martedì 6 gennaio 2004

Gengoroh Tagame: Orsi all'inferno

Per parlare dell'opera di Gengoroh Tagame, è inevitabile contestualizzarla alla cultura erotica e popolare del Giappone, con tutto ciò che questo approccio comporta. Tagame è sicuramente un grande illustratore, padrone dell'anatomia e dei chiaroscuri come pochi mangaka  sono. I suoi disegni spaziano dalla computer art, all'illustrazione a matita, al dipinto, per non parlare di una cospicua produzione fumettistica (della quale il nostro paese ha visto tradurre solo una minima parte) che colloca l'autore tra gli artisti più apprezzati nell'ambito di quell'espressione artistica che ama ritrarre la bellezza maschile. In questo caso dedicata al genere definito "bear" (orso), tipologia di uomo massiccio e irsuto. Alla passione per gli orsi, però, Tagame sposa un elemento estremo che nelle sue tavole acquista una particolare crudezza: la componente sadomaso, sconfinando in un settore dell'erotismo che nel paese del Sollevante ha un notevole spessore ed è molto seguito a livello popolare. 



Se per altri mangaka a tema LGBTQ+ l'uomo-orso è identificato con il "chubby", l'uomo paffuto che offre al mondo il suo grosso corpo affinché se ne possa trarre piacere, per Tagame l'Orso è invece il simbolo della forza bruta. Un uomo possente, barbuto, dai muscoli scultorei, le natiche sode e irto di peli. Nei sogni, liberi da qualunque condizionamento morale, la forza (in questo caso simbolo anche di bellezza) può essere posseduta carnalmente in molti modi. Il pennello abile di Tagame sembra suggerire che la potenza del corpo maschile è più eccitante quanto più è sottomessa. Incatenata, umiliata nel modo più crudele. E' necessario ricordare che in Giappone la censura segue binari molto particolari rispetto all'occidente. Nella pornografia è consentito quasi di tutto, purché i genitali restino nascosti. Da qui, il frequente uso dell'effetto mosaico nei porno orientali, o la regola (cui non sfugge lo stesso Tagame, sia pure imbrogliandola con grande malizia) del pene stilizzato e bianco negli hentai (i fumetti erotici giapponesi). 



Nel saggio "Erotismo infernale" edito da Mondo Bizzarro, il critico Jack Hunter, parlando del cinema erotico giapponese, dice: «Questa rigida regola ha senza dubbio arricchito il cinema nipponico, rivelando ciò di cui anche il cinema occidentale avrebbe bisogno: dei limiti. Per molti registi europei, la fin troppo facile discesa nel cinema hardcore va inevitabilmente a braccetto con la negazione di creatività e visionarietà, dato che la ripresa ravvicinata delle penetrazioni diventa l'unico scopo della loro arte. I cineasti estremi giapponesi, a cui tale scelta è stata negata, sono dovuti ricorrere alle proprie risorse immaginative per emulare l'impatto ipnotico e l'esperienza carnale totale offerti dall'hardcore. Il risultato è una visione del sesso come inferno sulla terra, o del corpo umano come frontiera chiusa dell'inferno, con tutta la follia prodotta da tale mortale confino». 

Gengoroh Tagame
Inferno che Gengoroh Tagame sembra conoscere molto bene. Nei suoi fumetti si respira un'atmosfera claustrofobica, sulfurea e crudele. Se per la cultura eterosessuale l'oggetto di piacere per antonomasia è la figura femminile, Tagame promuove l'Orso a nuovo capro espiatorio delle brame erotiche più estreme e lo sprofonda in un inferno lascivo, dove sangue e sperma si mischiano. Se la pornografia giapponese produce in quantità falsi snuff movie che raccontano di ragazze indifese massacrate da spietati aguzzini, Tagame reinventa questa peculiarità erotica della sua cultura in chiave tutta ursina. Nelle sue storie, gli orsi sono sempre fatti prigionieri, legati, violentati e seviziati in molti modi, in un crescendo di violenza che coniuga eros e orrore. Il sito ufficiale dell'artista offre un ampio saggio della sua produzione articolandola in sezioni tematiche. Se i disegni elettronici, le pin up e tutto il resto non richiedono una particolare preparazione per essere ammirati, la sezione SM avverte esplicitamente il visitatore: "Ti troverai davanti immagini violente, che contengono mutilazioni e morte. Sappi distinguere la fantasia dalla realtà". E in effetti, per affrontarle è necessario possedere uno stomaco discretamente forte. La bellezza del disegno di Tagame rende tutto vivido, sensuale e sconvolgente. 


C'è da dire che al sadismo rappresentato non sempre corrisponde un masochismo, elemento che permetterebbe di considerare il tutto come un gioco tra amanti. No, il sadismo è spesso assoluto e devastante (chi godrebbe nel farsi schiacciare i testicoli con un enorme maglio?). Anche questo è da ricondurre a una tradizione pornografica tutta nipponica. «L'SM è diverso in Giappone...» dice il musicista e film maker Masami Akita, sempre nel libro di Jack Hunter. «Non c'è un reciproco darsi piacere. In Giappone il mondo dell SM ha spesso a che fare con le uniformi militari... Il potere e l'autorità sadomasochista sono presentati come tematiche paranoiche. L'SM rende manifesta la crudeltà del potere assoluto mostrandola con violenza allo spettatore». Infatti, le ambientazioni militari sono frequenti nell'opera di Tagame. Se l'italianissimo Viste infonde blande atmosfere sadiche alle sue illustrazioni mostrando massicci soldati sottomessi da rudi addestratori, Tagame è un figlio dell'Oriente e non va tanto per il sottile. Gli atti ritenuti aberranti dalla società occidentale non incontrano alcun tabù nella cultura mainstream giapponese. La violenza sessuale e la tortura sono temi molto presenti nell'immaginario popolare, soprattutto per motivi storici (la tortura come strumento per estorcere confessioni è stata usata molto a lungo in Giappone), e i consumatori abituali di pornografia sono avvezzi a convivere con questa forma di fiction estrema come da noi, in Italia, lo siamo con le performance di Jessica Rizzo. Lasciandosi alle spalle facili moralismi etnocentrici (giacché si parla pur sempre di fiction), e superato lo shock che la particolare violenza di certe tavole può suscitare, l’opera di Tagame è apprezzabilissima, quasi geniale. Pur nella ripetitività delle trame di stampo sadomaso, non possiamo fare a mene di essere affascinati dalla maestria di Gengoroh nel disegnare corpi maschili statuari e grondanti sensualità. Quello che nel gergo ursino è chiamato “muscle bear” trova nell’opera di Tagame la sua rappresentazione paradigmatica. L’uomo perfetto, grosso, forte e bellissimo. Talmente bello da non poter esistere, da dover essere distrutto. Alla base delle fantasie sadiche, dopotutto, c’è sempre un barlume di ambigua tenerezza. Quanto spesso, coccolando qualcuno ci affiorano sulle labbra le classiche parole “...ti mangerei”? 


L’idea (anche solo quella) dell’assoggettamento di un corpo massiccio al quale virtualmente può essere fatto di tutto, può suscitare in qualcuno emozioni conturbanti. Non per ultima, una sensazione di potenza in quanti rivestono nei propri sogni il ruolo di dominatore. Un padrone il cui potere svanisce, però, nello stesso momento in cui la vittima è stata annientata. Da qui l’incubo ossessivo e masturbatorio di infinite novelle sadiche, che si differenziano solo in pochi elementi, raccontate da Gengoroh Tagame con una freddezza carnale che non può lasciare indifferente il lettore. Un pugno nello stomaco, che ci costringe a guardare negli occhi fantasmi erotici che infestano anche le anime più innocenti. L’inquietante confine tra tenerezza e violenza, desiderio e brama di distruzione, è superato sulla pagina disegnata, e la matita dell’artista Tagame ci accompagna nei meandri di un inferno dantesco, pessimista, oscuro, forse ispirato da un’irriducibile misantropia. Ci chiediamo se l’erotismo di Tagame non sia specchio di un disagio sociale più profondo della mera voglia di sesso. Espressione di un malessere dell’esistere che si traduce nella sua opera in un’eterna mortificazione della carne, rappresentando piacere e dolore come entità speculari: il giorno e la notte, la vita e l’inevitabile morte che metterà fine a ogni edonismo. Non resta, per tirare il fiato, che soffermarsi sull’affascinante bellezza di quei corpi che l’autore sembra amare quanto il sangue di cui li copre. Quella bellezza che, ci piace ricordare le parole di Dostoevskij, può ancora salvare il mondo. 


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