martedì 2 agosto 2011

Non ho più bisogno di voi...


Da AltroQuando, certe giornate iniziano proprio con una luce di speranza...
Allora, il dialogo è più o meno questo:

- Dovrei avere da parte il tale manga. A nome @#*!... Non vengo da un po’.
- C’è solo un numero. Quello attuale, il numero 9.
- Dovrebbero essercene degli altri. Almeno il numero 8. Forse anche il sette.
- Capisco, signore. Ma vede... sono due mesi che non si fa vedere. Avrebbe dovuto avvertirci, magari con una telefonata, di tenere i fumetti da parte per più tempo.
- Ma io le avevo detto che volevo prenderli tutti.
- Noi teniamo i fumetti da parte per un mese, signore. Poi vengono rimessi in vendita. E’ la regola. Tanta gente abbandona i fumetti prenotati. Noi abbiamo bisogno di vendere, e quindi deve esistere un limite all’attesa.
- Si possono ordinare?
- Questo titolo no. Arriva soltanto poche copie attraverso la distribuzione da edicola. Non lo trattiamo da fumetteria, mi spiace.
- Eppure le avevo detto che volevo prenderli tutti.
- Sì, ma non è venuto per più di un mese. I numeri precedenti sono stati rimessi in vendita, dal momento che nessuno si era presentato a ritirarli entro i termini convenuti.
- Ma nessuno mi aveva avvisato che c’era un termine...
- Impossibile. Oltretutto non ci si può aspettare che le copie restino da parte per sempre. Come le dicevo, doveva farsi vivo. Con una telefonata, con una mail...
- Ma non è serio. Le avevo detto che li avrei presi tutti.
- Lei non capisce. Questi fumetti per noi rappresentano il pane. Se restiamo paralizzati, senza vendere, aspettando un cliente che non dà segni di vita, come potremmo sbarcare il lunario? E’ già troppa la gente che abbando i fumetti messi da parte a loro nome così, senza nessuna comunicazione.
- Mia figlia è stata a Dublino. Ho avuto da fare. Nessuno poteva venire a ritirare i fumetti. Ma potevate tenerli da parte. Vi avevo detto che li avrei presi tutti.
- Ma di fatto non ne ha preso nessuno. Guardi, sono due mesi che non veniva... Noi dobbiamo lavorare. Quindi vendere. Altrimenti potremmo chiudere bottega e buonanotte al secchio.
- Non siete seri. Io vi avevo detto che li avrei presi tutti.
- Lei non vuole proprio capire. Per noi è vitale. Tanta gente congela merce la cui vendita per noi è rilevante ai fini della sopravvivenza. Dobbiamo mettere dei paletti. Inoltre, aveva lasciato un recapito di posta elettronica. E due mesi fa le è stato inviato un messaggio per ricordarle che aveva fumetti inevasi da parte.
- E’ proprio sicuro di avermi spedito questa mail?
- Certo che ne sono sicuro! [Vuoi vedere la copia del messaggio inoltrato ancora sulla webmail e consultare la data?!]
- La controllererò. Ma non credo sia vero.
- A questo punto dovrà scusarsi se troverà la mail.
- No, non mi scuserò affatto. Lei è stato scortese dicendomi che “non capisco”. Io avevo detto che li avrei presi tutti. Non ho più bisogno di lei. [Sbattendo la copia del fumetto sul bancone. Istintivamente penso: Che liberazione!]
- Lei non è serio. Avevo detto che li avrei presi tutti.
- Senta, per favore... Se ne vada.
- Ma vada via lei. [Uscendo dal negozio. Geniale, eh!]


Scene come questa avvengono da AltroQuando con cadenza spiacevolmente ciclica. Non sono episodi da poco, ma specchio di una situazione di cui è necessario parlare. Per capirsi (senza offesa), per conoscere i meccanismi di lavoro e per potere vivere in modo civile senza giungere a insensate tensioni di questo genere. Il nostro rapporto con la clientela è sempre stato qualcosa di molto informale, e nessuno può accusarci di mancare di disponibilità. Alcuni episodi – come questo –  sono però rivelatori di un sentire popolare che non va bene, e che deve essere razionalmente affrontato. Non è un mistero che molta gente consideri il fumetto qualcosa di poco conto. Non è un genere alimentare che si mette sotto i denti. Non è un abito che ci ripara dal freddo, non è un utensile o un pezzo di ricambio per la macchina. Non è neppure un pacchetto di sigarette. Insomma, tanti vedono il fumetto come qualcosa che proprio non può essere considerata come oggetto di un serio impegno. E che di conseguenza non prevede da parte tua nessuna vera responsabilità.
Peccato si tratti comunque di una merce su cui qualcuno fonda la propria sopravvivenza...

Alla luce del dialogo sopra riportato, ci viene dato modo di capire che per certi clienti noi, operatori di fumetteria, non siamo normali esseri umani, ma la trascurabile estensione di un prodotto voluttuario miserrimo e prescindibile quale il fumetto. Siamo schiavetti, o se preferite custodi di una merce che può restare a fare la muffa il tempo necessario a maturare i comodi del cliente. I suoi viaggi, il suo daffare, le sue amnesie, i suoi alti e bassi. Noi non vendiamo quel prodotto – tenuto da parte per settimane, mesi – per mangiare, vestirci, pagare l’affitto di casa, le bollette della luce e dell’acqua, le medicine. Naaaa! Siamo delle allegre mummie custodi di una cripta demente, dove quegli inutili oggetti di carta stampata possono attendere o essere impunemente dimenticati. E guai a tentare di farlo comprendere all’arrogante di turno. Dire che “non capisci” quando mi hai già ripetuto tre volte che la terra è piatta (capirai!) è... offensivo.
Noi, ovviamente, non possediamo nessuna dignità, nessun amor proprio, e nessuna necessità primaria. Noi non stiamo lavorando. Noi... vendiamo soltanto fumetti. Noi che ci prendiamo il disturbo di chiederti un recapito, un indirizzo email. Noi che ci prendiamo l’onere di scriverti, anche se ci hai lasciato un’indirizzo hotmail, il servizio cui tanti utenti si registrano solo per potersi iscrivere a un forum e poi dimenticarlo. Noi vi scriviamo. E tante volte... troppe, non riceviamo nessuna risposta.
Eppure dovremmo tenere i fumetti da parte a tempo indeterminato... dopotutto, voi ci avete detto che (un giorno) li avreste presi tutti. Se i vostri figli partono per l’Irlanda, se voi partite - inoltre - scordatevi di poterci fornire questa risposta come un giustificazione. Un sonoro “chi se ne frega” è l’unica cosa che potreste sentirvi dire. Esiste il telefono per avvertire, dicendo semplicemente “mancherò un po’. Mi aspettate?”. Per fortuna i clienti che avvisano esistono.
Ma del resto, c’è anche un altro aspetto. Come giustificarsi con la figlia in ritorno da un viaggio a Dublino se non sei andato a ritirarle i fumetti e hai lasciato che si vendessero? Quindi noi svolgiamo anche il ruolo di capri espiatori per queste piccole grane familiari.


E’ uno sporco lavoro... ma qualcuno deve farlo. Qualcuno deve metterci la faccia, e affrontare un cimento quotidiano contro una lista interminabile di imprevisti e assurdità. Questo episodio non è neppure il peggiore. Come dimenticare il giorno in cui un cliente, scomparso da anni, si è rifatto vivo, fresco come una rosa di Maggio, chiedendo i tanti fumetti lasciati da parte? Come scordare che nel sentirsi dire «Sono stati venduti. Non si fa vedere da tre anni.» ti ha risposto «Impossibile! Al massimo sono solo due.»?

Credeteci. Il mondo dei fumetti è vario e straniante. Ma la vita, soprattutto in una fumetteria, può esserlo ancora di più.

1 commento:

  1. Salvatore, ogni servizio gratuito viene visto come dovuto. Metti una bella caparra e vedi che:

    1) chi bidona abitualmente non ti chiede nulla da parte.
    2) quando ritireranno ti ringrazieranno
    3)non ti sbatteranno un bel niente sul bancone altrimenti perdono la caparra anche per quell'albo.

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