L’invasione è iniziata decenni fa, in quella lontana, livida notte del 1969, di cui fu artefice George A. Romero, regista da allora tornato numerose volte sul luogo del delitto. L’attacco era incominciato, ma la conquista effettiva dei morti viventi avviene oggi. Gli zombi hanno marciato sugli schermi di tutto il mondo, viaggiando dagli Stati Uniti all’Europa, mutando linguaggio, umore e attitudini, ma rimanendo sempre riconoscibili come icone horror internazionale. Presto, i non morti hanno colonizzato l’industria videoludica, e hanno quindi preso ad attraversare anche le pagine di fumetti sempre più popolari, dapprima come comprimari, poi come protagonisti di vere e proprie saghe. Robert Kirkman con la sua serie The Walking Dead ha sdoganato definitivamente i non morti come elemento portante di spettacoli rivolti a un pubblico generalista, e la sua recente riduzione televisiva, dove conta parecchio l’apporto del regista-sceneggiatore Frank Darabont (The Mist, Il Miglio Verde), ha spopolato dimostrando che gli zombi antropofaghi creati da Romero nel 1969 godono (per quanto risulti grottesco a dirsi) di ottima salute. Una sortita televisiva precedente, ma in Europa, s’era avuta con la miniserie brittanica Dead Set, dove l’epidemia zombesca si diffondeva negli studi in cui si realizzava Il Grande Fratello anglosassone, e vedeva come principale carne da macello gli insopportabili concorrenti dei reality. Zombi dalle attitudini più o meno atletiche o catatoniche hanno ormai strappato ai vampiri lo scettro di mostro più saccheggiato dalla fiction. Questo ammesso che nel cinema e altri media attuali, la parola “zombi” significhi ancora qualcosa.
Gli sviluppi recenti (ma neanche più tanto) del genere horror ci ha abituato alla presenza di due soggetti mostruosi legati da una vaga parentela. Gli "zombi" propriamente detti (cioè i morti risorti dalla tomba per stregoneria o per ragioni sconosciute e più o meno propensi ad addentare la gente viva) e gli "pseudozombi" (vale a dire persone vive e vegete, ma infettate da qualcosa che le rende bestiali e feroci, spesso antropofaghe e contagiose). Il cinema di George A. Romero e le sue creature predilette hanno quindi figliato nei decenni nuove generazioni di personaggi più vicini concettualmente a terribili appestati fuori controllo che a creature tornate dalla morte. 28 Giorni dopo di Danny Boyle, lo spagnolo [Rec] e il canadese Pontypool sono solo tre dei film che hanno promosso il concetto di cinezombi da classico non morto a una generica minaccia collettiva dalle connotazioni in parte differenti, ma accomunate dal sempre efficace orrore della furia cannibale.
Nelle due miniserie in questione (scritte da Mike Raicht e disegnate da Kyle Hotz ed Eric Powell), ci viene descritta per l'ennesima volta il sorgere di una genia di morti mangiavivi, originati come al solito da un virus militare fuori controllo. Tutto si svolge in modo abbastanza aderente alle regole stabilite da George Romero nella sua celebre saga zombesca. L'inevitabile assedio da parte di un'orda di morti famelici, la presentazione di personaggi archetipici (l'impavido, il malvagio, la bella), con prevedibili episodi splatter e la genesi di quello che dovremmo riconoscere come l'eroe chiave del racconto: Simon Garth. Un impiegato di banca coinvolto in una sanguinosa rapina proprio mentre il fatale morbo inizia a infuriare. Dopo un'estenuante resistenza, Simon resta contagiato. Ma qualcosa in lui reagisce diversamente. Non si nutre dei vivi, sembra conservare un barlume di intelligenza e sopratutto l'attitudine alle azioni eroiche.
Quella del volume è una lettura che svaga, giacché non manca di tensione. Ma il senso di già visto, nonché una serie di spunti narrativi ormai sfruttati fino allo sfinimento, inducono a dimenticarlo non appena lo si ripone nello scaffale. La vera domanda è... perché Simon Garth? Perché questo nome?
Viene da pensare che la Marvel sentisse il bisogno di rispondere con una nuova uscita al successo emergente dei Walking Dead di Kirkman, pagando tributo al cinema di Romero, vero ideatore degli zombi come oggi li conosciamo. Esseri bestiali e cannibali che agiscono in gruppo, sbranando e contagiando gli sfortunati viventi che incontrano sulla loro strada.
Qualche decennio fa non era così. Ma Simon Garth c'era già.
George Romero aveva già consegnato alla storia il suo personale incubo horror, ma gli zombi a fumetti seguivano ancora regole differenti. Sorvolando sulla sua primissima incarnazione (un racconto breve firmato da Stan Lee e Bill Everett che risale addirittura al 1952), lo Zombie Marvel è ricordato sopratutto per la serie uscita tra il 1973 e il 1975, scritta inizialmente da Roy Thomas e Steve Gerber, e disegnata – tra gli altri – da illustratori del calibro di John Buscema e Pablo Marcos. La serie si intitolava Tales of the Zombie (in Italia l'abbiamo vista sul Corriere della Paura dell'editoriale Corno). Ed era tutta un'altra storia.
Tales of the Zombie è un piccolo gioiello degli anni settanta, recuperato solo in parte, qualche anno fa, dalla collana da edicola Dark Side della Gazzetta dello Sport. Era scritto in modo bizzarro e per molti versi inusuale. Il protagonista, essendo un morto vivente, era praticamente muto (anche se in un'unica storia bofonchiava qualche parola). La narrazione in terza persona era affidata alle didascalie, ma il cantastorie si rivolgeva direttamente al protagonista e lo chiamava per nome. A volte incitandolo, altre rimproverandolo, sempre commentando le sue azioni. Insomma, un espediente letterario molto particolare per infondere a un morto che cammina una personalità struggente. Indimenticabile la sequenza in cui lo zombie si trascina fino alla fabbrica di caffè dove lavorava in vita, scala un cancello elettrificato senza riceverne danno e va a sedersi sulla poltrona imbottita del suo vecchio ufficio. Circondato dal lusso, ma irrimediabilmente solo, nella morte come lo era in vita.
Questo era... è Simon Garth. Questo era un fumetto di qualità.
Zombie: Simon Garth è invece una miniserie senza infamia e senza lode, che segue in modo pedissequo i cliché ormai radicati nell'immaginario giovanile dal cinema e dai videogames. Unica traccia, il nome di Simon Garth. E si potrebbe aggiungere: peccato.
Se adesso pensate che alcuni fumetti degli anni settanta avessero qualche marcia in più rispetto alle spacconate del nuovo millennio... chissà, forse non siete ancora diventati degli zombie.
[Articolo di Filippo Messina]
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