
La prima stagione di
“Heroes” si
è da poco conclusa portandosi dietro uno strascico di polemiche legate
alla pessima programmazione di Italia 1, ma anche numerose
considerazioni da parte dei fans che (a dispetto dei dati auditel che
hanno quasi determinato la cancellazione della serie nel nostro paese)
sembrano avere ancora molto da dire su questo telefilm. Non è da meno il
sottoscritto, che ha voluto attendere la conclusione per esprimersi.
Quindi, chi ancora deve recuperare gli episodi finali è avvertito. Dopo
qualche riga di premessa mi scatenerò con una sarabanda di
SPOILER.
Il
primo giudizio sulla serie è abbastanza positivo. Il racconto avvince e
riesce a trattenere l’attenzione fino alla conclusione. Esagerata
l’etichetta (giunta a noi dall’America) di telefilm
“Anti-Lost”. Infatti, al di là degli aspetti fantastici in comune, i due serial hanno poco a che spartire per temi e struttura. A
“Heroes” manca la forza destabilizzante di
“Lost”,
caratteristica che rende quella dei naufraghi una serie più originale
di altre. Inoltre, alcune incertezze di sceneggiatura rendono
“Heroes” un prodotto più prevedile e standardizzato rispetto alla saga dell’isola misteriosa.

Considerati i limiti di quella che rimane comunque una serie piacevole,
“Heroes” s’impone
all’attenzione come uno show dalle particolari peculiarità
sociologiche. In questi anni stiamo assistendo a un rinnovato interesse
per il mondo dei supereroi, complice la veloce evoluzione degli effetti
digitali che oggi rendono possibile qualsiasi impresa sul grande
schermo. Il cinema, dopo essersi nutrito per un secolo di letteratura,
ha scoperto l’universo popolare dei fumetti dando il via a una
scorpacciata commerciale senza fine. Neanche a dirlo, gli eroi con
poteri regnano su una vasta area di quel territorio e si prestano alle
letture più spettacolari. Media come cinema e televisione hanno da
sempre goduto di una maggiore trasversalità rispetto a libri e fumetti,
quindi è
comprensibile che nell’alchimia dalla carta alle immagini in movimento
alcuni temi si stiano imponendo a una fetta di pubblico molto più
variegata di un tempo.

Gli ex ragazzi della mia generazione ricordano lo
scalcinato
“L’Uomo Ragno” del 1977 con Nicholas Hammond, primo Peter Parker in carne e ossa per noi
“nerd” ante
litteram. Vedere l’Uomo Ragno muoversi sullo schermo cinematografico
(sia pure con l’ausilio di mezzi poverissimi) rappresentava per noi
fumettofili del tempo una sorta di sdoganamento del proprio immaginario presso il consesso degli adulti. Quello che riempie i cinema o che sorseggia il caffè davanti alla TV. Non che gli eroi in tuta fossero più
infantili di film seriali in cui l’omone e lo smilzo distribuivano
cazzotti dall’inizio alla fine, o di molte volgarissime
gag televisive. Ma la figura del supereroe, come tipo narrativo, era
considerata espressione della fantasia più puerile, e quindi relegata ai
margini della cultura popolare.
Hammond (in realtà pilota di una serie televisiva, mai andata in onda in Italia) come una piccola conquista

Oggi i tempi sono cambiati.
Complice, sicuramente il cinema, ma anche operazioni editoriali volte a
svecchiare il modello originale. In alcuni casi con risultati
discutibili, in altri con esiti non malvagi. L’intento comune a molti di
questi prodotti di nuova generazione (al di là della pretenziosa
lettura
“adulta”), è quello di collocare il racconto di superpoteri in una dimensione drammatica e più vicina al quotidiano del lettore.
“Heroes” si incanala proprio in questo filone, traghettando il genere dal cinema alla serialità televisiva, forse più congeniale
ai temi che si propone di trattare. E centra il bersaglio, riuscendo a
conquistare anche una frangia di spettatori di norma estranei a uomini
volanti e invulnerabilità.
“Heroes” può
essere visto come un compendio di topos narrativi che sintetizza gli
elementi più epici del genere supereroistico e li propone allo
spettatore sotto il belletto del più attuale trend televisivo. Si
comincia dal titolo.
“Eroi”, dove la qualifica
“Super” viene fatta cadere, ma rimane maliziosamente sot

tintesa.
Quasi tutti i protagonisti, tutti gli sviluppi della trama, non sono
che citazioni illustri, riconoscibili dal lettore attento. Il racconto
di base attinge senza reticenze alle linee fondanti di
“X-Men” (il sorgere della razza mutante) e si dipana ammiccando a saghe storiche. Prima tra tutte
“Giorni di un Futuro Passato”
(citata dichiaratamente da Hiro Nakamura all’inizio della serie), in
cui una versione più matura di Kitty Pride tornava indietro nel tempo
per avvisare i suoi amici di un’imminente catastrofe planetaria. Il
machiavellico piano che prevede un’immane ma necessaria tragedia
affinché i cittadini di New York si affidino ciecamente a una cura
autoritaria è ispirato all’intrigo che muove la trama del celebre
“Watchmen”. E le visioni di scenari futuri in cui i personaggi hanno svolto cammini differenti è parente stretto de
“L’Era di Apocalisse”
(sempre nella serie dedicata agli X-Men). L’intero cast dei
protagonisti è popolato da controfigure di personaggi classici e
amatissimi. A partire da Peter Petrelli, che potremmo definire il
protagonista quasi assoluto della serie.
Personalmente, sono sempre stato affascinato dallo
“zelig”,
cioè il personaggio il cui potere è quello di assorbire e replicare le
abilità altrui. Nei fumetti (targati sia Marvel che DC) esempi del
genere non mancano. Lo
zelig più famoso di tutti è sicuramente Rogue degli X-Men. Ma non bisogna dimenticare il Mimo (sempre nella

serie X-Men e attualmente Exiles), Synch di Generation X, il Parassita
(nemico storico di Superman) e tanti altri. Lo “zelig” è un personaggio
in cui più di altri è possibile l’identificazione del lettore. In un
certo senso è l’emblema stesso del fan supereroistico che si identifica
ora in questo ora in quell’eroe mimandone le caratteristiche. Nello
stesso tempo, è una figura tragica e nevrotica. Vive stralci di vita
sottratta ad altri, alla ricerc

a
di una propria identità. Spesso il suo potere si accompagna a qualcosa
di pericoloso e ingestibile (l’impossibilità di Rogue di toccare gli
altri senza assorbirne la personalità, l’instabilità dei poteri ancora
ignoti assorbiti da Peter). La figura dello zelig è ambigua per
definizione. Non a caso, alcuni dei personaggi citati hanno esordito
come avversari degli eroi (replicare i poteri è una metafora del furto)
mutando caratterizzazione solo successivamente.
In
“Heroes” lo
zelig è stato promosso al ruolo di predestinato, contrapponendolo al
cattivo della situazione. Il serial killer mutante che a sua volta
acquista i poteri di altri cibandosi del loro cervello. Soltanto chi
mima le capacità altrui può tenere testa a un essere così potente e
crudele.

Peccato che anche in
“Heroes” siano
stati commessi i soliti errori formali. Rendendo, con l’incalzare delle
puntate, il personaggio troppo potente (sottraendo drammaticità al
confronto con il nemico. Quanto sarebbe stata più emozionante la
volatilità dei poteri di Peter) e inserendo il solito (e tedioso) motivo
messianico con dovizia di visioni mistiche e compagnia danzante.
Un
intrigante mix di eroi è stato presentato dal personaggio di Nicky
Sanders-Jessica, la spogliarellista dalla doppia personalità il cui
alter ego malvagio è dotato di una forza sovrumana. Per un Marvel-Fan è
palese il riferimento all'incredibile Hulk e al dottor Bruce Banner, che acquista la sua forza smisurata solo quando cede il posto al suo alter ego privo di freni inibitori. Al chiaroveggente Isaac Mendez è
attribuito il ruolo di Destiny, mutante cieca che
“vede” il
futuro. E ai profetici quadri del pittore eroinomane della serie TV è
affidato un ruolo simile ai diari della veggente visti in
“Extreme X-Men”.
Interessante l’aver voluto assegnare il potere rigenerante del trucido
Wolverine a una creatura dolce e delicata: la cheerleader da salvare,
Claire Bennet. Giocando su un contrasto simile, i poteri di Kitty Pride
(giovanissimo e leggiadro folletto) sono stati affidati a un fuorilegge
dal cuore d’oro, padre responsabile e marito devoto: D.L. Hawkins.
Curioso che per caratterizzare uno dei villain della serie, il gangster
Lindermann, ideatore del

complotto
che prevede la distruzione della città di New York, sia stato scelto il
benevolo potere di guarire con il solo tocco. Una capacità che
apparteneva a X’Ian (insieme a quella di disintegrare) capo degli X-Men
del 2099, ma anche al venerabile Guaritore dei Morlock, nella serie
regolare degli X-Men. Al giovane Micha, è stato affidato il potere di
dialogare con le macchine, abilità di Mitchell Hundred, eroe della serie
“Ex Machina” della Wildstorm
.
Hiro Nakamura, eletto a icona definitiva del nerd redento, somma
caratteristiche di Legion (il terribile figlio di Charles Xavier) e di
Lacuna (personaggio visto in X-Statix in grado di manipolare il tempo).
Ne seguono tanti altri, telepati, telecineti, uomini radioattivi.
L’insinuante Candice, alla sua prima apparizione sembra ricordare (per
poteri e ruolo) la mutaforma Mystica. Ma più avanti ci viene svelato che
in realtà è una rilettura di Mastermind, signore delle illusioni. Non
manca neppure Cerebro, la macchina cercamutanti del professor Xavier,
qui trasfigurata nella piccola Molly.
La spezia in questo
gradevole frullato in cui decenni di storia fumettistica vengono
somministrati tanto a spettatori ignari e vergini quanto a nerd
smaliziati e divertiti dal gioco delle citazioni, è rappresentata dal
personaggio del cattivo: Sylar. La scelta di caratterizzare il
supercriminale come un serial killer (figura babau di gran moda) si è
dimostrata vincente. Nessun piano per conquistare il mondo, nessuna
brama di ricchezza senza fine. Ma il mero revanscismo di un medioc

re
cui il destino ha concesso il potere di comprendere all’istante il
funzionamento di qualunque meccanismo fisico o meccanico (come Forge, lo
scienziato-sciamano degli X-Men). E un delirio di onnipotenza che ne fa
la copia speculare dello zelig, con la differenza cruenta che per
acquistare nuovi poteri deve uccidere orribilmente altri mutanti.
Certo,
il grande gioco perde acqua in alcuni punti. Soprattutto nel finale di
stagione. Risulta inutile, per esempio, il sacrificio di Nathan. Se
Peter aveva già assorbito dal fratello il potere di volare, che bisogno
c’era che questi lo portasse con sé nella stratosfera per farlo
esplodere senza danni per la cittadinanza? Nel futuro alternativo visto
qualche episodio prima, abbiamo appreso che l’esplosione non è stata
sufficiente a uccidere Peter, sopravvissuto grazie ai poteri di
guarigione assorbiti da Claire. L’uscita di scena di Nathan risulta
forzata quanto funzionale al cliffhanger di fine stagione. Possiamo
supporre che i due eroi, entrambi volanti, si siano salvati e che li
rivedremo tutti e due quanto prima. C’è grande attesa per il nuovo,
temibile villain appena nominato da Molly. Una minaccia che, finora
soltanto sussurrata, già fa pensare al mitico Re delle Ombre.
“Heroes” con
tutti i suoi comprensibili limiti, è riuscito a riassumere una quantità
ciclopica di temi e caratteri che hanno deliziato i lettori di fumetti
per generazioni. La mia stessa sorella, da sempre refrattaria a
supereroi e affini, ne è rimasta conquistata, seguendo le avventure di
Peter e compagni fino all’ultimo episodio. Il tentativo già effettuato
da
“Smallville” (con risultati a dir poco altalenanti) e da
“4400” (praticamente una sorta di cugino di
“Heroes”,
ma senza gli stessi meriti) si può dire riuscito. I supereroi possono
vivere al di fuori dei fumetti, senza calzamaglie aderenti e senza
traumi che li rendano vigilanti assetati di vendetta. Lo sdoganamento
presso il grande pubblico (a dispetto dai fragili e contestabili dati
auditel) è ormai storia. I supereroi hanno rialzato la testa, e
reclamano il posto che spetta loro nella cultura di massa. Non ci resta
che attendere la seconda stagione (o vederla in lingua originale, a
seconda degli arbitri delle nostre televisioni commerciali) e osservare
quali ulteriori mutamenti, stavolta nel costume, ha in serbo per noi
l’immaginario collettivo in perpetua evoluzione.
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