martedì 11 ottobre 2011

Battle Royale

 
La Planet Manga ha appena concluso la ristampa in quindici volumetti di Battle Royale, acclamata saga 
firmata Koushun Takami. Un’opera discussa che è già un classico e si distingue per la sua intensità e i curatissimi disegni iperrealisti di Masayuki Taguchi. Battle Royale è un prodotto dalla genesi molto particolare, con una storia travagliata e numerose facce mediatiche, ciascuna delle quali mostra una sua peculiare personalità. Oggetto di polemiche in patria, dove il racconto di Takami è stato riconosciuto come un’aspra metafora della società competitiva orientale, Battle Royale esordisce come opera letteraria nel 1999. Un romanzo antiutopistico che mescola echi orwelliani con elementi tipici dell’action splatter giapponese, ma anche con sottotesti romantici e una narrazione corale che deve molto al feuilleton.


Dalle pagine del romanzo (edito in Italia da Mondadori) al cinema, il passo è stato breve. Nel 2000 esce infatti sugli schermi giapponesi Battle Royale, film diretto da Kinji Fukasaku su sceneggiatura di Kenta Fukasaku e interpretato da Takeshi Kitano nella parte del coordinatore del Program. La serie a fumetti, sceneggiata dal suo autore originale, inizia a uscire nello stesso anno del film, e rappresenta dunque il terzo anello nell’evoluzione mediatica della saga immaginata da Koushun Takami. Perché è di evoluzione che si dovrebbe parlare a proposito di Battle Royale. Più che semplici adattamenti, la narrativa, il cinema e quindi il fumetto, hanno prodotto nuove versioni, estese o compresse, di una storia epica e atrocemente emblematica nella sua semplicità. Se il cinema è riuscito a proporre una convincente riduzione all’essenza della violenta saga, la sceneggiatura del manga, tornata nelle mani del suo demiurgo, recupera la coralità e la profondità del romanzo, ma apportando significative variazioni, efficaci cambi di prospettiva e proponendo scelte visive funzionali all’arte sequenziale che fanno di Battle Royale un vero pugno nello stomaco del lettore. Le spettacolari tavole di Masayuki Taguchi, che tanto spazio concedono ai dettagli gore del racconto, contribuiscono a costruire l’umanità dei personaggi, rendendo Battle Royale, il manga, forse il risultato più espressivo e popolare, se non il più riuscito, tra le declinazioni finora presentate dell’epopea  truce e struggente ideata da Takami.


Il Program, un crudele reality show dove si uccide o si è uccisi. Un’affollata classe di scuola è sorteggiata ogni anno e destinata a un massacro che dovrà vedere sopravvivere un solo vincitore. Mai metafora della competitività disumanizzante è stata rappresentata in modo altrettanto esplicito. Nel film di Fukasaku, si motivava l’esistenza del Program come strumento repressivo delle ansie giovanili. Una metodica selezione degli elementi più conformisti e bellicosi. Nel manga, le motivazioni del crudele gioco restano vaghe, legate all’arbitrio sadico di un governo totalitario. Forse un calmiere alla sovrappopolazione di uno stato che ha scelto l’autarchia e l’assoluta chiusura a ogni scambio con l’esterno come regola di vita. Il manga, forse più del romanzo, riesce a conferire un’identità concreta a ogni singola vittima della mattanza. Battle Royale, con tutte le sue spettacolari efferatezze, non è un semplice racconto slasher. A cadere non sono manichini stereotipati, ma giovani donne e giovani uomini, che Takami ci fa conoscere da vicino, inducendoci persino ad amarli. La morte, dilatata nel tempo grazie a immagini di una bellezza crudele, falcia e interrompe per sempre romanzi di vita cui ci stavamo appassionando. E ogni morte dà un tuffo al cuore, lasciando una sensazione di tragico vuoto. Può sembrare un paradosso, ma a far vivere la vicenda di Battle Royale non è l’orrore (che pure gronda copioso dalle sue pagine), ma un sentimento di profonda pietà che pervade l’intera storia. La mitezza e il senso di giustizia, incarnati dal personaggio di Shuya, rappresentano l’indomabile ottimismo che ci ripete, uccisione dopo uccisione, che il mondo, pur nella sua mostruosità, può ancora essere salvato.

Il messaggio profondo di un manga sanguinoso come Battle Royale è che il concetto di ribellione non deve necessariamente coincidere con quello di violenza. La guerra è rappresentata da Masayuki Taguchi nei suoi particolari più raccapriccianti non per mero compiacimento, ma per esprimere un netto rifiuto a qualcosa che è indicato come la quintessenza della deriva umana. Una classe di scuola, per definizione un gruppo di giovani riuniti affinché crescano insieme, è qui obbligata a massacrarsi in nome del più elementare istinto di sopravvivenza. Non può esserci apprendimento, e quindi evoluzione, quando la natura umana è ridotta allo stato selvaggio. E questo si rivela essere il vero scopo liberticida del Program. Isolare gli individui e disperderli in un caos feroce, dove collaborazione e solidarietà non sono che fantasmi per pochi illusi. Battle Royale parla di amicizie che franano rovinosamente o che superano la più aspra delle avversità, portando in scena un esame di umanità che alla fine lascia il lettore con una scomoda domanda. Come ci saremmo comportati se intrappolati in una situazione come quella del Program? Potremmo chiederci se pugnaleremmo alle spalle chi ci è stato amico, ritenendo che questo possa salvarci, o se irriducibilmente cercheremmo una soluzione pacifica pur di proteggere chi in passato si è fidato di noi.
E la risposta non è così scontata.


Questa recensione è stata pubblicata anche su Fumettidicarta.

[Articolo di Filippo Messina]

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