domenica 23 giugno 2019

Ciao, Vertigo (vivrai ben più di due volte)




La notizia che la Vertigo, etichetta “per lettori maturi” della DC Comics, chiude i battenti non è di per sé luttuosa come può sembrare. E' più simile all'annuncio che una grande ditta che ha legato storicamente il suo nome a un prodotto rivoluzionario cessa le attività dopo molti anni che il suo articolo è stato sdoganato, diffuso, ha fatto scuola e ormai è confezionato (a volte anche meglio) da tanti altri marchi commerciali che hanno fatto tesoro dei suoi insegnamenti. Certo, per i più maturi (quei “lettori maturi” che ne hanno visto l'esordio) è l'ennesimo segnale che il tempo passa, e che a un certo punto i grandi artisti si ritirano dalle scene. Questo può suscitare un brivido di nostalgia, di momentaneo rammarico, ma non significa che lo spettacolo non vada avanti. “Vertigo” è stata un'etichetta, ma è diventata anche una ricetta, una filosofia per intendere un determinato modo di fare fumetti. Il fatto che sia stato assimilato da altri editori non è da intendere come un male. Anzi.

Fondata nel 1993 dall'editor Karen Berger, la divisione Vertigo della DC Comics si fondava sul successo (e sugli stilemi) di due opere che avrebbero lasciato una forte impronta nella storia del fumetto non solo statunitense. Lo Swamp Thing di Alan Moore e l'irripetibile Sandman di Neil Gaiman. Questi due fumetti, oltre a sconvolgere l'immaginario di lettori abituati a opere più convenzionali, produsse un nuovo microcosmo, riconoscibile in parte con l'adunanza dei personaggi a sfondo magico della DC Comics, molti dei quali recuperati dalla soffitta editoriale e altri nuovi e pronti a sbancare nel nuovo millennio (qualcuno ha detto John Constantine?). Ma Vertigo ha rappresentato soprattutto un approccio maturo al racconto fantastico a fumetti. Una costruzione narrativa adulta, in certi casi anche discretamente ambiziosa in senso letterario. Una sperimentazione visiva ai tempi impensabile su testate rivolte al vasto pubblico. Insomma, una vera vertigine nel mondo del fumetto. Che si è imposta, si è fatta amare, e ha ispirato inevitabilmente anche produzioni concorrenti. Sotto questa etichetta hanno spopolato numerosi autori oggi di culto, molti dei quali riconducibili a quella oggi ricordata come “british invasion”. I già citati Gaiman e Moore, Grant Morrison, Warren Ellis, Garth Ennis, Mark Millar, Peter Milligan, e tantissimi altri. Con la Vertigo, il revisionismo supereroistico è diventato un nuovo canone, e opere uscite in precedenza, ma in sintonia con l'idea di base della divisione, sono andate ad arricchire l'etichetta in edizioni successive (“V for Vendetta”, “Animal Man”).



Il meccanismo, però, diciamolo, si era già inceppato da molto tempo. Il giocattolo era stato aperto, sezionato, esplorato e tutti i trucchi svelati. L'effetto sorpresa si era appannato e ormai ne restava solo il glorioso ricordo. E va bene così. Va bene che tante etichette differenti (in testa la Image) abbiano preso a un certo punto a produrre fumetti che ormai erano più Vertigo della Vertigo originale. Succede quando un'idea è talmente forte da fare scuola. E' un bene che le cose costruttive siano assimilate e condivise. Quel che conta è la produzione di buone storie.

Pertanto, ci prepariamo a salutare quella prima vertigine che sta per terminare il suo viaggio. Ma non è una vera fine. E' solo un passaggio burocratico. Perché noi lettori maturi, quei “mature readers” cui i fumetti Vertigo erano destinati, per poter andare oltre le consuete tute dei supereroi, continueremo a ricordare. E a definire “alla Vertigo” tutto quello che seguirà e ne conserverà l'ispirazione storica.

Ciao, Vertigo. E grazie di tutto.

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