domenica 19 novembre 2006

The Wicker Man [di Robin Hardy]


E' sempre un piacere parlare (o riparlare) di piccoli classici del cinema di genere. Pellicole dimenticate, o comunque poco note nel nostro paese. Stavolta è il turno di "The Wicker Man", film inglese del 1973 diretto da Robin Hardy e visto in Italia solo sporadicamente su canali satellitari.
Questo piccolo film horror ebbe problemi con la censura in patria e non fu distribuito in terra italica, reo di descrivere i riti orgiastici di un culto neopagano in contrapposizione alla rigida morale cristiana britannica. A far tornare alla ribalta questo curioso film è l'occasione fornita dall'ennesimo remake prodotto da una Hollywood ormai in caduta libera per quanto riguarda le idee. Infatti, è in uscita sugli schermi il nuovo "The Wicker Man - Il Prescelto", con Nicolas Cage. Tipico esempio di minestra annacquata (oltre che riscaldata), che pare allontanarsi abbastanza dal racconto originale, sostituendo alle pratiche pagane la descrizione di una società matriarcale che asservisce gli uomini usandoli come bassa manovalanza. Sparito del tutto il confronto tra religioni, segno che la capacità di osare (sia pur nei limiti degli anni settanta) si è andata diluendo col passare del tempo.

Un avvertimento doveroso. Le righe che seguiranno sono ad alto contenuto SPOILER. Rivelerò, insomma, elementi importanti della trama non di uno, ma di ben due titoli. Quindi gli appassionati che non hanno ancora visto il film e desiderano gustarlo per la prima volta sono avvisati.

Il "The Wicker Man" originale merita senz'altro la sua fama. E' un film di spavento insolito, che sostituisce agli effetti esplicitamente violenti un'inquietudine più sottile: quella che nasce dal confronto tra due etiche totalmente diverse. Il sergente Howie, poliziotto dalla inossidabile cultura cristiana, riceve una lettera anonima che gli segnala la scomparsa di una bambina sulla piccola isola di Summerisle, dove vige l'autorità dell'omonimo Lord, interpretato da Christopher Lee. L'indagine lo porterà a scontrarsi con l'insolita vita del luogo. Una comunità fuori dal tempo, dove gli antichi riti celtici non sono stati cancellati dall'avanzata planetaria del cristianesimo. A essere oggetto di fede sono la forza primordiale della natura, il sesso e la fecondità. I bambini sono educati a culti priapici e sono frequenti i riti fecondativi svolti alla luce del sole per lo scandalo del bigottissimo tutore dell'ordine. Sotto certi aspetti, il film è anche uno strano musical. Il racconto è scandito dalle numerose canzoni che accompagnano i riti pagani, pare ispirate ad autentici motivi celtici. I numeri musicali (possiamo anche chiamarli così) sono avvincenti quanto inquietanti e contribuiscono al clima di estraneità e disagio costruito dal racconto.
Il film è un riconoscibile prodotto degli anni settanta, in cui il cinema scopriva provocazioni oggi del tutto innocue, come la scena del rito di fertilità svolto dalle giovani accolite che danzano nude intorno al fuoco, e il celebre balletto in abito adamitico di Britt Ekland, vista come una moderna dea dell'amore. Alcuni aspetti della comunità sembrano trarre ispirazione dalla Wicca, la più diffusa (soprattutto in America) tra le religioni neopagane contemporanee. Ma al di là degli aspetti antropologici più o meno affidabili, il film rimane pur sempre un thriller, ed il filo rosso del suo svolgimento è quello più prevedibile nei racconti del terrore: il sacrificio umano.

Un ultimo avvertimento SPOILER.

Dopo aver riesumato invano quella che sembrava essere la tomba della bambina scomparsa, il protagonista intuirà che questa è viva e sta per essere sacrificata il primo giorno di Maggio affinché le divinità della terra garantiscano un migliore raccolto alla comunità, appena uscita da un'annata particolarmente magra. A nulla serviranno gli sforzi dello sfortunato tutore della legge. Il sacrificio si terrà, ma la vittima predestinata non è la piccola, che è in effetti viva, vegeta e perversa quanto i suoi apparenti carnefici. Il sergente Howie scoprirà di essere stato adescato sull'isola e manovrato con una serie di sotterfugi affinché egli stesso compisse i passi preparatori al rito che lo vedrà bruciare vivo all'interno del totem di vimini creato per l'occasione: il Wicker Man del titolo (L'uomo di Vimini).

Il finale lascia interdetti sui reali significati del racconto. Il protagonista, poliziotto religioso e integerrimo dalla spiritualità bigotta, che si conserva vergine per il matrimonio e si rigira in bocca il nome di Gesù quasi fosse un chewing-gum, è descritto per tutta la durata del film come un personaggio decisamente irritante. Di contro, i neopagani dell'isola, per quanto sinistri, non mancano di un vaga simpatia, ispirata dalla gioia di vivere, dalla libertà dei costumi e dal profondo rispetto per la natura. Le scene finali (abbastanza agghiaccianti) mostrano la fine della vittima sacrificale che - ormai sconfitta - recita un salmo mentre intorno a lui echeggiano gli inni empi alle divinità della terra. Un rovesciamento di ruoli che, a mio parere, risulta inquietante e ambiguo. Si presta infatti a due letture. Un'apologia del cristianesimo, irriso con arguzia per tutta la durata del racconto, ma rivalutato in un finale che sembra dire allo spettatore: il cristianesimo non prevede violenze rituali, quindi teniamocelo stretto. Oppure una metafora sul fanatismo religioso che, alla fine della fiera, si dimostra distruttivo anche quando parte da presupposti che potrebbero essere condivisi. E a pagare il prezzo delle estremizzazioni è il concetto di umanità. Sia quando sopprime le pulsioni naturali dell'uomo riducendole a peccato, sia quando perde la misura del rispetto per la vita.

Oggi, le ricostruzioni storiche ritengono che nella realtà i Celti non praticarono mai sacrifici così cruenti, e che molta della cattiva fama dei loro riti fosse dovuta ai pregiudizi dell'Impero Romano che li asservì. Dubito, inoltre, che gli attuali adepti della Wicca amino molto "The Wicker Man", che rimane - ricordiamolo - soprattutto un film del terrore.

La riflessione che mi intriga, però, ha a che vedere più con la geometria del racconto che con i suoi aspetti estetici più palesi. E sono giunto a ritenere che un remake non accreditato di "The Wicker Man" fosse già stato prodotto. Glissando sui temi neopagani e sul confronto di religioni, ma riproducendo in modo piuttosto fedele i meccanismi narrativi che conducono il film verso il finale.

Il secondo film a cui mi sto riferendo è "Darkness", pellicola spagnola del 2002. Distante dalle ambientazioni gotico-rurali di "The Wicker Man", anche "Darkness" è il racconto di un culto stregonesco risoluto a compiere un sacrificio umano che si prepara da lungo tempo. Le motivazioni dei personaggi sono ben diverse (la liberazione di un oscuro demone e non il propiziarsi un buon raccolto), ma il gioco del racconto di spavento sono molto simili. Anche in "Darkness" i protagonisti si adoperano per prevenire la celebrazione di un rito di sangue che vedrà come vittima uno di loro. Ma anche qui scopriranno, in un finale concitatissimo, che era tutto un abbaglio, che la vittima prescelta era tutt'altra, e che le loro azioni sono state influenzate affinché essi stessi diventassero gli inconsapevoli complici dell'orribile stregoneria.

Vi ricorda niente? Sia in "The Wicker Man" che in "Darkness", vediamo ribaltare la regola base del racconto giallo. Praticamente, ci viene subito mostrato chi sono gli assassini, ma il vero enigma è l'identità della vittima, che alla fine risulterà non essere il personaggio che credevamo.

E' questo il vero nocciolo del film. Già rifatto nel 2002, per quanto riguarda i meccanismi ad orologeria della trama, e pare completamente distorto dalla nuova pellicola del 2006.

Visto l'attuale trend del remake, che pare travolgere in modo particolare il genere horror, diventa sempre più difficile dire qualcosa di nuovo. E anche dirlo bene. Né servirà sacrificare classici del cinema al dio profitto per scongiurare la galoppante crisi delle idee.

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