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lunedì 26 novembre 2012

The Strain 1


Mentre si approssima un'eclissi, un Boeing 777 atterra all'aeroporto JFK di New York avvolto nel più totale silenzio. Nessun segno di vita, nessuna trasmissione. Inoltre tutti i finestrini e i portelli d'emergenza sono serrati dall'interno. L'intero aereo sembra essersi trasformato in un'enorme e silente cripta che non prevede interferenze esterne. Le forze speciali e il centro per le malattie infettive si allertano subito per circoscrivere quello che potrebbe essere un atto terroristico o l'inizio di una pericolosa epidemia. Tutti a bordo, infatti, tra passeggeri e personale, sono trovati defunti, eccetto tre persone che non ricordano assolutamente nulla. Nella stiva, inoltre, è rinvenuto un oggetto bizzarro, simile a un antico sarcofago coperto da sinistri graffiti...

Esistono storie eterne, soggetto di narrazioni cicliche, che più volte nella vita ci è capitato o ci capiterà di ascoltare. A volte indistinguibili dalle versioni più antiche che ricordiamo, altre con elementi di novità – se non nella trama – nella conduzione del viaggio verso un traguardo che potrebbe essere noto o – in qualche caso – sorprenderci. L'incipit di The Strain è esemplare al riguardo, proponendo un prologo che è già di per sé un esercizio di stile. In Romania, agli inizi del secolo scorso, un'anziana nonna racconta al nipotino una storia di spavento per indurlo a mangiare la minestra. Forse è solo uno dei tanti racconti sull'uomo nero. Eppure, tra le righe, sembra fare capolino qualcosa di palpabile e inquietante. La vicenda di un uomo deforme, giunto in quelle terre dalla Polonia, sopravvissuto a un sanguinoso mistero e rinchiuso in un irriducibile eremitaggio, mentre nei dintorni si moltiplicano morti inspiegabili e si diffonde un timor panico per l'ossessionante picchiettare del suo bastone da passeggio: pick... pick... pick....
Dall'atmosfera gotica e fiabesca, siamo scaraventati dunque nell'America dei giorni nostri, nella vita del medico Ephraim Goodweather e nell'enigma di un aereo di linea trasformato di fatto in una sorta di vascello fantasma. Un evento che un anziano ebreo, da qualche parte, sembra stesse attendendo da tempo. Da quando sua nonna, una sera, gli raccontò una terribile storia.


The Strain, serie a fumetti nata dalla trilogia letteraria firmata dal regista Guillermo Del Toro (Hellboy, Il labirinto del fauno) e dallo scrittore Chuck Hogan (edita in Italia da Mondadori), è la dimostrazione che una storia può contare non per quanto dice, ma per il modo in cui viene narrata e per le emozioni che riesce a suscitare. Sul soggetto degli autori dei romanzi si basa la sceneggiatura del duttile David Lapham (YoungLiars, Crossed: Valori di famiglia), qui felicemente accompagnato dal disegnatore Mark Huddleston, a suo agio nell'alternare momenti di quiete apparente ad atmosfere cupe e cariche di tensione. Parliamo del primo numero italiano (quindi due albi americani) di una serie Dark Horse che cattura l'attenzione sin dalle prime pagine e riesce a tenerla stretta per tutta la durata dei due capitoli che compongono l'albo. Un lavoro di narrazione artigianale, dialoghi calibrati ed eventi rivelati poco per volta, sono la vera ragion d'essere di questo The Strain, creatura ibrida tra narrativa e fumetto per la quale si sta già progettando una serie televisiva. Il bersaglio è centrato: far rabbrividire il lettore e indurlo ad affrontare il capitolo successivo. E oggi, diciamolo, non è più così facile quando si parla di vampiri. Il Dracula di Bram Stoker è notoriamente stato saccheggiato fino allo sfinimento. I suoi feticci, i suoi miti, rivisitati praticamente in tutti i modi possibili. 


E' difficile, sfogliando The Strain, non pensare all'inizio di Space Vampires, romanzo del britannico Colin Wilson (e al trascurabile film che ne trasse Tobe Hooper). L'opera di Wilson si proponeva di collocare il vampirismo in un domani prossimo venturo e di cercare la sua origine negli spazi siderali, come forma di vita extraterrestre. Nel libro di Wilson, le creature vampiresche giungevano a bordo di un'astronave che aveva incautamente caricato delle teche di cristallo contenente i corpi inanimati di tre umanoidi. Astronave che giungeva sulla terra silenziosa e priva di equipaggio, ma non disabitata. Una lettura moderna (per quanto poteva esserlo un romanzo del 1976) e fantascientifica dell'epico arrivo di Dracula in Inghilterra su un mercantile apparentemente deserto se non per il cadavere del capitano che l'ha condotto in porto prima di spirare. Un episodio iconico del romanzo di Bram Stoker, rappresentato da decine di pellicole cinematografiche e già rivisitato nella letteratura fantastica come nei fumetti (compreso il celeberrimo 30 Giorni di Notte, di Steve Niles e Ben Templesmith). 


Con The Strain ci troviamo davanti a un'ennesima citazione, e a un'ulteriore rivisitazione del tema vampiresco, che peraltro qui segue il filo di un'evoluzione mediatica, da romanzo a fumetto. Quanto suggerito dai primi due episodi dell'edizione italiana (che seguirà una pubblicazione bimestrale sulla nuova collana Panini Suspence) è un parziale ritorno alle origini del mito dei succhiasangue. Niente sbrillucicamenti al sole, nessun amore romantico con donne umane, niente diete alternative o vampiri integrazionisti. Le versioni romantiche, come quelle più recenti e melense, ma anche quelle più emblematiche e politiche, sono spazzate via. Il vampirismo è una brutta bestia, una malattia da cui nessuno vorrebbe essere sfiorato. Come fa giustamente notare Davide Morando nella sua postfazione al primo volumetto edito da Panini Comics, il vampiro di Stoker che giungeva sulle coste britanniche a bordo di una nave spettrale, incarnava la paura dello straniero e tutte le ansie xenofobe che (ahimé) tuttora resistono al trascorrere del tempo. Del Toro e Hogan aggiornano queste fobie con i timori di un attacco biologico, di generica natura terroristica. La nuova declinazione del racconto, mostrato attraverso gli occhi dello staff medico chiamato a fronteggiare la potenziale minaccia, è efficace e fa crescere la voglia di scoprire “come” saranno presentati i vampiri stavolta. Creature, già sappiamo, distanti dalle interpretazioni più moderne e ormai stucchevoli, ma anche da quelle più classiche, dotate di caratteristiche e modus operandi del tutto personali. L'illustrazione di copertina di Mark Huddleston cita abbastanza chiaramente i Mietitori, i vampiri mutanti protagonisti di Blade II, film diretto proprio da Guillermo Del Toro, interessato al tema del vampirismo sin dai suoi esordi di cineasta (Cronos, 1993). Le successive evoluzioni (e possibili innovazioni) di questa versione a fumetti del primo romanzo della trilogia letteraria (la prima miniserie originale conta dodici uscite) resta tutta da scoprire. La certezza è che l'esca sull'amo è succulenta, e ci fa abboccare in attesa di qualcosa di più, in attesa di sangue fresco.


 Questa recensione è stata pubblicata anche su FantasyMagazine.

[Articolo di Filippo Messina]






lunedì 29 ottobre 2012

Crossed: Valori di famiglia


Adaline, la maggiore delle ragazze Pratt, quella sera aveva appena imbracciato il fucile. Il suo proposito era quello di assassinare il padre, dopo l'ultimo disperato tentativo di ragionare con lui. Per diciassette lunghi anni, il religiosissimo Joseph Pratt aveva mandato avanti il ranch di famiglia violentando regolarmente tutte le sue figlie femmine. Tutte eccetto Adaline, più risoluta e forte anche dei fratelli, inermi di fronte al dispotismo del capofamiglia. Così come la madre, patetica caricatura di uno stucchevole angelo del focolare, prigioniera della propria mostruosa debolezza. Ma prima che Adaline potesse tirare il grilletto, una figura urlante saltò fuori dal bosco intorno alla casa dei Pratt. Una piaga sanguinolenta a forma di croce gli attraversava il viso e l'espressione di feroce giubilo tradiva intenzioni tra le più violente.
Non era solo. Presto il ranch fu assediato da un'orda di creature folli e malvagie, portatrici di un letale contagio in grado di trasformare il più mite degli uomini in una creatura priva di inibizioni, feroce e sadica. Solo la rude risolutezza di Joseph riuscì a sfuggire alla morsa del nemico e a guidare i propri familiari superstiti verso una parvenza di salvezza. Sempre nel nome di quel dio che Joseph aveva insegnato ai suoi figli a venerare. Quel dio che non aveva mai mosso un dito per impedire le nefandezze di un padre contro la propria progenie. Fu così che Adaline ripose il fucile per seguire il genitore in quella disperata corsa per la sopravvivenza, mentre il misterioso virus faceva impazzire il mondo intero, popolandolo di ottusi e perversi mostri bramosi di sangue e morte. Un mondo, forse, non troppo diverso da come è sempre stato, come dio o il diavolo lo hanno forgiato... 

 

Crossed: Valori di famiglia è la seconda miniserie dedicata all'universo apocalittico presentato da Garth Ennis e Jacen Burrows in un primo ciclo di successo che ha generato velocemente più spin off e si appresta a inaugurare anche una serie regolare il cui primo arco narrativo tornerà in mano al suo demiurgo originale. Al timone di Valori di famiglia troviamo invece David Lapham (Stray Bullets, Young Liars) per i disegni dello spagnolo Javier Barreno. Si è scritto che Crossed: Valori di famiglia non può essere considerato un seguito della precedente serie, ma un racconto ambientato nel medesimo contesto narrativo, i cui sviluppi sono del tutto indipendenti dalle trame raccontate da Ennis e Burrows. E' proprio così. Valori di famiglia può essere letto come un inizio alternativo, dove la pandemia che sconvolge il mondo è la medesima, ma dove gli avvenimenti sono osservati da un punto di vista differente. Ma non è tutto qui. Crossed: Valori di famiglia è spiazzante per la profonda diversità di approccio ai medesimi spunti partoriti dalla mente di Garth Ennis, e l'estro surreale e insinuante di David Lapham (vicino per spirito iconoclasta ai grandi autori della Beat Generation) riesce a cucinare un piatto affatto nuovo partendo dalla ricetta che gli era stata fornita. Ma la bizzarria del fenomeno Crossed non si esaurisce qui, e fornisce altri interessanti spunti di riflessione.


Parlando del primo Crossed, abbiamo percorso un cammino a ritroso che potesse aiutarci a comprendere meglio le sue radici nell'immaginario horror maturato per mezzo secolo, a spiegarcene l'odierno successo commerciale e a definirne i redivivi elementi splatterpunk. In patria, il franchise ideato da Ennis ha spopolato, seguito dal successo delle ulteriori miniserie scritte da David Lapham. La situazione è un po' diversa in Italia, dove la serie iniziale è stata accolta da molti con entusiasmo e celebrata come un gioiello del perturbante, mentre il “non sequel” firmato da Lapham è andato incontro a critiche severe se non a un vero e proprio rigetto da parte di quanti avevano apprezzato il racconto apocalittico di Garth Ennis. Si è scritto (e a ragione) che il racconto di David Lapham accentua ulteriormente l'orrore estremo e provocatorio del precedente ciclo narrativo. Si è parlato di caduta di stile, di noia e assenza di una vera trama. Di violenza macabra e stavolta fine a se stessa. Di brutti disegni e fondamentale inutilità.


E' davvero strano (ma anche intrigante) scoprire che la serie scritta da Lapham è tutto il contrario.
E' un fumetto estremo, sporco, ma di sottile fascino. Una storia che ha tutte le carte in regola per essere (almeno per chi scrive) il “vero” Crossed. Molto più punk del suo predecessore, nelle idee ancor prima che nella forma. Un racconto disturbante e metaforico, che ha con il ciclo di Ennis lo stesso rapporto che il film Zombi (Dawn of the Dead) avrebbe con uno dei tanti Resident Evil.
La serie di Garth Ennis conservava, sia pure camuffata, l'ironia grottesca tipica dell'autore irlandese, e seguiva meccanismi classici da survival horror. In Valori di famiglia non si sogghigna neppure per un attimo. Piuttosto ci si sente torcere le budella. I meccanismi da thriller classico restano sullo sfondo, mentre l'orrore s'insinua sottopelle. E si riflette.


La trama è densa e sfacciatamente allegorica. Lapham mette al centro del racconto una figura iconica della storia di frontiera: il patriarca, simile a un monarca alla guida del suo ranch. Capo spirituale e leader incontrastato del suo branco. Lo ammanta con ombre provenienti anch'esse da pagine amare della storia americana, con la pratica dell'incesto e della religione esercitata come strumento di potere. La croce sul volto degli infetti diventa così più che mai ambigua e simbolica. Simbolo religioso o di tortura? Magari entrambi, secondo l'estasi del dolore e dell'annichilimento vissuta dai contagiati. Una storia di orrore che si propone di essere una parabola nera, coltivando capitolo dopo capitolo un senso di raccapriccio molto più concettuale rispetto al suo predecessore, e forse per questo meno immediato per alcuni lettori.

Il racconto horror di Lapham, che parte dal cliché basico di una mostruosa epidemia planetaria, è una celebrazione psicanalitica dei legami familiari, soprattutto per quanto riguarda i rapporti convenzionali e reali tra genitori e figli. Crossed: Valori di famiglia è prodigo di citazioni freudiane, spesso espresse con scene agghiaccianti che rappresentano sempre l'apice di un disagio psicologico ben orchestrato. Il mito di Crono è rappresentato più volte, in una visione pessimista delle relazioni tra consanguinei che culmina con quella che è forse la sequenza più macabra e violenta degli ultimi anni. Anche la già celebre scena di pubblica defecazione (con conseguenze splatter), che tanto sembra aver disgustato i fans di Garth Ennis, non è che la teatralizzazione didascalica di una pulsione genitoriale spogliata da ogni umano freno inibitore. L'esasperazione di una madre per un figlio che sporca in un momento inopportuno. Così come l'inattesa inversione di ruoli (anche sessuali) raccontata con una simbologia forse scontata, ma di sicuro impatto emotivo. Padri, madri, figli e figlie, in numerosi frangenti non vorrebbero fare altro che ammazzarsi a vicenda. Per Lapham, l'epidemia che trasforma in maniaci assassini, in realtà pone l'accento su pulsioni umane normalmente soffocato dalla cultura, dalla religione e dalle convenzioni sociali. A tenere unita la famiglia è soprattutto la necessità di sopravvivere. Unica ragione che permette di lasciare da parte anche una colpa grave come quella di un padre che violenta e ingravida le proprie figlie. Figura mostruosa e salvifica nello stesso tempo, impastata di contraddizioni morali e motore principale di una tragedia familiare che farà all'amore con il terribile contagio, come se fossero l'una l'immagine speculare dell'altra.
Qualcuno ha definito Crossed: Valori di famiglia un'avventura western-splatter. Di west, in verità, ci sono soltanto gli accenni iconici, oltre agli ampi spazi della frontiera, i cavalli e la loro vitale necessità. Siamo in presenza di una storia horror che fa orrore per davvero, dove il confine tra mostri e umani è molto più labile che nella prima saga. Non è un caso che in Valori di famiglia gli infetti parlino molto di più, spesso suggerendo che l'identità dell'individuo non è del tutto scomparsa, ma è stata piuttosto sfrondata dai condizionamenti del Superego, lasciando libero l'Es, la parte amorale e pulsionale per antonomasia, libera di esprimersi in tutta la sua mostruosità. 



Valori di famiglia, prende in qualche modo anche le distanze dall'elemento zombesco. Stavolta gli infetti ricordano molto, per espressioni e linguaggio, l'indemoniata de L'Esorcista, insinuante e rivelatrice di magagne nella sua volgarità, e fanno gelare il sangue quando, imprigionati, ricorrono alle parole per tormentare le proprie vittime. Inquietante la versione oscena della canzone Que sera sera, ulteriore profanazione concettuale che riassume l'inferno di una vita vissuta in uno stato di abominevole sottomissione. Parlando, per concludere, dei disegni del bistrattato Javier Barreno: l'artista, pur senza particolari guizzi creativi, mette la sua matita al servizio della storia di Lapham, e la completa graficamente in modo diligente. Forse con uno stile che qualcuno abituato al mainstream potrebbe trovare un po' troppo underground (non riusciamo a trovare altra spiegazione per chi ha giudicato con un deciso pollice verso il suo modo di disegnare). Incrociando l'espressività iperrealista di Steve Dillon (ma senza la sua patina beffarda) con delle anatomie che rimandano alle figure spettrali di Egon Schile, Barreno riesce a evocare uno scenario splatterpunk forse meno commerciale rispetto a quello di Jacen Burrows, ma proprio per questo più verace e disturbante. E' probabile che le ambizioni letterarie e metaforiche del racconto ideato da Lapham abbiano finito col travolgere il lavoro svolto da Barreno, facendo sì che quanti inciampano sui molti rimandi simbolici e psicanalitici guardassero con antipatia anche le sue illustrazioni, in realtà efficaci e tutt'altro che disprezzabili. 

In definitiva, Crossed: Valori di famiglia, è a nostro parere un fumetto molto più interessante rispetto alla serie progenitrice. Proprio perché in grado di cannibalizzarne il modello commerciale per produrre una macabra parabola sulla controversa natura delle relazioni umane. Persino il finale, definito da qualcuno fuori luogo e inopportuno, è quanto di più trasgressivo possa essere concepito come conclusione di un'odissea all'insegna dell'orrido e della crudeltà. Uno sputo in faccia a un uditorio di fans affamati di tenebra e cattiveria d'accatto. La provocazione finale di David Lapham, che suggella una storia scritta con il sangue. Una risata silenziosa ma sardonica, mentre le lacrime scorrono amare, in sottofondo alla tavola conclusiva.
Può non piacere, non essere ciò che ci si aspettava. Ma la trasgressione, quella vera, è ciò che devia dal prevedibile, che spiazza, e ti colpisce dove non ti aspetti, dove ti farà più male.
Non alle viscere. Dritto al cuore.




Questa recensione è stata pubblicata anche su FantasyMagazine.


[Articolo di Filippo Messina]





lunedì 4 luglio 2011

Young Liars


Danny Noonan è un perdente. Uno dei tanti, con il suo bagaglio di frustrazioni e sogni di successo, affidati a una scalcinata band musicale. Danny però ha anche una ragazza, bella e sexy. Ma Sadie non è una ragazza qualunque. Non solo è la figlia ribelle di un perverso e potente imprenditore locale. Un proiettile conficcato nel suo cranio - che potrebbe farla cadere in coma da un momento all’altro - ha cancellato ogni suo freno inibitore e l’ha resa dipendente dalle emozioni forti, persa in un’orgia di adrenalina che la rende sempre più selvaggia e inarrestabile. Un manipolo di amici, altrettanto problematici e sbandati, li accompagna lungo un quotidiano cui si fatica a dare un senso. L’ennesima avventura, iniziata per inseguire un sogno di ricchezza, li condannerà all’inferno. E mentre il misterioso passato di Sadie collassa travolgendo tutto e tutti, la parola “bugiardo” acquisterà nuovi, terrificanti significati.

David Lapham deve la sua fama soprattutto a Stray Bullets, opera indipendente che ha riscosso, negli anni novanta, un cospicuo successo di critica e pubblico, valendo al suo autore il premio Eisner.  Già in Stray Bullets, Lapham aveva dimostrato la sua predilezione per i racconti corali, dove la vicenda di ogni singolo personaggio era la tessera di un complesso mosaico noir, ritratto di un disperato mondo di lupi. Young Liars, miniserie in diciotto capitoli scritta per la divisione Vertigo della DC Comics, conserva la collaudata struttura a più voci, ma adotta uno stile ancora più provocatorio, pop e psichedelico, puntando su un ritmo frenetico e un costante rovesciamento dei piani temporali. Non è possibile anticipare l’intreccio di Young Liars senza svelarne anzitempo i segreti più scottanti. La trama labirintica ordita da Lapham è deliziosamente grottesca, serrata come in un racconto thriller, surreale e impudente come solo un fumetto underground può permettersi di essere.

L’incontrollabile Sadie, l’ambigua anoressica Jakie, l’intrallazzone Runco, il transessuale tossico Donnie, la bella e nevrotica CeeCee, ma soprattutto l’infame e sfigato Danny Noonan, sono icone di una gioventù squarciata dalla vita e dall’ignoranza. Una generazione che ha fatto dell’impostura una vera regola per sopravvivere, fino alle conseguenze più estreme.  Pur nel loro disperato dibattersi, prede di bugie vorticose e miserie senza fine, Lapham sembra però osservare i suoi perdenti con simpatia. Quasi con affetto. Una punta di ammirazione colpevole per la loro follia giovane, la capacità di non arrendersi mai, mentendo spudoratamente anche a se stessi, anche davanti all’abisso più profondo. I giovani bugiardi di David Lapham, così sporchi e cattivi, sono a dispetto di tutto gli eroi di un’epica surreale, che in realtà rende omaggio allo spirito e alla fantasia umana come a una formidabile arma di resistenza.

Denso di situazioni paradossali e colpi di scena scioccanti, Young Liars è un gioiello che piacerà agli appassionati del cinema di David Lynch. Ma potrà conquistare anche chi apprezza la commedia irriverente alla Almodovar e le fantasie pulp di Quentin Tarantino. Il personaggio di Sadie, con la sua vicenda tragica e ai limiti del plausibile che le conferisce risorse incredibili, tiene di fatto un piede nel mondo dei supereroi. Quelli più dannati e revisionisti, almeno. E anche strutturalmente, Young Liars mente per tutto il suo percorso, ingannando e distraendo il lettore con ripetuti mescolamenti di carte, personaggi e generi. Il tutto rigorosamente al tempo di un rock con il volume a palla.
Superbo esercizio di stile, Young Liars di David Lapham è un piccolo capolavoro del fumetto indipendente, ricco di spunti e sperimentazioni narrative. Qualcosa di sufficientemente moderno e contro tendenza da aiutarci a riscoprire echi di un passato glorioso, come la poetica allucinata di William S. Burroughs e i primi ispirati passi della beat generation. David Lapham ha ormai una personalità inconfondibile, così come la sua caratura di autore fuori del coro, con Young Liars, è definitivamente consacrata.
E questa, certamente, non è una bugia, ma semplicemente una piacevole verità.


Questa recensione è stata pubblicata anche su Fumettidicarta.

[Articolo di Filippo Messina]