Il
duo comico palermitano, Salvo
Ficarra e Valentino Picone, famosi per avere esportato al
cinema la loro sicilianità con i film Nati Stanchi, Il
7 e l'8, La matassa e Anche se è amore
non si vede, con quest'ultima fatica cinematografica, Andiamo
a quel paese, inscenano una straordinaria commedia all'italiana,
e mi sembra doveroso, senza fare paragoni improponibili, citare un
grande del cinema italiano come Mario Monicelli che scriveva: «La
commedia all'italiana è questo: trattare con termini comici,
divertenti, ironici, umoristici, degli argomenti che sono invece
drammatici. È questo che distingue la commedia all'italiana da tutte
le altre commedie.»
Infatti,
Andiamo a quel paese è la storia di Valentino e Salvo,
disoccupati in cerca di fortuna e magari di una raccomandazione,che
lasciano il capoluogo siciliano per un paese dell'entroterra del
Siracusano, dove Valentino è nato e ha piantato la donna che fin da
ragazzino aveva sempre desiderato avere. La situazione a Monteforte
non è però rosea. La gente mormora, tra la piazza, il parroco
(un'encomiabile interprestazione di Mariano Rigillo, il bar (dove
riconosciamo Toti e Totino), il barbiere (interpretato da Nino
Frassica) e il brigadiere dei Carabinieri (Francesco Paolantoni).
La totale assenza di un lavoro e l'eta' avanzata dei paesani ispira
Salvo, che risolve di (soprav)vivere con la pensione della suocera e
di ogni zio e zia provvisto di “utile”, ovvero: "Una
pensione e' per sempre". Cosi gli zii, accolti in casa, delegano
il ritiro delle pensioni a Salvo e Valentino, che comprano la prima
auto nuova e provano a godersi il quotidiano. Ma uno dopo l'altro gli
ospiti senili, per incidenti domestici o intossicazioni alimentari,
passano a miglior vita. Ed è così che Salvo finisce col convincere
Valentino a sposare la zia Lucia, ultrasettantenne, per potersi
godere la pensione anche dopo il trapasso dell'"amata"
parente.
Ed
e' proprio a questo punto che il film prende lo slancio di una vera e
nostalgica commedia all'italiana, in un contesto unico e nostrano,
con battute esilaranti, mormorii dei paesani e stupori e dissapori
generali. Ma anche di altri giovani disoccupati in cerca di qualche
arzilla vecchietta dalla pensione d'oro da plagiare per convogliare
a giuste nozze. Per i due attori e registi palermitani "nati
stanchi", inizia e finisce una prova entusiasmante in vero
stile comico nazional-popolare, e il duo dimostra una generosità
attoriale cui si deve tanto di cappello, tale da trasmettere allo
spettatore una spensieratezza e un divertimento assoluto.
C'è
la battuta frequente e c'è la voglia di andare oltre la semplice
commedia, spingendosi in quei territori – grazie alle location
siciliane - che la grande scuola del cinema italiano degli anni '60
ha consacrato nella commedia all'italiana.
Questo
film conferma il talento e la blasonata solidità del duo comico,
egregi paladini siciliani, grande linfa vitale, due invenzioni
magistrali capaci di far sorridere con una comicità pulita, garbata
e finalmente senza avvalersi delle solite scene banali e sguaiate.
L'Unica pecca da riscontrare sono i dialoghi in alcune scene, troppo
eccessivi e sopra le righe come se servissero a coprire i limiti
narrativi della sceneggiatura, e la colonna sonora quasi identica al
precedente Il 7 e l'8. Ma
in linea di massima la prova di Ficarra e Picone è ammirevole per la
capacità di raccontare una storia tragicomica. Il finale lascia lo
spettatore con una riflessione :"Le cose sono vecchie...
le persone sono anziane..." in poche parole gli anziani
sono ancora utili alla nostra società e non solo per "
mangiarsi" la pensione.
Mitico
far scorrere i titoli di coda del film con la famosa canzone di
Albertone Sordi: Te c'hanno mai mannato a quel paese? Sapessi
quanta gente che ce sta...
Buona
visione.
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