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domenica 12 luglio 2015

TUSK di Kevin Smith


Un giovane giornalista radiofonico, specializzato nel raccogliere storie grottesche e nel mettere alla berlina bravate shockanti nel suo podcast, si avventura in Canada per documentare l'ennesimo teatrino della crudeltà mediatica. Ma dopo aver "bucato" la storia principale, si lascia sedurre dal racconto di un anziano ex marinaio in sedia a rotelle. Personaggio pittoresco e d'altri tempi, apparentemente depositario di una quantità di racconti curiosi. Tra questi c'è però la storia traumatica di un naufragio, di una strenua lotta per la sopravvivenza in mare. E su tutto, l'ombra inquietante di un animale totemico...




TUSK (2014) è un film spiazzante. Inclassificabile come la maggior parte delle pellicole girate da Kevin Smith, del resto. Un horror (o una commedia nera?) che quasi non dice di esserlo, ma di fatto lo è, diventando tanto più disturbante quanto il racconto procede di pari passo con l'ironia goliardica (e i parallelismi sul cinismo mediatico contemporaneo) di cui Smith è ormai un maestro. Un film forse non perfetto, ma che conquista per i dialoghi frizzanti e un cast sorprendente. Non foltissimo, ma animato da attori camaleonte in grado di offrire caratterizzazioni che non ti aspetteresti. Il duttile Michael Parks, Justin Long (visto nel primo Jeepers Creepers), il cresciuto (e ingrassato) Haley Joel Osment (il bambino del Sesto Senso) e un sempre più sfaccettato Johnny Depp, qui quasi irriconoscibile nel suo bizzarro, esasperante personaggio. 
Non saprei dire in che misura TUSK rappresenti il superamento del sottogenere horror che ci siamo abituati a definire "torture porn" o un alto punto nell'evoluzione della metafora dell'uomo disumanizzato dagli eccessi, dal pregiudizio e da una progressiva perdita di sensibilità. Un'umanità che per ritrovarsi deve diventare qualcos'altro. Ma che sarà sempre qualcosa che porterà all'irrisione, alla goliardia, e alla negazione di un orrore fondamentale, in un cortocircuito (suggerito durante i titoli di coda, dove Kevin Smith si autocita) davvero sinistro nel suo irriducibile rifiuto di prendersi sul serio.

[L'artista Francesco Francavilla ha realizzato una serie di immagini promozionali in stile fumettistico]



lunedì 28 febbraio 2011

Green Hornet 1: I peccati del padre


Molti anni fa, il vigilante Green Hornet era riuscito a ripulire Century City più o meno definitivamente. La criminalità organizzata aveva finito con l’arrendersi davanti al pungiglione dell’eroe mascherato, alla mano infallibile del suo fido autista Kato, e aveva imparato a temere il rombo della loro auto, l’inarrestabile Black Beauty. Era venuto il tempo in cui il giustiziere aveva appeso la maschera al chiodo per vivere intensamente al fianco della propria famiglia, dell’amatissima moglie e di un figlio ribelle che mai avrebbe dovuto sapere della doppia identità di suo padre. Oggi, però, il crimine di Century City sta tornando ad alzare la testa e stavolta la sfida potrebbe essere troppo per un Green Hornet ormai stanco e avanti negli anni...


Mentre su tutti gli schermi esce il film Green Hornet diretto da Michel Gondry, la Dynamite (etichetta ormai specializzata nel recupero e nel rilancio di franchise d’epoca) spara la sua cartuccia, e una volta di più centra il bersaglio. La serie targata Dynamite dedicata al personaggio nato alla radio nel lontano 1936 non ha nulla a che vedere con la pellicola di Gondry interpretata da Seth Rogen, se non l’elemento di avere per protagonista un eroe pulp forgiato negli anni attraverso l’alchimia di media differenti.


Nato come personaggio radiofonico, passato al cinema e ai fumetti, e quindi sdoganato in televisione negli anni 60 da una serie di telefilm, ricordata soprattutto per l’esordio del giovane Bruce Lee nella parte di Kato, Green Hornet si preparava a tornare sul grande schermo già da un po’. Se ne era occupato Kevin Smith, regista di film di culto, che aveva redatto una sceneggiatura per un film che avrebbe dovuto firmare egli stesso, ma che non avrebbe mai visto la luce. La recente attenzione di Hollywood per il personaggio ha indotto la Dynamite a interessarsi alla sceneggiatura dimenticata di Smith e a proporgli di adattarla affinché diventasse una nuova serie a fumetti.


Ecco dunque arrivare, edito in Italia dalla Panini Comics, il primo volume di un Green Hornet “alternativo” a quello attualmente proposto sullo schermo da Michel Gondry: il Green Hornet di Kevin Smith. Il regista di Clerks non è certo nuovo al linguaggio dei fumetti. I suoi interventi su Daredevil, Spider-Man, Freccia Verde e recentemente anche Batman, sono noti per i loro risultati sempre di qualità sebbene altalenanti, comunque caratterizzati da una verve personale, un’ottima gestione del ritmo e una profonda conoscenza dei personaggi. Con Green Hornet: I peccati del padre, troviamo Kevin Smith in splendida forma, in grado di regalarci un fumetto supereroistico che più classico non si potrebbe, ma trasfigurato da un linguaggio fulminante che ricorda in più punti i dialoghi frizzanti di chi ha scritto e diretto film come Clerks e Dogma. Smith sfrutta i collaudati meccanismi dell’avvicendamento generazionale e del viaggio iniziatico di un eroe inizialmente fatuo, ma giocando con i cliché in modo tale da conferire loro una rinnovata freschezza, rendendo il Green Hornet della Dynamite una divertente sorpresa. I disegni di Phil Hester (già al fianco di Kevin Smith su Freccia Verde e illustratore di Project Superpowers), faranno felici sia gli appassionati dell’illustrazione più classici quanto chi cerca in un fumetto virtuosismo grafico e dinamicità. Personaggi caratterizzati in modo tagliente tanto con la matita che con le parole, in un amalgama fumettistico che riesce a riassumere il meglio dell’avventura tradizionale attraverso l’uso di un linguaggio moderno e ricco di umorismo. La Mulan Kato di Kevin Smith si guadagnerà certamente un posto accanto alle bad girls più celebrate, come Elektra e Shi. Buca la pagina anche il giovane Britt Reid Jr., un vero eroe alla Kevin Smith, sciatto, pasticcione, arrogante e buffo, ma con una maschera sul viso. Green Hornet restituisce ai lettori il gusto di un’avventura semplice raccontata benissimo, dove stile e ritmo sono i principali motori del racconto.
 

Il volume è completato dalla gallery delle copertine alternative realizzate da Alex Ross e John Cassaday. Un’appendice che per una volta è pienamente giustificata dalla qualità delle illustrazioni che presenta. Green Hornet di Kevin Smith è una piacevole occasione di lettura in un panorma supereroistico sempre più omologato e di conseguenza spesso noioso.


Questa recensione è stata pubblicata anche su FantasyMagazine.


[Articolo di Filippo Messina]