E' quello che accade a Tommaso Speranza, bambino della campagna romana invaghito di Heidi, la tenera pastorella nata dalla penna della scrittrice per ragazzi Johanna Spiry e resa popolare in tutto il mondo dalla seria animata che porta la firma di Hayao Miyazaki. Un simbolo di libertà e spensieratezza che Tommaso afferma più volte di apprezzare anche fisicamente. Una dichiarazione di maturità che solo chi è ancora saldamente avvinghiato all'infanzia sente il bisogno di palesare. E l'amore per Heidi, l'Heidi di carta, l'Heidi che non muterà mai, fa pensare a un disperato aggrapparsi all'innocenza, e alla speranza che questa, con l'infanzia, possa non sparire mai.
Dopo l'esperienza di “Gentes”, Daniele Bonomo, in arte Gud, sviluppa ulteriormente il suo esperimento di sintesi tra il linguaggio della strip e narrazione articolata. Il risultato è “Heidi, mon amour”, edito da Tunué, una sinfonia di emozioni visive e sottotesti agrodolci, dove l'immagine dell'Heidi di Miyazaki, quella più presente nell'immaginario di molte generazioni, è il filo conduttore in un cammino di crescita dalla destinazione incerta.
Tutto inizia con un’apertura che ha del cinematografico. Un campo lungo ci informa che ci troviamo nella capitale per poi zoommare subito su un particolare poco rassicurante. Una figura umana che giace in un letto di ospedale, forse allo stremo. Ma quel che stiamo guardando si rivelerà presto ingannevole, e la strada intrapresa dal racconto ci condurrà su sentieri imprevedibili.
Usando un senso dell’umorismo nerissimo, con l’essenzialità del cantastorie e delle sue immagini dipinte, Gud mette in scena lo sgretolarsi dell’età infantile. L’immaginazione, sembra dire, influenza tutta la nostra realtà, e può arrivare a colpirci. Duramente. Ma solo per ricostruirci in una forma nuova, attingendo alla stessa materia da cui ha preso corpo il nostro iniziale candore. I sogni, veri unici compagni di vita che non vanno mai via. Tommaso Speranza non è un bambino diverso dagli altri. Ha una sorellina di poco più grande, un simpatico nonno, degli animaletti da compagnia. E ha Heidi, la sua musa, la sua oasi per i momenti bui. Nell’Eden, però, compare sempre il diavolo. E il diavolo non è sempre cattivo come lo si dipinge. Può essere ottuso, vanesio, ignorante. Sempre e comunque portatore di caos, e quindi di cambiamento. Gli adulti da cui Tommaso è circondato sono delle figure tutt’altro che esemplari. Il personaggio del vicino di casa, il signor Stroelz, bonario e mefistofelico, è descritto come un bambino cresciuto fisicamente. In comune col piccolo Tommaso ha i sogni cui non ha mai saputo rinunciare. Ed è questo aspetto panico che fornirà a Tommaso, insieme al dolore, la spinta per una prima fase di crescita. E’ affascinante la capacità dell’autore di sintetizzare il dialogo, infondendo con pochi segni un’energia straordinaria alle proprie creature di carta. Nella prima parte del racconto (forse la più riuscita), Stroelz buca la pagina con la forza di una marionetta abilmente animata. Gud riduce gli sfondi all’essenziale per consentire al personaggio recitante di accompagnare accattivanti posture teatrali alle proprie parole. Il risultato è un piccolo palcoscenico di grande forza visiva e sicuro impatto emozionale.
Tommaso, dunque, sarà costretto a crescere. Ma se da soli si cresce, è in compagnia di qualcuno che si vorrebbe invecchiare. Ed è così, secondo le regole della commedia romantica che il giovane Tommaso s’incontra (e si scontra) con Heidi, donna fatale che porta il nome dell’idolo della sua infanzia. La donna che diventerà sua moglie, la madre di sua figlia Anna, bimba che sperimenterà molto presto l’influenza del luciferino Stroelz nei confronti del padre. Heidi, un modello femminile che incarna un sentimento troppo universale per essere fruito da un solo uomo. Perché questo è il problema dei sogni. Sono come la pista di un autoscontro. Fantasie simili, convergenti o discordanti, che ci obbligano a confrontarci con il mondo esterno quanto la realtà di ogni giorno. La Heidi adulta, infatti, è chiamata a interpretare una fiction dove vestirà proprio i panni della pastorella svizzera cresciuta. Un successo pagato con la condivisione del proprio sogno più caro e con una rinnovata solitudine. Ecco tornare così le ombre dell’infanzia, e anche la figura di Stroelz, trasfigurato in un malefico grillo parlante. Naturalmente i guai sono solo incominciati.
Gud porta avanti un racconto che scorre agile, lasciando emergere a tratti frammenti poetici che hanno il sapore di alcune visioni letterarie di Daniel Pennac. Come l’immagine del pesce rosso osservatore dal chiuso della sua boccia. Una creatura silenziosa che tutto vede e tutto comprende senza poter comunicare. Le altre bestie, afferma il diavolo-Stroeltz, sono schiave dell’uomo, pertanto l’unica possibilità sarebbe cercare i propri simili. Ma avvicinarsi ai propri simili, in mare aperto, potrebbe essere un rischio letale.
Rischio che si corre anche leggendo “Heidi, mon amour”. Il rischio di provare una commozione non preventivata, e una sensazione di piacevole sgomento davanti al finale onirico, aperto a più letture. Il tratto che a volte si fa volutamente infantile, e proprio per questo tanto più grande, colpisce al cuore là dove le parole non arrivano. Un libro a fumetti che permette di conoscere un artista italiano che merita attenzione, alla faccia di griglie editoriali ripetitive e approcci grafici fin troppo uniformati.
Con “Heidi, mon amour”, Gud mostra di avere a cuore la propria libertà di uomo come di artista. E più che dirlo, lo affida a disegni dalla vitalità travolgente. Immagini che spesso danzano sulla pagina, comunicando sensazioni quasi fisiche, come l’aroma di un caffè al mattino. La vicinanza tra lettore e personaggio, allora, si fa incantevole. Forse pericolosa. Ma vale senz’altro la pena di correre questo rischio. Infrangere la boccia delle convenzioni e andare in cerca di sognatori come noi. Anche se potrebbero portarci via tutto quello che abbiamo. O mostrarci la strada per la felicità. Come Heidi. Chi può dirlo?