La notizia che la Vertigo, etichetta “per lettori maturi” della DC Comics, chiude i battenti non è di per sé luttuosa come può sembrare. E' più simile all'annuncio che una grande ditta che ha legato storicamente il suo nome a un prodotto rivoluzionario cessa le attività dopo molti anni che il suo articolo è stato sdoganato, diffuso, ha fatto scuola e ormai è confezionato (a volte anche meglio) da tanti altri marchi commerciali che hanno fatto tesoro dei suoi insegnamenti. Certo, per i più maturi (quei “lettori maturi” che ne hanno visto l'esordio) è l'ennesimo segnale che il tempo passa, e che a un certo punto i grandi artisti si ritirano dalle scene. Questo può suscitare un brivido di nostalgia, di momentaneo rammarico, ma non significa che lo spettacolo non vada avanti. “Vertigo” è stata un'etichetta, ma è diventata anche una ricetta, una filosofia per intendere un determinato modo di fare fumetti. Il fatto che sia stato assimilato da altri editori non è da intendere come un male. Anzi.
Fondata nel 1993 dall'editor Karen
Berger, la divisione Vertigo della DC Comics si fondava sul successo
(e sugli stilemi) di due opere che avrebbero lasciato una forte
impronta nella storia del fumetto non solo statunitense. Lo Swamp
Thing di Alan Moore e l'irripetibile Sandman di Neil Gaiman. Questi
due fumetti, oltre a sconvolgere l'immaginario di lettori abituati a
opere più convenzionali, produsse un nuovo microcosmo, riconoscibile
in parte con l'adunanza dei personaggi a sfondo magico della DC
Comics, molti dei quali recuperati dalla soffitta editoriale e altri
nuovi e pronti a sbancare nel nuovo millennio (qualcuno ha detto John
Constantine?). Ma Vertigo ha rappresentato soprattutto un approccio
maturo al racconto fantastico a fumetti. Una costruzione narrativa
adulta, in certi casi anche discretamente ambiziosa in senso
letterario. Una sperimentazione visiva ai tempi impensabile su
testate rivolte al vasto pubblico. Insomma, una vera vertigine nel
mondo del fumetto. Che si è imposta, si è fatta amare, e ha
ispirato inevitabilmente anche produzioni concorrenti. Sotto questa
etichetta hanno spopolato numerosi autori oggi di culto, molti dei
quali riconducibili a quella oggi ricordata come “british
invasion”. I già citati Gaiman e Moore, Grant Morrison, Warren
Ellis, Garth Ennis, Mark Millar, Peter Milligan, e tantissimi altri.
Con la Vertigo, il revisionismo supereroistico è diventato un nuovo
canone, e opere uscite in precedenza, ma in sintonia con l'idea di
base della divisione, sono andate ad arricchire l'etichetta in
edizioni successive (“V for Vendetta”, “Animal Man”).
Il meccanismo, però, diciamolo, si era
già inceppato da molto tempo. Il giocattolo era stato aperto,
sezionato, esplorato e tutti i trucchi svelati. L'effetto sorpresa si
era appannato e ormai ne restava solo il glorioso ricordo. E va bene
così. Va bene che tante etichette differenti (in testa la Image)
abbiano preso a un certo punto a produrre fumetti che ormai erano più
Vertigo della Vertigo originale. Succede quando un'idea è talmente
forte da fare scuola. E' un bene che le cose costruttive siano
assimilate e condivise. Quel che conta è la produzione di buone
storie.
Pertanto, ci prepariamo a salutare
quella prima vertigine che sta per terminare il suo viaggio. Ma non è
una vera fine. E' solo un passaggio burocratico. Perché noi lettori
maturi, quei “mature readers” cui i fumetti Vertigo erano
destinati, per poter andare oltre le consuete tute dei supereroi,
continueremo a ricordare. E a definire “alla Vertigo” tutto
quello che seguirà e ne conserverà l'ispirazione storica.
Ciao, Vertigo. E grazie di tutto.
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