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Da sempre, questa parola ci fa pensare a qualcosa di definitivo e terribile. La fine del mondo. Anzi, la fine di tutto, per antonomasia. L'Armageddon, la lotta finale tra bene e male. Ma anche il giorno del giudizio secondo molte fedi. Un punto d'arrivo dal quale non si potrà tornare indietro. Ed è anche il deflagrante finale di "Promethea", la saga del grande Alan Moore conclusasi anche in Italia con il quinto volume edito da Magic Press.
Ormai è scontato. Alan Moore è un dannato camaleonte. Muta stile, genere e approccio narrativo con una disinvoltura (e con una classe!) sconcertante. In grado di compiere voli pindarici tra un fumetto dal piglio letterario, profondo e impegnato ("V for Vendetta"), e un intrattenimento di qualità altissima ("La Lega degli Straordinari Gentlemen"). Ma sempre in grado di centrare il suo obbiettivo: sorprendere il lettore, suscitare la sua ammirazione e imporgli di non dimenticare quanto ha letto non appena chiuso il libro.
"Promethea" inizia come un prodotto ibrido e stranissimo. La definizione, data da qualcuno al tempo delle prime uscite, di incrocio tra "Sandman" e "Wonder Woman" non è del tutto peregrina. Come la principessa amazzone, Promethea è l'emblema di una forza femminile primordiale. Madre, sposa, guerriera e sacerdotessa, portatrice di un irriducibile messaggio di speranza. Come Morfeo nella saga di Neil Gaiman, Promethea è anche l'incarnazione della fantasia umana e del suo stretto rapporto con l'esistenza terrena. Se "Sandman" era una storia sulle storie e sull'influenza che queste hanno sulle nostre vite, "Promethea" (che ricordiamo, in questo caso, è l'anagramma di "Metaphore") è una riflessione sul potere dell'immaginazione. Immaginazione intesa come fonte di forza e bellezza. Quella bellezza che, scriveva Dostoevskij, salverà il mondo.
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L'esperimento era già stato svolto, ma Alan Moore ne dà una versione aggiornata e assolutamente personale. Con il suo volume conclusivo, "Promethea" giunge a compimento e si colloca senza riserve tra i capolavori del grande bardo del fumetto moderno.
In "Promethea" troverete echi di "Sandman", dell' "Animal Man" di Grant Morrison, e anche qualcosa degli
"Invisibles" di quest'ultimo. Ma filtrate attraverso la prosa e la genialità del "mago" Alan Moore, come di recente si è definito egli stesso.
Ed è proprio vero. L'immaginazione è magia. L'immaginazione è una cosa reale. Scrive le
nostre storie al pari degli accadimenti quotidiani. E può essere veicolo di verità imbrigliate dalla troppa razionalità.
Promethea è qui, e non può più essere fermata. La sua Apocalisse potrebbe salvare il mondo.
E il suo messaggio, mistico e pacifista, travolge gli animi se non i corpi, generando una
nuova speranza, un nuovo modo di guardare il mondo.
O almeno lo suggerisce. E scusate se è poco.
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Questa recensione è stata pubblicata anche su Fantasymagazine.
[Articolo di Filippo Messina]
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