Sono finalmente riuscito a vedere "Midsommar" di Ari Aster, film tenuto pochissimo in sala nella mia città. Del quale avevo letto poco (nel senso che avevo preferito non immergermi in troppe recensioni) proprio per arrivare alla visione del film con l'atteggiamento più neutro possibile. E devo dire che, al di là di tutto, mi ha piacevolmente colpito.
Si è parlato di folk horror, ma esiste anche un'altra definizione, meno elegante, coniata non ricordo da chi: inquietanti comunità aliene. Si è basato tutto su questa classificazione e si sono fatte similitudini ingombranti. Inevitabili, d'accordo. Ma per certi versi anche fuorvianti.
Mettendo da parte le ormai scontatissime parentele con "The Wicker Man" di Robin Hardy (ma anche "The Sacrament" di Ti West risponde in qualche modo all'appello), possiamo dire che il film di Aster si affranca da questi rimandi che lo renderebbero derivativo, e lo fa sia per forma che per intenti. Non scontati come potrebbe sembrare a una lettura superficiale. Cominciamo dicendo che "Midsommar" merita tutta la sua etichetta di horror. E questo a partire dalle primissime scene, quando la sostanza del racconto principale è ancora distante e il cuore della trama si deve ancora concretizzare. In questo, il film di Aster è nobilmente di "forma". In quanto non fa paura il cosa, ma decisamente il come. A partire dal suo prologo, che porta in scena un dramma familiare con una scansione talmente efficace da regalare i primi brividi. Il modo di narrare qualcosa che è sì prevedibile, ma che arriva allo spettatore in modo devastante per come è preparato e orchestrato. Tanto che pensavi di sapere tutto e di essere preparato, ma la tensione accumulata e la regia ti sconvolgono lo stesso. E questo non te lo potevi aspettare. Perché il racconto di Aster si basa sui sottotesti, non sulla semplice fabula. La componente più profonda di "Midsommar" sta tutta nella forte valenza allegorica del racconto e delle tappe che conducono lentamente a una meta inesorabile. Non bisogna attendersi sorprese, ma interrogarsi sul significato di quanto sta succedendo, come se stessimo analizzando uno strano, incantevole e nello stesso tempo disturbante sogno. Una parabola nerissima sui legami, sulla loro natura, sul nostro modo di gestirli, a volte di dipendere da questi. E sul concetto di sacrificio, volto ad affrancarci (forse) sia pure dolorosamente da qualcosa che ci sta lentamente uccidendo. La cosa più inquietante di "Midsommar" è che durante il racconto avremo paura, ma una volta arrivati, alla luce dei significati nascosti, forse dovremmo gioire. E' questo che sembra dirci Ari Aster, parlando di lutto, di ritualità, di scelte difficili, di morte e rinascita.
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