Una cosa che mi fa incazzare è l'ostinarsi a non voler vedere.
L'odio insensato contro l'infame "politically correct", la piaga che "signora mia, renderà deformi i nostri figli, ci spegnerà la televisione e bucherà tutte le nostre mutande" e il parallelo atteggiamento tronfio, da paladini di una libertà selettiva che si ammanta di schiettezza, ma comunica solo una desolante arretratezza. La paura di un'ideologia che la cultura pop e il mondo dello spettacolo vorrebbe imporci dall'alto della sua superiorità, inserendo personaggi etnici (o peggio ancora, modificando l'etnia di quelli che già conoscevamo) e altri omosessuali o transgender. Persino i disabili nei giochi di ruolo, hanno voluto mettere. E tutto - così sento dire - perché da qualche parte si deve pur cominciare. Come se non ci fosse altro di cui preoccuparsi, come se gli strumenti per cambiare la società fossero questi...
Amici miei, siete fuori strada. Qui non si sta cominciando nulla. E' già cominciato tanto tempo fa. E' iniziato con gli sforzi delle suffragette, per quanto riguarda la questione femminile, con Martin Luther King e Malcom X per i diritti dei neri, con la rivolta di Stonewall all'alba della lotta per i diritti LGBTQ. Quando uomini e donne stanchi di subire ingiustizie hanno deciso di rimboccarsi le maniche, e molti di voi non erano neppure nati. E' allora che è iniziato tutto. Non nell'ultima serie TV che fa entrare nelle vostre case gay e lesbiche, attori neri e personaggi recastati per far sentire incluso un pubblico che per oltre un secolo non aveva modo (a differenza vostra) di sentirsi rappresentato, di potersi immedesimare.
L'industria dello spettacolo (e del fumetto) americano è sempre stata tradizionalmente liberale. Quello che fa oggi, introducendo omosessuali, neri e persone di religione musulmana, non è altro che uno specchio dei tempi. Il riflesso di una realtà che ha avuto inizio nel secolo trascorso. Sì, gente. La verità è là fuori, se non la volete vedere... beh, sono affari vostri. Cinema, televisione e fumetti, non fanno altro che rifletterla. Ma sia chiaro. Siete circondati. Forse per voi non è una buona notizia, ma la cosa incoraggiante è che tanti bambini e bambine cresceranno con una visione molto più pluralista (e vera) della loro realtà. E per inciso, "politicamente corretto" è solo un'etichetta, in nome della quale si può fare tanto di buono e (essendo umani) si può anche clamorosamente sbagliare. Ma non per questo è da buttare a mare. Dire di odiare il politicamente corretto è come affermare di odiare la buona educazione. Dire (e lo sento dire, lo vedo scrivere, con dolore) che viviamo in una moda ipocrita dell'inclusione, significa manifestare soltanto un proprio disagio nei confronti del cambiamento. Un cambiamento che tende a riconoscere come esistenti e degni di considerazione individui un tempo emarginati. Rimossi dalla cultura di massa con la quale i più maturi di noi sono cresciuti.
Tutte cose che confermano la necessità che feste come il Pride continuino a esistere.
La produzione da parte della DC Comics dell'antologia DC Pride (cui ha collaborato anche il disegnatore italiano Giulio Macaione) e la scelta grafica di festeggiare la manifestazione LGBTQ che ricorda i moti di Stonewall del 1969, ha già suscitato qualche reazione irritata al riguardo. Leggo sui social che tutta questa celebrazione del Pride Month sui fumetti americani è... "cringe". Una deriva commerciale nauseante applicata a un medium (il fumetto di intrattenimento) che dovrebbe essere per sua natura neutrale.
La domanda che mi sorge spontanea davanti a un'affermazione del genere è: perché? Perché dovrebbe essere "neutrale"? Perché dovrei esserlo io? Perché dovrebbe esserlo un autore, un editore, una serie a fumetti, e (ma sì)... un commerciante? Se a Natale e Capodanno siamo sommersi di auguri in ogni bottega e centro commerciale, con grande investimento in addobbi e lucine, perché (se si vuole) non farlo per una ricorrenza di importanza sociale come il Pride? Lo so, è un esempio del cazzo! A tanti le feste danno ai nervi, ma sforzatevi un minimo di capire il senso del discorso. Il commercio è da sempre veicolo di realtà social popolari. L'accettazione del Pride e delle sue istanze sta avanzando, e se il commercio la fa sua, non è il sintomo di una brutta malattia. Piuttosto, segnala che la società sta cambiando. Perché fino a una trentina di anni fa, trovare riferimenti espliciti al mondo LGBTQ sulla copertina di un fumetto era semplicemente impensabile.
Ricordiamo, tra l'altro, che la festa politica del popolo LGBTQ, già da diversi anni, ha modificato il suo nome. Un tempo era "Gay Pride". Oggi è Pride e basta. Una festa della solidarietà e dell'orgoglio di essere ciò che si è, che comprende tutti e tutte, e include felicemente uomini e donne eterosessuali e cisgender, con buona pace degli stronzi che ancora si ostinano a blaterare sull'Etero Pride, come se una cosa del genere avesse ragione d'esistere e già non fosse compreso nella grande manifestazione che ormai riguarda tutti gli esseri umani felici di condividerla a prescindere dal proprio genere e orientamento.
Perché "neutrali"? L'unica risposta che mi sovviene, sarebbe: "Perché a me dà fastidio", "perché non mi sento coinvolto" e quindi "mi sento escluso".
Amore mio, tutto quello che posso dirti, è che ti escludi da solo. Il Pride è anche tuo. Basta volerlo.
Apriamo gli occhi. Il mondo non sarà bello, ma è sicuramente vario. E questo non è il suo aspetto peggiore. Anzi.
Buon Pride a tutti e tutte.
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