lunedì 29 agosto 2022

Nope e i suoi antenati

 


Questa non è una recensione. Solo una riflessione. Anzi, un'associazione di idee, innescata dalla visione di Nope, il film di Jordan Peele che tanto sta facendo discutere, e che già tanto è stato passato ai raggi X dai cinefili della rete da rendere inutile ogni ulteriore commento.


Inevitabili saranno gli spoiler, parlando qui dei temi e dei simboli presenti nel film. Pertanto siete avvisati. Nope si presenta come un horror sui generis, sulla traccia delle opere precedenti di Peele. C'è anche chi dice che si ascrive solo parzialmente alle tematiche sociali finora care al regista. Ma è davvero così? Get Out (Scappa) del 2017, era una metafora dichiarata dello sfruttamento razziale, e usava un linguaggio abbastanza popolare per essere apprezzato da un pubblico vasto. Us (Noi) del 2019, iniziava a spaziare su temi più trasversali, parlando di società matrigna, diseredati e privilegiati, ma continuando ad affidare alle persone afro il ruolo di bussola politica del racconto. Tutti esempi significativi di quello che negli ultimi anni, sullo sfondo del movimento Black Lives Matter, ha preso a chiamarsi black horror. Un cinema (e anche televisione se pensiamo alla serie Them) del perturbante civilmente impegnato, dove il soprannaturale e la paura adombrano storture sociali, e danno voce a una parte di umanità la cui lunga storia è fatta di sopraffazione e diritti negati


Nope
prosegue su questa strada. Quella di Us più che di Get Out, e va oltre. Meno legato ai temi black, è stato detto da qualcuno, e più propenso a trattare argomenti di interesse universale. Analisi un po' miope, a mio avviso. Nope parte dal presupposto della rimozione storica, facendo dei suoi protagonisti (gli addestratori di cavalli OJ e Emerald) i discendenti dell'uomo in groppa al cavallo in uno delle prime sequenze in movimento mai filmate. Aneddoto in cui Jordan Peele si prende alcune licenze artistiche, ma a contare sono i simboli. Come dice Emerald nel film, tutti oggi ricordano il nome di quel cavallo, ma non del suo cavaliere: un uomo nero, il suo trisnonno, iniziatore di una dinastia di talentuosi allevatori e addestratori di cavalli per lo spettacolo.

Il cinema di Peele torna a mostrare la ferita ancora aperta di un popolo prevaricato, ma anche ignorato e rimosso dalla storia come una mosca dalla minestra. Il racconto che segue, sebbene possa sembrare prendere strade diverse da quelle finora battute dal regista, mostra in ogni caso un cammino di rivincita, e la dimostrazione di un estro, una pertinacia e un'intelligenza vincenti, da parte di rappresentati di una categoria di persone a lungo ridotta in un angolo della società e della memoria collettiva. Nope è quindi un film politico del tutto coerente con i precedenti film di Jordan Peele. Forse più ambizioso nel suo mix di generi e di temi, nei ritmi alternati che adotta e in certe scelte visive. Ma oggi non siamo qui per parlare di questo.

Uno dei temi principali di Nope è la presenza pervasiva dei media, e soprattutto del mondo dello spettacolo, oppio dei popoli che alla lunga diventa veleno, e ribalta i punti di vista consumando il suo pubblico fino all'annientamento. Sotto traccia, il film di Jordan Peele, parla anche di sfruttamento animale. Anzi, di sfruttamento tout court, e della differenza tra addestramento, comunicazione e asservimento. Anche in questo caso c'è un parallelismo sottile, dove l'approccio ai cavalli della famiglia protagonista descrive un rapporto di rispetto, paritario e costruttivo.



L'episodio fondamentale di Gordy, lo scimpanzé utilizzato in una popolare sit-com televisiva che a un tratto ha perso la testa facendo una carneficina sul set, riassume i temi centrali del film. E' il volto di un'industria dell'intrattenimento spietata, e di un pubblico superficiale che contribuisce con le sue scelte a generare mostri di Frankenstein, diseredati che giunti al limite esploderanno e ridurranno tutto in briciole, compreso chi credeva di poterli controllare.

L'entità di Nope, il disco volante, in realtà una creatura aliena affamata che periodicamente si ciba di tutto quello che le capita a tiro, è un simbolo di annichilimento che perfeziona l'episodio preparatore di cui è protagonista lo scimpanzé Gordy. Non è necessaria la presenza di animali esasperati da un lavoro ripetitivo e umiliante, e neppure di esseri umani sfruttati. E' la stessa dinamica dell'intrattenimento che si trasforma in mostro e progressivamente divora lo spettatore, lobotomizzandolo, rendendolo mero carburante volto a perpetuare lo show.



La fiction, in passato, aveva presentato molti elementi anticipatori di questi temi. Nope è un'opera complessa e di valore, ma come OJ e Emerald vanta degli antenati di tutto rispetto, e siamo qui per ricordarli.


Lo scrittore Richard Matheson, nel racconto breve intitolato Through Channels (Su dai Canali), raccontava di uno strano fenomeno che improvvisamente interessava i televisori di un moderno condominio. Sullo schermo dell'apparecchio domestico compaiono a un tratto dei buchi neri che si dilatano e restringono in modo ritmico, simili a bocche di grandi vermi, mentre sotto lampeggia intermittente la parola Eat! I telespettatori, incuriositi dal misterioso messaggio, non riescono a staccarsi dalla TV, pensando si tratti di un espediente pubblicitario e che presto seguirà il vero show. L'unico a sopravvivere è un ragazzo di quindici anni, uscito per fare una commissione. Al suo ritorno, la famiglia è scomparsa, mentre sullo schermo televisivo il messaggio è cambiato, e adesso lampeggia la parola Eaten.

Il racconto è del 1951, ed è una breve, crudelissima profezia sugli effetti annichilenti del mezzo televisivo su un pubblico acritico, sordo ai bisogni dei propri familiari e pronto a lasciarsi assorbire dallo spettacolo più fatuo. Le creature che si manifestano attraverso lo schermo della televisione non hanno nome, ma sembrano vermi, e le loro bocche elastiche dei buchi neri pronti a fagocitare tutto. E' evidente che Jordan Peele aveva ben chiaro in mente il ricordo dell'opera di Matheson mentre girava Nope.

Del 1959 è invece The Veldt (La Savana) di Ray Bradbury. In un futuro non precisato, il progresso tecnologico ha reso possibile la creazione di stanze le cui mura sono in grado di rappresentare in modo tridimensionale le fantasie di chi le abita. Si tratta di stanze da gioco destinate ai bambini, dove i piccoli abitanti possono illudersi di vivere all'interno delle loro storie preferite. Un giorno, presso una normale famiglia americana, la camera dei ragazzi inizia a comportarsi in modo strano. Non mostra più scenari fantasiosi e rassicuranti, ma un panorama africano, riarso e abitato da un branco di leoni affamati intenti a divorare delle prede insanguinate. La situazione precipiterà presto, e la stanza, pensata per generare illusioni, rivelerà la capacità di interagire con il mondo reale, influenzata dalla crescente ferocia di un mondo infantile sempre più cinico e dipendente dai suoi giochi. Anche nel racconto di Bradbury ciò che nasce come intrattenimento si trasforma in mostro e mangia letteralmente chi pensava di poterlo controllare. In questo caso con la complicità di una nuova generazione che ha perso il contatto con la realtà, disumanizzandosi e rivelandosi pronta a recidere le proprie radici pur di continuare a seguire lo spettacolo. Uno show che causa una regressione primordiale e conduce all'essenza crudele di una catena alimentare priva di ogni etica.



A The Veldt, si rifaceva in parte il film di Giuliano Montaldo Circuito Chiuso, prodotto dalla Rai nel 1978, acclamato dalla critica al Festival Internazionale del Cinema di Berlino, e rimasto confinato nello spazio televisivo per ragioni contrattuali. Il film di Montaldo è un curioso thriller che per intenti e simboli avrebbe molti punti in comune con Nope, se non fosse per la chiave di lettura molto più didascalica. In un cinema romano, durante la proiezione di un film western, uno spettatore è ucciso da un colpo di pistola esploso nello stesso istante in cui si sta sparando sullo schermo. La polizia impone al pubblico di non abbandonare la sala, ma l'inchiesta prende a stagnare, mentre le ore e i giorni passano senza che l'assassino sia identificato. Si prova a ricostruire l'evento, proiettando ancora il film con gli spettatori seduti negli stessi posti che occupavano durante la prima visione. Anche il volontario che sedeva nella poltrona della prima vittima è fulminato implacabilmente da un colpo di arma da fuoco nel medesimo momento in cui il cow boy protagonista del film preme il grilletto...


Circuito Chiuso
, film surreale, inquietante, claustrofobico e oggi dimenticato dai più, è reperibile su Raiplay, e merita di essere recuperato, superando i pregiudizi che si potrebbero nutrire per un prodotto italiano televisivo di fine anni '70. Questo nonostante il fatto che la sua presenza tra gli antenati di Nope, in questa conversazione, sia di per sé uno spoiler. Considerato che il racconto di Bradbury, The Veldt, è citato dichiaratamente nel film dal personaggio del sociologo interpretato da Flavio Bucci.

Lo spettacolo fruito acriticamente, divenuto sostanza da cui dipendere, ci consuma, ci uccide e si nutre di noi. E' come una bestia selvaggia, non cattiva di per sé, ma semplicemente istintiva e fuori controllo. Per poterne fare buon uso è necessario domarla. E domarla, spiega Jordan Peele in Nope, non significa assoggettarla, ma comprenderla e riuscire a comunicare con essa. Altrimenti è la fine. Allora è meglio non guardare, dire di NO a questa tentazione pervasiva, spesso morbosa, e scrutare piuttosto dentro noi stessi.


Come dicevamo, Nope ha antenati illustri, sul piano formale e concettuale. Proprio come i protagonisti del film di Peele. E alla maniera del cavaliere afroamericano che cavalcò il primo cavallo in movimento del cinema, sarebbe il caso di conoscerli, ricordarli, rendere loro merito. La comprensione dell'opera di Jordan Peele (senz'altro consapevole di queste parentele) ne uscirebbe arricchita e il messaggio ulteriormente metabolizzato. Perché è così che dovrebbe essere. Quando di norma, a cervello spento, a essere assimilate e distrutte sono le nostre capacità di ragionamento, appiattite e asservite da un'industria che ci vede solo come ottusi consumatori.





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