giovedì 28 ottobre 2010

Non dormire, ci sono i serpenti...


"Non dormire, ci sono i serpenti" è il titolo del libro con il quale l'ex missionario e antropologo Daniel Everett descrive la sua affascinante permanenza presso il popolo dei Pirahã, nel tentativo (vano) di evangelizzarli, finendo sedotto egli stesso dal loro profondo agnosticismo, fino ad abbandonare la propria fede per dedicarsi a un approccio scientifico di stampo decisamente diverso. I Pirahã sono una una popolazione amazzonica che vive nella foresta tropicale lungo i fiumi Mauci e Autacies come comunità di caccia e raccolta. Il titolo del saggio, in apparenza minaccioso, è in realtà la forma che nel linguaggio dei Pirahã si avvicina di più al saluto che augura la buonanotte. Caratteristica peculiare dei Pirahã, infatti, è l'incapacità di concepire qualcosa che esula dall'esperienza personale, e quindi anche le forme augurali. Per loro, abituati a dormire per pochissimi minuti più volte al giorno e a cacciare durante la notte, un invito alla prudenza è una frase di maggiore senso compiuto.

Il californiano Daniel Everett, missionario protestante con spiccata attitudine per le lingue, fu il primo a essere inviato presso i Pirahã per apprenderne il linguaggio, tradurre il Vangelo in un modo a essi comprensibile e convertirne la popolazione. La missione di Everett era però destinata a fallire, generando l'affascinante paradosso di un missionario convertito al pensiero libero da quella gente semplice che era stato mandato a "salvare", per iniziare un cammino antropologico svincolato da condizionamenti mistici, fatto di rispetto e genuina curiosità scientifica. Daniel Everett è oggi uno stimato docente di letteratura e lingua presso l'Università di Stato dell'Illinois.

In realtà, se il cambiamento di percorso innescato nella vita di Everett è un fatto oggettivo, il presunto ateismo dei Pirahã è oggi molto discusso tra antropologi e spiritualisti. I Pirahã non possono essere propriamente atei perché nella loro concezione del mondo la religione non esiste. Potremmo definirli atei secondo una visione occidentale dell'idea di ateismo (cosa che si è tradotta nella perdita di fede di Daniel Everett), ma sotto alcuni aspetti (e secondo studi successivi) i Pirahã sembrano avere caratteristiche che sono forse (forse!) riconducibili all'animismo. Solo che l'animismo (sviluppatosi nell'arco dei secoli e presso più culture) è un grande crogiolo di mistiche differenti dove, semplificando molto, non si crede a entità trascendenti, ma si attribuiscono identità spirituali a cose e eventi naturali, e in genere si considera un'interconnessione naturale e armonica tra tutto ciò che esiste. Un discorso antropologico complesso e variegato, che Daniel Everett ha sintetizzato nel proprio ateismo (secondo la lettura occidentale) raggiunto frequentando i Pirahã. Ma bisogna tenere conto che il popolo Pirahã ha un linguaggio molto sintetico, minimalista, e il concetto stesso di spirito è sfuggente. Quindi definirli animisti potrebbe a sua volta essere un errore, una forzatura, e un tentativo di adattare ai nostri parametri occidentali qualcosa che per noi non è facile definire. Perché là dove una parola non esiste, certe cose non possono neppure essere immaginate. I Pirahã sono atei per approssimazione. Sono fondamentalmente dei razionalisti, e se hanno una loro forma di spiritualità (parola che per loro non ha alcun senso) questa è un tutt'uno con il loro quotidiano basato sull'esperienza diretta delle cose che possono vedere e toccare.

Il popolo Pirahã, con il suo linguaggio essenziale (hanno solo due nomi per i colori, e anche il loro sistema numerico è molto scarno) e l'estremo pragmatismo, continuano a essere una realtà collettiva affascinante. La loro lingua è tuttora oggetto di studi (alcuni dei quali hanno superato anche affermazioni dello stesso Everett) e in tempi più recenti, pare che alcune scuole brasiliane abbiano preso ad accogliere bambini Pirahã. Solo il tempo potrà dirci se questo produrrà un cambiamento significativo nell'esistenza del loro popolo, la cui grande semplicità è senz'altro spunto di riflessione. Non deve stupire che il capitolo del libro di Everett  in cui è descritta la sua conversione alla rovescia, sia diventato popolare in rete,  suscitando clamore intorno a questo saggio, che in realtà tratta in modo ampio la cultura e il linguaggio dei Pirahã. Il punto di partenza è forte, l'esperienza umana vissuta da Daniel Everett straordinaria. E paradossalmente (viste le modalità) il racconto della sua perdita di fede risulta persino commovente. Questo video (sottotitolato in italiano) presenta una lettura del capitolo in questione.



3 commenti:

  1. Molto bello questo articolo.
    Un libro che racconta un'esperienza simile, avvenuta in Africa, è
    "Figlio degli Evuzok", di Lluis Mallart

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