- Che vuole farci? Sono un po’ ignorante.

Torna a conversare con il giovane indiano e a raccomandargli di non addormentarsi. Il tono della conversazione si fa sempre più scherzoso. Anche troppo.

- Non dormire, intesi. Io ti controllo. Lo vedo che stai per chiudere gli occhi.
- Cooome tra poooco farò anch’iiio.

A parlare è stata la signora del Nord. Si mette a sedere palesando torpore.

- C’è un conveeegno allo Steeeri. Oggi dovrebbe finiiire. Mo sooono stanca anch’iiio. Tra poooco potrei cadere addormentaaata come quel ragaaazzo.

- E’ un bravo ragazzo, signora. E’ impiegato. Ed è sposino. Di giorno lavora. La notte fa... il suo dovere. Mi sembra chiaro che abbia sonno. Ma tu non azzardarti a dormire, sai! Nel caso della signora chiuderei un occhio. Perché è una turista... Ed è un caso eccezionale... Ma tu non provarci...

- Ah! Mo da cooosa l’ha capiiiiiito che sooono una tuuuriiista.

Seguono vaghi convenevoli, che ci spiegano che la signora è di Bologna, che si trova a Palermo da qualche giorno per seguire un convegno medico. Si parla delle attrazioni della città. La signora del Nord ha fatto un piccolo tour con degli amici, ma è davvero assonnata e non sembra gran che entusiasta.

- Sì. Ieri seeera a Mondello, ovviameeeenteee. M’han fatto vedeeere questo, quest’aaaltro. Per mangiare, ieeeri c’era il catering del conveegno. Mo staseeera nooo. Andremo fuooori do qualche paaarteee.

- E cci piace a Sicilia, signò.

Brevissima, stranissima pausa. Giusto il tempo che ci vuole a un neurone per ruttare.
La sciura sbadiglia, stiracchiandosi sul sedile.

- Le diiirò. Per meee... la Siciliaaaa... un terremooooto, un mareeemoooto, ci vorreeebbe, che la facesse scivolaaare fino alle coooste dell’Africa. Dovrebbe finire E RESTARE lì, la Siciiiiliaaa.

E’ seguito un istante di gelo. L’autista e io ci siamo scambiati un rapidissimo sguardo fatto di sconcerto, imbarazzo e (almeno dal mio punto di vista) disgusto. Ma la “signora” non aveva ancora finito di farsi conoscere.

- A meee piacciono gli uomini che lavooorano. Non quelli che alle 14 hanno già finito e non fanno più un caaazzooo.

E sì, perché la sciura biondastra, slavata, dinoccolata, ben vestita e pure laureata, oltre ad avere becere uscite razziste, ha anche spesso il cazzo in bocca. Pure un bel “minchia” a un certo punto fa la sua comparsa sbarazzina su quelle impunite labbra dipinte.

- Perché quiii non faaate una miiinchia, e vi fooottete tutti i nooostri soooldi.

L’autista sogghigna. Si trova sul luogo di lavoro, deve pensarci bene prima di prendere di petto un utente del servizio.

- Emmm... Noi qui... lavoriamo tutto il giorno. Quindi... dovremmo essere a posto.

La sciura fa spallucce e si dispone come se volesse davvero lasciarsi andare e dormire durante il viaggio. Mi chiedo se è il caso di dire qualcosa. Magari una battuta bruciante. Ma siamo ancora al capolinea, mi tocca fare tutto il viaggio con questa creatura seduta vicino e non ho nessuna voglia di far partire un dibattito che non porterà altro che frustrazione. Però ho come un presentimento, gli sviluppi di questo teatrino promettono di essere interessanti. Così scelgo di attendere, e osservare. L’autista ha assunto un atteggiamento difficile da decifrare. Sembra tra l’imbarazzato e il divertito, con una punta di stizza. La butta sui luoghi comuni, ridacchiando.

- A nuatri invece PIACCIONO le bolognesi, signò. Io ci avissi proprio voglia di mangiare un beddu piatto di gnocchi alla bolognese. Ma dove andare per trovarli buoni?

La “signora” ovviamente non ha dubbi.

- Mo a Bolooognaaa, mio caaaro.

Intanto s’è fatta l’ora della partenza. Il bus si muove. Il giovane indiano sta veramente per addormentarsi. La “signora” non è da meno. Presto socchiude gli occhi. Mi scopro a pensare che non le ho visto obliterare il biglietto. Certo, potrebbe essere abbonata, o avere in borsa un ticket ancora valido da una precedente corsa. Eppure chissà perché la sua stucchevole volgarità di leghista impudente mi fa attendere un colpo di scena. Uno sviluppo ideale. Qualcosa che darebbe un senso al mio silenzio, alla mia attesa cinese per le sorti del nemico e allo stomachevole frangente tutto.

Attraversiamo il centro. Superato il Teatro Massimo, un sonoro: “Buon pomeriggio, signori” segnala l’ingresso in vettura di due controllori. Durante il tragitto, il 103 non si riempie mai molto, e il controllo si svolge rapidamente, in questo caso senza incidenti. Almeno finché la sciura non riapre gli occhi, si rizza a sedere, e comincia a frugare nella borsa in modo convulso.

- Mooo tu guaaarda! Non trooovo piiù il miiio biglieeetto. Mo le assiiicurooo. Sono saliiita poooco faaa.

Bugia.
La rea colta in fallo cerca istintivamente la connivenza dell’autista.

- Mi ha visto, lei, mentre faceeevo il biglieeetto.

Altra bugia.

L’autista, senza togliere gli occhi dalla strada, accenna un vaghissimo, assenso (si suppone per generico cavalierato o per l’ancor più generico modus palermitano: “Iu un sugnu spiuni”). Ma mentre la “signora” continua a cercare nella borsa e a lagnarsi per aver perso il biglietto appena fatto, lui sogghigna, agita la mano destra tenendo dritti indice e pollice, e sospira: “Un ci l’avi”.

Non resisto. Mi accosto all’autista. Lui intuisce cosa sto pensando e mi rivolge un sorriso sardonico. Gli bisbiglio:

- Giusto per sfogarmi... Per lei la Sicilia dovrebbe scivolare fino all’Africa... Ma viaggiare sugli autobus di Palermo, senza pagare biglietto come un immigrato nullatenente, sembra le piaccia.

I controllori hanno chiesto alla “signora” di esibire un documento e stanno già redigendo il verbale per emettere la multa (salata) che tocca ai passeggeri trovati sprovvisti di biglietto. Mi scopro a pensare che è un toccasana, per una volta, vedere applicare la procedura a questa stronza invece che a uno dei soliti extracomunitari. Il controllore più giovane ha notato il mio scambio di battute con l’autista e gli prende la fregola di inquisirmi.

- Qual è il suo problema?
- Nessuno, pensi un po’.
- No, mi dica. Vuol parlarmi di qualcosa?

E’ chiaro che l’amico ha interpretato il mio rivugghio come insofferenza nei confronti del controllo (in realtà, per una volta, mi trovavo a godere di un piacere sadico nel vedere multare qualcuno).
Dal posto di guida interviene l’autista.

- Niente di serio. Io e il signore avevamo un discorso aperto dal capolinea.
- Ah, ok.

Il giovane sceriffo si fa finalmente persuaso che non sono un pericoloso oppositore del sistema. Si scusa e torna a occuparsi della “signora”.

- Con la ricevuta della multa, signora, può viaggiare. Se dovesse, più tardi, ritrovare il biglietto, potrà contestare la contravvenzione.

- Mooo siiì, graaazieee.

Era chiaro che non avrebbe potuto.


A pochi passi dallo Steri, e dal convegno di medicina cui quella caricatura laureata era diretta, scendo sentendomi un po’ più leggero. Giusto un pochino.

Trovo la dinamica di questo episodio drammaturgicamente esemplare, neppure fosse stato un copione scritto per uno sketch satirico. Il razzismo è sempre sintomo di un infimo livello intellettuale, e questo a dispetto di qualunque teoria o orpello ideologico voglia ammantarsi. La sciura bolognese di cui sopra era probabilmente un’elettrice della Lega Nord, ma questo non è sufficiente a qualificare né il suo personaggio né lo spettacolo miserrimo che ha offerto su un autobus di Palermo. Performance, didascalicamente introdotta dal greve prologo che aveva visto come protagonista un giovane immigrato.

Si può essere leghisti... O meglio... Va bene! Non capisco fino in fondo come si possa esserlo, OK, lo ammetto. Ma diciamo che posso concepire l’esistenza di una visione politica opposta alla mia. Eppure qui, parlare di orientamento politico non basta. La battuta sul terremoto e il provvidenziale slittamento della Sicilia lontano dall’Italia, starebbe bene recitata tra bifolchi in un’osteria del Nord. Qui è una signora (docente o ricercatrice universitaria) in terra di Sicilia, che rivolgendosi agli autoctoni non frena il suo rigurgito razzista, intavolando una conversazione che non solo esprime un capacità di elaborazione perlomeno rozza, ma soprattutto una maleducazione di proporzioni costernanti. Per non parlare dell’idiozia di fondo di chi ritiene di essere toco lasciando libero di spurgare senza selezione qualunque liquame stia ribollendo nell’angusto spazio della sua testa.

Ma parliamo del biglietto... Quel biglietto assente, non pagato e non obliterato, che è costato una multa a questa fine pensatrice. Quel biglietto assente che tanto spesso causa guai (contravvenzione, identificazione in polizia, pubblica umiliazione) a tanti immigrati. Anche se tecnicamente in difetto, in molti casi è lecito pensare che alla base del mancato pagamento da parte di certi individui ci sia una realtà di miseria, un lavoro sicuramente in nero e un goffo tentativo di risparmiare sulle piccole spese, come il biglietto del bus, appunto. Chi ruba per fame e chi per capriccio, forse andranno inevitabilmente incontro alla stessa sanzione legale, ma non certo allo stesso giudizio morale. Di sicuro, non il mio.

Non accetterò mai di mettere sullo stesso piano extracomunitari in palese difficoltà e italiani benestanti. Gente come questa dinoccolata, annoiata e razzista dottoressa bolognese, che si risciacqua la bocca sentenziando sulla Sicilia e sui suoi ignavi abitanti, per poi non pagare il biglietto, incappare nel controllo, far scena e cuccarsi una meritata multa. Esattamente come uno dei tanti immigrati, quotidianamente sorpresi e puntualmente sifonati dagli impiegati dell’azienda.

Una figura di merda. Esemplare nella sua boriosa condotta, che sfoggia una svenevole superiorità culturale per poi cadere rovinosamente con il culo per terra, dimostrando di spregiare le regole, e di saper mentire anche davanti all’evidenza, come un autentico pezzente.

Negli studi antropologici, insegnano a usare la parola etnocentrismo. Termine che indica un atteggiamento che il sociologo o lo studioso di tradizioni popolari deve assolutamente evitare. Quello di rapportarsi ad altre etnie usando come strumento di paragone il proprio retaggio culturale, istintivamente vissuto come il migliore possibile. Un sinonimo neutro per indicare un concetto molto prossimo a quello di razzismo. Peccato che al giorno d’oggi tanta gente frequenti l’Università, consegua dottorati e intervenga a convegni, conservando un tale livello di arretratezza e volgarità. Qualcosa che dovrebbe ricordare a noi italiani del Sud e del Nord, che potrebbe bastare spingersi non troppo lontano per sentirci apostrofare nel medesimo modo riservato agli immigrati che arrivano nel nostro paese.

Tutto sommato ci andrei anche a vivere in Africa. Restare solo con gli italiani... con certi italiani, può essere davvero dura. Adesso ho capito perché nel sentire la sciura snocciolare le sue stronzate mi ha causato una paralisi delle corde vocali.
Per certe cose non esistono parole. Lo aveva capito ed espresso molto bene lo scrittore marocchino Tahar Ben Jelloun, nel suo libro “Il razzismo spiegato a mia figlia” (Le racisme expliqué à ma fille), con le parole conclusive di quel bellissimo romanzo-dialogo affidate alla voce innocente di una bambina di dieci anni:

«Adesso dirò una brutta parola, papà. Il razzista è un porco.»
«Non è una parola abbastanza brutta, figlia mia.»



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