domenica 20 febbraio 2022

The Amusement Park: il film perduto di George Romero


“The Amusement Park” è un film considerato a lungo perduto, diretto da George Romero nel 1975, tra “The Night of the Living Dead” e “Dawn of the Dead” del 1978. In mezzo, Romero aveva realizzato “Season of the Witch” e “The Crazies”, entrambi film che avevano avuto un incasso molto prossimo allo zero, lasciando il regista in condizioni economiche difficili.

Fu così che una società luterana lo contattò per commissionargli un mediometraggio, una sorta di lungo spot di quelli che oggi potremmo definire “pubblicità progresso” sulla condizione degli anziani, che potesse sensibilizzare il pubblico su un argomento tanto delicato e possibilmente incoraggiare i giovani a prestare volontariato presso adeguate strutture. Romero si rimboccò le maniche e girò “The Amusement Park”. Mezzi poverissimi, attori per lo più non professionisti, molti dei quali veri anziani presi da case di riposo, e tutto il suo ingegno cinematografico.

Pare che i committenti, dopo avere visionato il lavoro di Romero, abbiano deciso di abbandonare il progetto, giudicandolo troppo sconvolgente, e destinando – di fatto – il film al dimenticatoio. Nessuna distribuzione e totale silenzio per decenni, al punto che lo stesso Romero non ne parlava più. Solo nel 2017, una bobina di “The Amusement Park” fu rinvenuta in un vecchio deposito e restaurato. Introdotto nel 2021 nel catalogo di Shudder, piattaforma streaming americana gestita dal network AMC interamente dedicata al genere horror e in seguito importato anche da noi dalla Midnight Factory, incluso nella "Romero Film Collection" insieme ad altri tre titoli del regista.  

Oltre a rappresentare una prova affascinante dell'estro di un grande regista scomparso, “The Amusement Park” è un film invecchiato benissimo, che oggi – forse anche più di ieri - fa bella mostra di un linguaggio metaforico spietato riuscendo persino ad andare oltre i temi che gli erano stati commissionati. Dicevamo che il film, relativamente breve (un'ora scarsa), avrebbe dovuto essere un elaborato spot sociale. Beh, scordatevi quadretti tristi e smielati risolti da improvvisi slanci di solidarietà. “The Amusement Park” pur non essendo canonicamente un horror, è un vero pugno nello stomaco, e non è neppure del tutto incomprensibile perché la società che aveva richiesto a Romero di realizzarlo avesse fatto un inorridito salto indietro davanti all'incubo visto durante la proiezione di prova. Bisogna davvero avere uno stomaco di ferro e la sensibilità di un palo elettrico per restare indifferenti di fronte a “The Amusement Park”. Un lavoro svolto per ragioni alimentari, ma in cui l'estro di George Romero è tangibile, e in cui è possibile scoprire i semi di opere che arriveranno dopo.

Una larga parte del film è affidato alla mimica dell'attore Lincoln Maazel, il padre del direttore d'orchestra Lorin Maazel, diretto da Romero anche in “Martin” del 1977. Una struttura straniante che potrebbe far pensare a un episodio di “The Twilight Zone”. Non tanto per il prologo, qui affidato allo stesso attore protagonista che illustra i temi del film e i suoi presupposti sociali, quanto per la chiave narrativa scelta dal regista, che apre il racconto con una scena onirica e terribile che nel giro di pochi secondi afferra il cuore dello spettatore e lo rompe in quattro pezzi. Una stanza candida, un anziano vestito a sua volta di bianco siede ferito, pesto e ansimante. Un altro uomo anziano entra nella stanza aprendo una porta altrettanto bianca. Veste di bianco anche lui. Anzi, è evidentemente un doppio dell'uomo esausto e ferito che abbiamo visto prima, ma si presenta più energico e con un tono dell'umore decisamente alto.


«Ciao. Non vuoi uscire?»

«Non c'è niente fuori.»

«Lo scoprirò da solo se permetti.»

«Non ti piacerà.»

Questo inizio racchiude in sé tutto l'orrore che seguirà. Meno di sessanta minuti di un viaggio surreale e crudele. Un mondo visto come un luna park festoso e affollato, pieno di voglia di vivere e abbondanza, ma che si rivela un labirinto da incubo per un soggetto fragile, che nessuno rispetta, nessuno ascolta, nessuno guarda se non per nuocergli in qualche modo. Un crescendo di solitudine e malessere. Sequenze che riproducono le dinamiche del cinema muto nelle sue forme più inquietanti, e una chiusura dolorosissima, su un'immagine che lancia un grido silenzioso che suggerisce decadenza, ma soprattutto lo spreco di risorse preziose.

La forza terrificante di “The Amusement Park” è la capacità di dimostrare con poche scene espressive quanto possa essere vuota l'esistenza per un soggetto considerato dalla comunità “scaduto” o “difettoso”. Il mondo esterno, nella sua totalità, diventa una trappola in cui il più fragile è retrocesso all'ultimo posto nella catena alimentare di un sistema consumistico che si rivolge esclusivamente ai giovani, ai fisicamente forti, ai sicuri di sé, e agli abbienti. Non a caso, Lincoln Maazel, in qualità di narratore all'inizio del film, sottolinea che tutti diventeremo vecchi, ma che è anche la condizione sociale a pesare sulla bilancia del nostro futuro. La reputazione e la condizione economica possono rappresentare una rete di sicurezza. Ma se queste mancano, si precipita inesorabilmente all'inferno.


Anche in questo sta l'attualità e l'universalità di “The Amusement Park”. Parla soprattutto di vecchiaia, d'accordo, qualcosa che prima o poi ci riguarderà inesorabilmente tutti. Ma la forza del suo simbolismo resiste al tempo valendo anche per quanti, per svariate ragioni, sociali, mediche, ambientali, non hanno mai potuto essere veramente giovani, e convivono da sempre con la consapevolezza di essere considerati roba di poco conto. Vulnerabili, alla mercé di una società senza scrupoli.

In un mondo dove frasi formula come “Ok, boomer” hanno un successo planetario, in cui alcuni social media sono considerati regno esclusivo dei più giovani, in cui influencer si ritirano dalle scene a trent'anni, al culmine come Greta Garbo, lanciando il messaggio che andare oltre è disdicevole se non ridicolo, dove le lotte per la parità dei diritti inciampano ottusamente contro l'ageismo (termine anglofono bruttissimo, ma non ne è ancora stato coniato un altro per indicare la discriminazione in base all'età), c'è ancora posto per un film come “The Amusement Park”. Un titolo che va affrontato con la consapevolezza che non sarà uno spettacolo divertente. In definitiva, ben più di un semplice spot di pubblicità progresso. Un segnale, una richiesta d'aiuto, da un passato che è non invecchia, giacché è sempre con noi, e l'estrema, riscoperta, prova di stile di un grande regista.





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