"Freaks" è un film statunitense/canadese del 2018, e per quanto il titolo ricordi precedenti ingombranti non ha niente a che vedere con loro. Potremmo dire addirittura che il titolo, abusatissimo, sia l'unico neo su una pellicola tutta da scoprire. Dimenticatevi quindi del fim di Todd Browning del 1932, non c'entra nulla. Dimenticate anche "Freaks!" (con il punto esclamativo), la web serie diretta da Claudio Di Biagio e Matteo Bruno, che ha spopolato su Youtube nel 2011. Non c'entra nulla. Beh... Chissà... Forse forse... con questa qualcosina potrebbe entrarci... Mettiamola così. "Freaks" di Zach Lipovsky e Adam B. Stein è uno di quei film (un altro di quelli che piacciono a me) cui sarebbe meglio accostarsi senza sapere con che cosa si ha a che fare. Se siete abbastanza audaci da fidarvi, e pensate di apprezzare i film thriller a budget ridotto che puntano tutto su attori in gamba, un'idea classica ma gestita ottimamente, forse fareste meglio a smettere di leggere e cercare di vedere "Freaks". Infatti, in questo piccolo film indipendente, ci troviamo davanti all'ennesima dimostrazione che in un buon racconto non conta il "cosa" ma soprattutto il "come". Il punto di vista di un bambino (bravissima e inquietante la piccola Lexy Kolker) serve da filo d'Arianna in un labirinto in cui all'inizio ci si muove spaesati, ma con la consapevolezza che c'è qualcosa di strano e che presto gli avvenimenti prenderanno una piega terribile.
Ci siete ancora?
Ormai vediamo riproporre spesso determinati topoi narrativi in forma di kolossal, affidati a effetti speciali milionari. E altrettante volte ci capita di annoiarci un po' nel sentirci raccontare sempre le medesime dinamiche. Qui è tutto diverso. Gli effetti speciali sono quasi assenti. Determinati snodi li abbiamo già visti, ma non credo ci siano mai stati raccontati in questo modo. Non con le cadenze di un thriller tra lo psicologico e il soprannaturale, che ci irretisce, ci confonde, e a un tratto ci porta a casa, ma arredata in un modo che stentiamo a riconoscere.
Ma siete ancora qui?
E' sorprendente notare quanto sia ampia l'impronta che nel tempo gli X-Men hanno lasciato nell'immaginario contemporaneo. E quanto siano diventati un archetipo, in grado di contaminare più media e riproporre una metafora senza tempo, che parla di paura del diverso, di responsabilità, di rabbia e antitetici approcci a un mondo ostile, di negazione e accettazione, e infine di dignità.
Lo stile narrativo fa la sostanza del racconto, e spostandoci da un ambito commerciale miliardario a uno che sceglie di fare di messa in scena e recitazione il suo principale perno, scopriamo quanto una storia di supereroi possa avere in comune con un racconto horror.
Se non fosse ancora chiaro, "Freaks" mi è piaciuto un sacco. E penso rappresenti un contraltare affascinante a una ribalta ormai invasa da blockbuster sfornati con lo stampino. Sì, l'ho detto. "Sfornati con lo stampino".
Aspettando l'ennesima versione cinematografica dei mutanti Marvel, potremmo accorgerci che in fondo non abbiamo bisogno di ulteriori repliche. Il cuore degli X-Men, quelli raccontati da Chris Claremont, è politico, è umano, e in "Freaks" lo troviamo vivo e pulsante senza bisogno di ricorrere a personaggi variopinti.
Se siete arrivati a leggere fin qui, un po' è un peccato. Ma vale comunque la pena di vedere il film di Lipovsky e Stein. Anche solo per il suo formidabile cast.
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