 Domenica
 di Maggio: Villa Garibaldi a Palermo. La tradizione è inossidabile. 
Mentre la primavera diventa estate, in chiesa si accendono i ceri e 
inizia la kermesse delle prime comunioni. La carovana dei piccoli 
palermitani accolti trionfalmente in seno alla comunità cattolica andrà 
avanti per tutto il mese. Piccole spose e piccoli manager, accompagnati 
da clan familiari tirati a lucido, spalancano le minuscole bocche per 
ricevere il corpo di Cristo, incalzati da ciurme di fotografi sudati. 
Per loro è un grande giorno. Almeno si direbbe così, a osservarli da 
lontano. Ma il momento più importante, una volta spenti gli incensi, è 
quello della villa. O della passeggiata a mare, poco più avanti, al Foro
 Italico. Set d’elezione per i book fotografici che dovranno fare 
invidia ai cuginetti e passerella irrinunciabile per genitori 
plastificati. Dopo il catechismo, la confessione, l’eucaristia, giunge 
infine l’ora. La consacrazione, quella vera, può finalmente 
incominciare. E allora venghino, signore e signori. Suoni l’orchestra e 
si accendano la luci. Perché questo è il più grande spettacolo del 
mondo. Domenica di Maggio: si apre il sipario e va in scena la 
volgarità. Non è chiara la relazione tra la natura spirituale della 
cerimonia e i mille feticci profani che le lunghe sessioni fotografiche 
celebrano di settimana in settimana. Non c’è più traccia della tunica 
apostolica che veniva fatta indossare ai piccoli comunicandi. Oggi si 
mira al “cool”, con veri e propri abiti nuziali in miniatura, forniti di
 velo e merletti. Il simbolo dell’innocenza infantile che incontrava il 
Cristo si è evoluto nell’abito di una piccola sposa, offerta in soave 
odore sull’altare dell’opulenza che il mondo potrebbe offrirle già 
dall’indomani.  I piccoli corpi acerbi, sotto la guida di fotografi 
professionisti, si snodano in mezzo alle trine. Le bimbe si avvinghiano 
al fusto dei fanali come sinuose dive del cinema muto. Sorrisi 
sbarazzini, sederino in fuori, sguardo alla Lolita. E giù con un diluvio
 di compiaciutissimi scatti. Perché di questa importante giornata, in 
cui la famiglia ha investito tanto, niente dovrà essere dimenticato. Non
 sono di meno i maschietti, infilati in calzoni traslucidi dal colore 
indefinibile, vestiti con larghe giacche alla moda. Li fotografano con 
le mani in tasca, gli occhiali da sole sul viso e un sorrisetto 
sprezzante. Poi sull’erba dell’aiuola, a gambe divaricate, da vero, 
futuro tronista alla corte di Maria De Filippi. E dunque in piedi, di 
profilo, con aria da duro, la giacca lasciata penzolare dal braccio 
proteso, come nemmeno in certe pubblicità dei dopobarba. Certi uomini, 
ormai si sa, non devono chiedere MAI. E quel marmocchio incipriato 
diventerà uno di quegli uomini, sia chiaro sin da subito. Le foto sono 
fatte per attestarlo.
Domenica
 di Maggio: Villa Garibaldi a Palermo. La tradizione è inossidabile. 
Mentre la primavera diventa estate, in chiesa si accendono i ceri e 
inizia la kermesse delle prime comunioni. La carovana dei piccoli 
palermitani accolti trionfalmente in seno alla comunità cattolica andrà 
avanti per tutto il mese. Piccole spose e piccoli manager, accompagnati 
da clan familiari tirati a lucido, spalancano le minuscole bocche per 
ricevere il corpo di Cristo, incalzati da ciurme di fotografi sudati. 
Per loro è un grande giorno. Almeno si direbbe così, a osservarli da 
lontano. Ma il momento più importante, una volta spenti gli incensi, è 
quello della villa. O della passeggiata a mare, poco più avanti, al Foro
 Italico. Set d’elezione per i book fotografici che dovranno fare 
invidia ai cuginetti e passerella irrinunciabile per genitori 
plastificati. Dopo il catechismo, la confessione, l’eucaristia, giunge 
infine l’ora. La consacrazione, quella vera, può finalmente 
incominciare. E allora venghino, signore e signori. Suoni l’orchestra e 
si accendano la luci. Perché questo è il più grande spettacolo del 
mondo. Domenica di Maggio: si apre il sipario e va in scena la 
volgarità. Non è chiara la relazione tra la natura spirituale della 
cerimonia e i mille feticci profani che le lunghe sessioni fotografiche 
celebrano di settimana in settimana. Non c’è più traccia della tunica 
apostolica che veniva fatta indossare ai piccoli comunicandi. Oggi si 
mira al “cool”, con veri e propri abiti nuziali in miniatura, forniti di
 velo e merletti. Il simbolo dell’innocenza infantile che incontrava il 
Cristo si è evoluto nell’abito di una piccola sposa, offerta in soave 
odore sull’altare dell’opulenza che il mondo potrebbe offrirle già 
dall’indomani.  I piccoli corpi acerbi, sotto la guida di fotografi 
professionisti, si snodano in mezzo alle trine. Le bimbe si avvinghiano 
al fusto dei fanali come sinuose dive del cinema muto. Sorrisi 
sbarazzini, sederino in fuori, sguardo alla Lolita. E giù con un diluvio
 di compiaciutissimi scatti. Perché di questa importante giornata, in 
cui la famiglia ha investito tanto, niente dovrà essere dimenticato. Non
 sono di meno i maschietti, infilati in calzoni traslucidi dal colore 
indefinibile, vestiti con larghe giacche alla moda. Li fotografano con 
le mani in tasca, gli occhiali da sole sul viso e un sorrisetto 
sprezzante. Poi sull’erba dell’aiuola, a gambe divaricate, da vero, 
futuro tronista alla corte di Maria De Filippi. E dunque in piedi, di 
profilo, con aria da duro, la giacca lasciata penzolare dal braccio 
proteso, come nemmeno in certe pubblicità dei dopobarba. Certi uomini, 
ormai si sa, non devono chiedere MAI. E quel marmocchio incipriato 
diventerà uno di quegli uomini, sia chiaro sin da subito. Le foto sono 
fatte per attestarlo.Sembra la prova generale per i book fotografici di un futuro programma tv. Un reality dedicato alle prime comunioni nel Sud, perché no. Tutti vorremmo sapere cosa pensano i piccoli comunicandi, che cosa sognano per loro le ferventi, cattolicissime famiglie.
«E toglile quel nastro dalla gonna! Non siamo più in chiesa, cavolo. Le sta una cacata!»
«Ridi meglio! Meglio! Di più! Fai vedere i dentini.»
«La manina al fianco... Piegati in avanti. Così!»
«Adesso corri. Solleva un po’ la gonna e corri. Corri!»
E’ uno spettacolo sconvolgente ai limiti dell’eros pedofilo, vedere queste bimbette biancovestite indotte da fotografi e familiari ad assumere pose innaturali. Da serpente. A mostrare forme che ancora non ci sono, e a sostituire l’ispirazione cristiana con forzati palpiti di acerba seduzione. Sembra quasi di vederli, maschietti e femminucce. Sdoganati da questo debutto in società che li vuole tamarri, arroganti, consapevoli sostenitori della dittatura delle apparenze. I piccoli bulli in tiro, pronti a marciare su tutto per conquistare il loro posto al sole in una vita sontuosamente omologata. Le piccole sacerdotesse dell’immagine, al primo capitolo di quello che potrebbe essere l’inizio di una vita davanti all’obbiettivo, in attesa che il “papi” di turno le noti e regali loro quell’istante di popolarità che illuminerà la loro esistenza. I genitori si difendono bene. Il babbo si scambia gli occhiali a specchio col figlioletto. Il fotografo li immortala entrambi. Si deve conservare memoria da quale stampino sia uscito cotanto pargolo. La madre, una giovane donna corvina dai capelli palesemente tinti, cammina a stento. Rischia di farsi male cadendo da quei tacchi così aguzzi. Non sembra preoccuparsene il simpatico fotografo, che la invita a esprimere il suo umore festoso volteggiando lungo il viale. E allora: «Giri, signora! Giri!» E la signora, rassegnata e sorridente... “gira”. Gira visibilmente preoccupata per i tacchi vertiginosi, forse anche per l’abito stretto. Non può certo negarsi all’obbiettivo, né rifiutarsi di volteggiare. Per che altro, se no, avrebbe acquistato quello strascico nero pece che quasi tocca terra? Perché scomodarsi a scegliere un corpetto trapunto di lustrini variopinti, uno di quelli che oggi è difficile scorgere anche nei peggiori avanspettacoli? E allora gira, gira, gira... Qualcuno guarderà. Qualcuno ricorderà... O almeno dovrebbero.
Di Domenica di Maggio non sono le prime comunioni a essere festeggiate nelle ville di Palermo. Ma il debutto sul palcoscenico della vita dei piccoli soldati del consumismo e dell’Italia Berlusconiana. Quella che ti insegna che conterai qualcosa solo se saprai mostrarti, se diventerai una velina o se entrerai nella casa del Grande Fratello. La Casa del Padre, ammesso che a lui importi qualcosa, ha già esaurito la sua funzione di set fotografico. Il vero palcoscenico ha aperto le porte. Chiaro, bambini? E lì non regnano la pace, la carità e l’uguaglianza...
Ma questo ve l’hanno già insegnato benissimo.
 
 
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