venerdì 11 marzo 2016

American Horror Story: Hotel (riflessione finale di uno spettatore deluso)


Finalmente ho finito di vedere la quinta stagione del serial TV American Horror Story, il ciclo intitolato Hotel. E finalmente, in questo caso, indica un senso di liberazione, dal momento che la compulsione a non lasciare niente di incompleto mi ha spinto ad assistere allo show nella sua interezza, pur prendendomi delle confortanti pause per dedicarmi ad altre serie. Alla fine posso tirare le somme convinto della mia impressione iniziale: American Horror Story: Hotel è veramente, a mio parere, il picco più basso toccato dalla serie ideata da Ryan Murphy e Brad Falchuck.

Se la precedente stagione, FreakShow, aveva fatto storcere il naso a molti (io l'avevo in buona parte apprezzata, trovando ben più lacunosa la terza stagione, intitolata Coven), Hotel è una discesa nel kitsch senza ritorno. Già dal secondo ciclo, Asylum, la serie aveva iniziato a presentare una struttura composita, con più trame parallele e convergenti. Le stagioni successive hanno tentato tutte di seguire il medesimo criterio, ma senza riuscire a riprodurre lo stesso equilibrio. Hotel è un minestrone di situazioni e personaggi dove praticamente non esiste un vero finale per nessuno, un meccanismo che gira a vuoto azzardando l'ennesima rilettura di un mito mediatico ormai troppo sfruttato: i vampiri. I succhiasangue negli ultimi vent'anni sono stati oggetto di infinite riscritture, alcune interessanti, altre patetiche. Ma non avevo mai incontrato dei vampiri scialbi, incoerenti, privi di fascino come quelli che vediamo in Hotel.

Lady Gaga, premiata in modo incomprensibile con il Golden Globe come migliore attrice protagonista di una serie televisiva, non aggiunge gran che, se non fare pesare ancor di più l'assenza di un protagonista realmente carismatico dopo l'abbandono di Jessica Lange. Dal punto di vista recitativo, la popstar non è esattamente un disastro. Potremmo anche dire che si difende senza infamia e senza lode. Ma il suo personaggio vive soprattutto nei costumi appariscenti che sfoggia, e la sua performance, sia pure non disprezzabile, non meritava certo un premio. Insomma, Lady Gaga incede in una versione molto dilatata di uno dei suoi videoclip, mentre il sangue zampilla, la gente muore, serial killer realizzano omicidi raccapriccianti e macchinosi, e tutto sa terribilmente di statico e stantio.


Si è scritto che la rivelazione di Hotel è l'attore Denis O'Hare, nella parte della trans Liz Taylor. Ma che O'Hare fosse un attore duttile e di grande talento lo sapevamo già dai tempi di True Blood, nonché dalle stagioni precedenti di American Horror Story. La sua prova d'attore è sicuramente degna di nota ed è tra le cose più riuscite di Hotel, ma lo spazio a lui riservato è pochissimo e – ahimé – non basta a reggere il peso di un baraccone dove alla fine non quadra niente. Troppi spunti sprecati, troppe situazioni dimenticate per strada. Appunto: troppi, come le trame che vanno a comporre il mosaico (alla fine informe) di Hotel, collocandosi qualitativamente al di sotto anche del già difettoso Coven.

L'assenza di Jessica Lange, o comunque di un interprete al suo livello, si rivela dunque cruciale. Già da un po', la Lange appariva sacrificata, intrappolata com'era dagli sceneggiatori in ruoli troppo simili tra loro, da maliarda non più giovanissima, assetata di successo e di potere. Ma nonostante il ruolo sempre uguale, il fascino e il talento di Jessica rappresentavano un faro che illuminava la scena. Qui manca, e nessuno è in grado di prenderne il posto. Kathy Bates e Angela Bassett continuano a essere relegate a ruoli di supporto, e anche loro appaiono sempre più stereotipate. Lungi dal fermarsi, la sesta stagione di American Horror Story si farà. E probabilmente Lady Gaga sarà ancora della partita. Ma se le premesse sono quelle di questo Hotel, fosse sarebbe stata opportuna una pausa di riflessione.


Una serie antologica avrebbe potuto presentare approcci differenti alla materia trattata. Murphy e Falchuck, invece, non hanno fatto che servire sempre lo stesso menu, aumentando di volta in volta in modo esponenziale le quantità di ogni ingrediente, col risultato di presentare alla fine una pietanza dal gusto pesante e stucchevole. Emblematico, da questo punto di vista, l'effetto di già visto (sebbene voluto) che ci riporta alle dinamiche della primissima stagione. Solo che a quel punto anche lo spettatore si sente un fantasma legato a un luogo che non potrà mai lasciare, e la sensazione non è confortante.

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