domenica 5 gennaio 2020

American Horror Story: ancora gli anni 80 (ma non solo...)


Finito di vedere "American Horror Story: 1984", nona stagione di una serie antologica che - pensa un po' - avevo smesso di seguire anni fa. Infatti, per me si è trattato di una rimpatriata non prevista (colpa di una blogger appassionata d'horror che per me ha sempre l'effetto del canto di una sirena). E una rimpatriata tutto sommato piacevole, dove rivedi qualche vecchio amico e scopri che dopotutto non l'avevi preso davvero in antipatia come pensavi. Avevo apprezzato la serie fino a "Freak Show", stagione bocciata da molti, ma che io mi ero goduto più della precedente "Coven". "Hotel" mi aveva lasciato molto amaro in bocca (e non per il gusto del sangue, e non tanto per l'assenza di Jessica Lange). Lo avevo trovato troppo frammentario, privo di una coerenza interna. "Roanoke" non ero riuscito a vederlo tutto. Niente. Lo show di Ryan Murphy e Brad Falchuk per me si era definitivamente arenato. Ho del tutto ignorato le stagioni successive. Poi, complice la stimata blogger di cui sopra e il tema dello slasher, in pieno revival anni 80, mi hanno persuaso a dare a "1984" una possibilità.
E che devo dire? Ho scoperto che AHS era ancora capace di divertirmi. Non parliamo di un capolavoro, sia bene inteso, e neppure dell'intesità e della ricchezza di temi di un "Asylum".


"1984" si propone di essere uno zibaldone di temi legati al filone slasher, e omaggia il genere in modo bulimico e a tratti... esilarante. Sì, perché il bagno di sangue che ne consegue sconfina nel demenziale, quando (un colpo di scena dopo l'altro) gli assassini iniziano a moltiplicarsi e praticamente rimbalzi da una turpitudine all'altra con lo stesso spirito presente in un cartone animato della Warner Bros. Di base, abbiamo gli anni 80 con il classico campo estivo. La leggenda metropolitana che fa da sfondo alla storia, e che ovviamente si rivela vera. La protagonista già reduce da un trauma. Il killer (IL killer? Quale?) mitico che riemerge dal passato per una nuova danza di morte. E tanti feticci horror di un cinema che fu, inseriti come farfalle in una collezione da mostrare a chi si corteggia (naturalmente tenendo un coltellaccio da cucina nascosto dietro la schiena).



"1984" quindi sconfina dall'horror al grottesco, diventando quasi una farsa insanguinata (e di violenza ce n'è un bel po'). Ci sono gli anni 80, per una volta non elogiati, ma fotografati con disincantato cinismo. C'è la mitologia interna della serie, che ci ha abituati a determinati tormentoni, qui usati molto bene. Del cast storico, in ogni stagione impegnato in ruoli differenti, non è rimasto molto. I pezzi da novanta hanno lasciato. Ma non se ne sente la mancanza, e molti volti noti si vanno presentando a sorpresa, a stagione avanzata, magari in ruoli minori. Emma Roberts è promossa a figura centrale. Apparentemente leziosa all'inizio, presenta un personaggio che avrà una discreta evoluzione nel corso dell'avventura. Sì, perché la storia propone più di un twist e cambi di prospettiva frequenti. Interessante la performance di Angelica Ross, bella e ambigua. Dopotutto, l'anno che è appena finito ha rappresentato una conquista per gli attori transgender, fino a poco tempo fa confinati a recitare sempre nella parte di se stessi. E Angelica Ross, con il suo ruolo femminile, il suo fascino e la sua grinta, ci fa capire che il vento sta finalmente cambiando. Lili Rabe è sempre brava, ma vorremmo vederla anche in parti dove non è isterica o posseduta dal demonio. Dylan McDermott (odiato da molti, non si capisce perché) offre la parodia di un altro celebre assassino del cinema anni 80. E per finire, non si può non voler bene a John Carrol Lynch, anche mentre squarta le sue vittime. In definitiva, un divertente giocattolone per gli appassionati di horror. Che ha pure il pregio di contare poche puntate di una durata contenuta. Niente di memorabile. Ma un pasticcino (al sangue) che ho mandato giù con gusto.



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