Quando, da bambino, sentivo il richiamo della foresta che era la mia città, e mi urgeva il bisogno di affrancarmi dalla vigilanza degli adulti per avventurarmi alla scoperta del mondo esterno, mia madre, maestra d'asilo già troppo esasperata dal lavoro per potersi dedicare a un marmocchio in più, aveva sperimentato un metodo tutto suo per tenermi sotto controllo. Mi raccontava episodi raccapriccianti, spiegando con enfasi che il mondo "là fuori" era popolato da mostri crudeli che chiamava semplicemente i "sadici". Per lei, ogni ora in cui imploravo mi si lasciasse uscire da quella porta sempre sbarrata (mattina o primo pomeriggio, non importava) era sempre l'ora dei sadici, il momento in cui i maniaci andavano a caccia di bambini da rapire e torturare a morte. Con
l'intento di spaventarmi e spingermi a rinunciare alla libertà, mi descriveva come il mostro mi avrebbe crocifisso, frustato, scotennato, piantato chiodi nel corpo, eccetera, eccetera.
Non funzionò. Mai. L'errore di mia madre era ingenuo. Difficilmente, infatti, avrei potuto considerare i mostri all'esterno più terrificanti dell'orco che già mi terrorizzava tra le mura di casa. Presto rischiai la mia incolumità evadendo letteralmente da una finestra (per fortuna non troppo alta, ma neppure progettata per simili fughe) e calandomi in strada lungo una provvidenziale grondaia. Una scelta rischiosa della quale, però, non mi sono mai pentito.
Perché questo racconto? Stiamo per parlare di un film particolare. Un film che fa venire gli incubi, che suscita orrore e provoca un senso di vero malessere. Dagli spauracchi infantili usati dalla mia dissennata madre come schermo alle proprie responsabilità, infatti, penso discenda il sottogenere del cinema horror che oggi è definito "torture porn". Un tempo i mostri erano vampiri, licantropi, diavoli o al limite pazzi assassini che ti facevano fuori e la finivano lì. Pellicole come "Saw" e "Hostel" hanno segnato il superamento della semplice paura della morte, e l'hanno sostituita con la più morbosa e ambigua paura del dolore. Insomma, i sadici che tanto comodo facevano alla mammina hanno fatto scuola, e sono diventati i babau di una nuova filmografia di genere. Una serie di titoli più o meno noti il cui meccanismo si è già logorato dopo una manciata di film efferati e ripetitivi. Abbastanza perché guardando distrattamente questi film, io oggi possa dire: “Guarda chi si rivede!”. Fino all'arivo di “Martyrs”, almeno.
Riguardo "Martyrs", del francese Pascal Laugier si è già scritto di tutto. Specialmente nella blogosfera, dove i cinefili amanti dell'horror non sono certo pochi. Difficile, quindi, superate le necessarie informazioni di servizio, riuscire a esporre una chiave di lettura che non risulti ormai scontata. E questo al di là del plauso trasversale che questa durissima pellicola di oltr'Alpe sta riscuotendo. Presentato al Festival del Film di Roma 2008, "Martyrs" tarda ad arrivare nel nostro paese (anche se in rete circola un trailer in italiano), e tutto fa pensare che la mannaia della censura nostrana sia pronta a sfrondarlo di buona parte dei suoi eccessi.
E' stato scritto, ripetuto, dimostrato. La Francia, negli ultimi anni, ha molto da dire quando si tratta di cinema dell'orrore. Lontana dalle patinature statunitensi, ha presentato ultimamente pellicole realmente originali e disturbanti. Pochi generi cinematografici risultano ripetitivi e automatici come l'horror, prodigo di titoli seriali sfornati con la logica di una fotocopiatrice. Tuttavia il racconto di spavento si è dimostrato a volte veicolo di parabole sovversive e di interessanti esperimenti di regia. Tra tutti valga l'esempio de "La notte dei morti viventi" di George Romero, classico caso di horror politico, vera pietra miliare nella filmografia di genere e non solo. Non amo usare spesso le parole "capolavoro" o "gioiello". Ma con "Martyrs" siamo dalle parti dell'horror metaforico, che si presta a letture sociali, e che nel suo devastante pessimismo insinua una pesante critica alla presunzione borghese e a certo misticismo. Le affinità di "Martyrs" con il genere "torture porn", cui in apparenza si ascrive, sono in realtà molto labili. E' vero, si parla di sevizie, si versano litri di sangue, e la violenza rappresentata arriva in certi momenti a livelli intollerabili. Ma non è ciò che si vede sullo schermo a far correre i brividi lungo la schiena, non la violenza estrema stavolta magistralmente filmata. L'orrore, quello vero, scaturisce dal profondo, dalle motivazioni pretenziose e inconcepibili che non hanno niente a che vedere con le pulsioni sadiche dei soliti mostri pervertiti cui siamo abituati. Il film si apre con una bambina mezza nuda, coperta di sangue e lividi che fugge urlando da un luogo fatiscente. Sappiamo solo che si chiama Lucie, e che ha subito violenze inenarrabili delle quali non riesce nemmeno a parlare. Nell'orfanotrofio che la accoglie fa amicizia con un'altra bambina, Anna, che presto si lega a lei con un sentimento che va oltre l'amicizia. Ma c'è qualcun altro nella vita di Lucie. Qualcuno (qualcosa?) che l'ha seguita nella sua fuga. Qualcuno che può vedere lei soltanto e ne condiziona tenacemente le scelte. Dopo quindici anni, Lucie ormai cresciuta ritiene di riconoscere in una normalissima famiglia della borghesia francese i propri aguzzini e ne fa strage, senza che Anna, rimastale vicina per tutto questo tempo, possa far nulla per impedirlo. E' solo l'inizio di un incubo che sembra arrivare al traguardo ogni quarto d'ora per poi spiazzare lo spettatore e cambiare registro, addentrandosi sempre più in un tunnel di orrore malsano e pregno di sottotesti nichilisti. Il racconto è condotto con una tensione che non allenta mai la presa. Il soprannaturale (ma è solo una delle letture possibili) fa irruzione nella storia in modo agghiacciante, citando icone e stilemi del cinema dell'orrore giapponese. Come molte blasonate pellicole del passato, l'arrivo di “Martyrs” è stato preceduto da una serie di voci pubblicitarie dal gusto stantio. Si parla di svenimenti in sala, spettatori che hanno abbandonato il cinema non sopportando la visione, vomiti e così via. E' molto probabile che di vero non ci sia nulla, ma è certo che la visione di “Martyrs” è un'esperienza dura da metabolizzare. Il pessimismo di base, l'assenza di catarsi e la totale disillusione, ne fanno un'opera nerissima e sconvolgente a prescindere dalle efferatezze sanguinanti che lo permeano dall'inizio alla fine. La sofferenza di cui i martiri sono testimoni (“testimone”, questo l'etimo della parola “martire”) non conduce da nessuna parte. Ci sembra di cogliere tra le righe un atto d'accusa contro una società ipocrita e falsamente religiosa, che fa del dolore degli altri una filosofia assoluta che dovrebbe condurre alla verità per eccellenza. Ma quando questa verità è svelata, l'orrore del suo vuoto, della sua insensatezza travolge e abbatte anche l'istituzione che ha preteso di venerarla attraverso la sofferenza degli ultimi. Pascal Laugier ha dedicato il film a Dario Argento, ma scrive bene chi ha detto che la dedica spetterebbe in realtà a Clive Barker, l'autore brittanico cui si devono “Hellraiser” e “Cabal”, noto per la sua poetica del dolore e la sua ferocia iconoclasta.
“Martyrs” non sarà un capolavoro, ma sicuramente è un film che si eleva molto al di sopra degli standard attuali travalicando addirittura il genere. Sul versante delle interpretazioni, si può affermare che Mylène Jampanoï è bella e brava, e se giocherà bene le sue carte diventerà una grande attrice. Morjana Alaoui non è da meno, e tratteggia con naturalezza un personaggio che attraversa numerose fasi per la durata tutto sommato non lunghissima del film.
Se siete appassionati di cinema dell'orrore, “Martyrs” è un film che dovete conoscere, con la consapevolezza iniziale di trovarsi lontani anni luce dall'insulsaggine di un qualunque “Hostel”. L'orrore qui scorre sottopelle, avvampa nelle viscere e non dà tregua neppure a film concluso. Per appassionati, allora, consci di cosa stanno per affrontare. Tutti gli altri si astengano. O vedano “Martyrs” a proprio rischio. Questo horror sconvolge sul serio, e lascia una cicatrice sull'anima.
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