Dave Lizewski è un giovane nerd americano come tanti. Vive con il padre vedovo, frequenta la scuola, coltiva fantasie erotiche su insegnanti e compagne. Non è popolare tra i coetanei, e divora letteralmente quintali di fumetti. Gli stessi che chiunque può sfogliare nel mondo reale. Spider-Man e gli X-Men vivono nelle fantasie di Dave contaminando la sua psiche di adolescente come un insidioso virus. Per una volta, non ci saranno ragni radioattivi, né raggi cosmici, e neppure traumi infantili che spingono verso un destino epico. Ma Dave ormai ha deciso. Diventerà un supereroe. Il primo eroe in tuta, carne e ossa. Dopo anni di letture a fumetti ne sa più di chiunque altro, e... cazzo se ci riuscirà!
Mark Millar non è un genio.
Un'affermazione che farà infuriare l'armata di imberbi bulli che lo ha venerato nell'ultimo decennio, suggendo avidamente la sua arte dai primi numeri di Ultimates, sulla miniserie Civil War e sul sopravvalutato Wanted. Altra bestemmia: Mark Millar non è neppure troppo versatile. Il suo linguaggio è diventato in fretta più che
prevedibile, e le sue provocazioni sono state spesso d'accatto, senza peso reale, come un troll internautico volto a far leva su passioni forti, pensato giusto per provocare gli ingenui sul web. Quel che Millar ha saputo fare veramente bene, è stato trasformarsi nell'uomo di punta di un trend che ha rilanciato il fumetto supereroistico negli ultimi anni, introducendo – dopo il lungo capitolo del revisionismo – l'età del cinismo, della vioenza e degli eroi corrotti. Dall'Authority ideato da Warren Ellis ai Vendicatori rivisitati di Ultimates, l'autore Millar si è identificato con il nuovo stile dei fumetti cui ha lavorato, cogliendo i frutti di una stagione commerciale fruttuosa e di un registro narrativo che ha bucato la pagina e germinato nell'immaginario dei lettori, prima di imboccare l'inevitabile strada della ripetitività.
Questo fino a Kick-Ass, quello che potremmo definire il fumetto di supereroi definitivo secondo la poetica crudele di Mark Millar. Ma anche un momento di crescita, in cui il sangue, il turpiloquio e la volgarità trovano finalmente una vera ragion d'essere, e sbocciano in un racconto paradossale, dinamico e divertente. Basta con supereroi d'annata da svecchiare facendo loro calare le brache. Basta con visioni criminali che più dei supereroi ricordano i deliri erotici del marchese De Sade. Mark Millar è infine diventato grande. Ha capito che i supereroi non esistono. Che non possono esistere, e che non esisterebbero neppure quelli toccati dal suo trucido restyling, nonostante il tempo speso a persuaderci di essere supereroi “realistici”. Con Kick-Ass si torna veramente con i piedi per terra, e gli eroi in tuta vengono ricollocati là dove si trovano più a loro agio: nei fumetti. In questa metropoli non si corre più veloce della luce, non si sfreccia nel cielo sfiorando i grattacieli, non si tessono ragnatele, e le pallottole, i pugni fanno male. Dannatamente male...
Se pure ha indossato i pantaloni lunghi, Mr. Millar pensa bene di lasciare la patta diligentemente sbottonata. Il suo target d'elezione non gli perdonerebbe un drastico cambiamento di registro. I dialoghi di Kick-Ass sono sicuramente tra i più sboccati degli ultimi anni, ma l'atmosfera pulp, ammiccante a un'estetica cinematografica vicina a quella di Quentin Tarantino, li rende funzionali al vero obiettivo di questo fumetto. Essere un gigantesco sberleffo ai supereroi, ma sopratutto alle fantasie infantili che tutti abbiamo vissuto. Lo stesso vale per la violenza, ultrasplatter e grottesca come non si vedeva da tempo. Il fantasma del Coyote della Warner

Il vero protagonista di Kick-Ass, dunque, non è Dave, e nemmeno il supereroe di cui vestirà i panni. Protagonista del fumetto di Millar, per quanto trasfigurata, è la realtà urbana. Quella amara, quella ironica che ci fa scappare una risata anche quando avremmo voglia di piangere o urlare. Quella che ci bacchetta dolorosamente quando lasciamo che i sogni prendano troppo spazio nel nostro vivere quotidiano.
Un'altra eresia, stavolta di ispirazione letteraria. Che probabilmente non piacerà tanto agli ammiratori di Millar quanto ai suoi detrattori. Con Dave Lizewski, Mr. Millar ha portato sulla carta la sua personale Madame Bovary. Mette in scena, cioè, un personaggio la cui vita non presenta alcuna ragione di entusiasmo. Una persona totalmente assorbita dalle proprie letture e dal desiderio di trasformarle in realtà, forzando gli eventi fino alla tragedia. Ma ci rammenta anche una celebre eroina del teatro di Henrik Ibsen, che non riuscendo a evadere da una vita anonima neppure mettendo in atto machiavelliche malvagità, si trova a dire sconsolata: «E' terribile! Volgarità e ridicolo infettano come una maledizione tutto ciò che tocco».
E così succede a Kick-Ass, improvvisato supereroe newyorkese, troppo cocciuto per arrendersi, troppo stupido per aprire veramente gli occhi. Ma il mondo reale non è meno malato di quello che tribola sulle tavole a fumetti. Forse lo è anche di più, e una generazione di supereroi fai da te inizia a seguire le orme del


Il successo in patria di Kick-Ass ha subito ispirato un film di prossima distribuzione (pronto ancora prima che la miniserie originale completasse le uscite) diretto da quel Matthew Vaughn cui già dobbiamo la trasposizione su schermo dello Stardust di Neil Gaiman. Il volume edito da Panini, insolitamente smilzo, è il primo di una serie di due che sarebbe entrata comodamente in un unico libro. Le ragioni di questa scelta commerciale sono probabilmente da ricercare nella prossima

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