Spesso, però, la parola “adulto” è stata fatta coincidere ingenuamente con l’aggettivo “realistico”. Anche quando di verosimile nel racconto in esame c’era poco o niente. Come in una storia di vampiri, per esempio.
E’ una considerazione che viene in mente dopo la visione di Lasciami entrare (Låt den rätte komma), bellissimo horror svedese del regista Tomas Alfredson, tratto dal romanzo di John Ajvide Lindqvist (edito in Italia da Marsilio), cui si deve anche la sceneggiatura del film. Racconto che sceglie la figura mitologica del vampiro per mettere in scena ansie sociali e private in una fiaba nera di straordinaria potenza.
Siamo a Blackeberg, quartiere periferico di Stoccolma, nella prima metà degli anni 80. Un clima politico opprimente grava sugli abitanti con la stessa gelida onnipresenza della neve. Neve che presto sarà macchiata dal rosso vivo del sangue. Oskar, dodicenne disadattato, vive solo con la madre distratta e trascorre le giornate collezionando ritagli di cronaca nera mentre coltiva sogni di rivalsa sui bulli che a scuola rendono la sua vita un inferno. Nell’appartamento vicino, una notte, si trasferisce una nuova famiglia. Un uomo sulla cinquantina e una bambina della stessa età di Oskar, Eli, con la quale il ragazzo inizierà presto a costruire una complicata relazione. Solo che quella bambina dai grandi occhi grigio verdi è un vampiro che ha dodici anni già da un pezzo. Che si nutre di sangue. E che per farlo, come tutti i predatori, è costretta a uccidere.
Se è vero che la figura del vampiro era già stata usata come allegoria dell’emarginato (ricordiamo lo splendido Il buio si avvicina di Kathryn Bigelow, del 1987), raramente il cinema era riuscito a farlo in modo così commovente. Attraverso gli occhi innocenti dell’infanzia, il mostro che ruba la vita degli altri affinché la propria possa continuare a tempo indeterminato, perde la sua aura di assoluta cattiveria. La tragicità della sua condizione non risulta troppo diversa da quella di chi è stato spezzato da un’esistenza ingiusta. Pertanto, l’elemento di struggente novità presentato da Lasciami entrare, è quello della solidarietà. L’empatia che può nascere tra due creature differenti eppure disperatamente vicine. Come il rapporto piccolo e speciale tra due ragazzini infelici, che ricorrono al codice Morse per poter comunicare attraverso la parete che divide i loro appartamenti. La storia di due solitudini che soltanto un’amicizia disinteressata potrà riscattare.
Uscito in Svezia all’inizio del 2008, Lasciami entrare ha raccolto premi e critiche entusiaste presso molti festival del cinema, fino ad approdare nel 2009 al Torino Film Festival diretto da Nanni Moretti. Secondo un meccanismo ormai abituale, è già stato annunciato il remake americano, che sarà diretto dal regista di Cloverfield, Matt Reeves.
Spettacolo insolito per i nostri palati, il film di Alfredson è in realtà una boccata d’aria fresca per un pubblico abituato a produzioni horror sempre più omologate e prevedibili. A molti, la fotografia di Hoyte Van Hoytema potrà ricordare certi quadri di Pieter Brueghel. Non era facile comunicare un tale senso di gelido isolamento, ma nello stesso tempo di affascinante eleganza. Il panorama buio e innevato che fa da teatro alle imprese della piccola predatrice rende perfettamente l'idea del deserto nell’anima dei protagonisti. Il freddo attanaglia le viscere per tutta la durata del film, mentre il fuoco della passione cova sotto la cenere per esplodere nel finale con tutta la sua passionalità. Gli improvvisi flash di orrore, lo splatter, il sangue, attraversano la neve e le ombre come fitte dolorose in un silenzio assordante. Intorno a Eli e Oskar si muovono un pugno di personaggi non meno perdenti. Il padre di Oskar ha lasciato la moglie tempo prima, probabilmente per ragioni legate all’alcool. Oskar e sua madre hanno un rapporto diseguale, che alterna istanti di burlesca complicità a un quotidiano fatto di assoluta incomprensione. I vicini sono gente modesta e insoddisfatta, i cui unici svaghi sono le bevute con gli amici e qualche sogno da coltivare. Il misterioso tutore di Eli, forse un servitore come Renfield lo fu per Dracula, forse un innamorato, nel suo enigma è una delle figure più tragiche e votate al sacrificio di tutto il racconto. E non si esclude che rappresenti un elemento ciclico nella lunga vita della piccola vampira. Ciclo del quale Oskar potrebbe essere appena entrato a far parte.
In Lasciami entrare non ci sono eroi. Ma solo esseri umani. E un vampiro. Entrambi capaci di commettere il bene come il male. La stessa creatura soprannaturale è presentata come il risultato di un passato traumatico, figlia di un mondo malato di cui nonostante tutto continua a fare parte. E che la fa soffrire. La mitologia classica del vampirismo è rispettata in modo abbastanza diligente. Abbiamo il sonno diurno, la luce del sole che riduce in cenere. Abbiamo inoltre la maledizione dell’ospite, la restrizione magica secondo la quale il non morto non può varcare la soglia di una casa se prima non è stato espressamente invitato da uno dei suoi abitanti. Perché è così che tutto incomincia. L’amicizia, come l’agguato, ha inizio con un gesto di fiducia. La disponibilità a lasciar entrare l’altro nel proprio spazio vitale. Un rischio necessario per non vivere soli. Per non morire in eterno in una vita vuota.
La storia che Lindqvist e Alfredson raccontano non pretende di spiegare che cosa è bene e che cosa è male. Ma suggerisce in modo chiaro che la vera malvagità è gratuita, e non ha molto a che fare con la necessaria violenza di un predatore che ha bisogno di nutrirsi. L’amicizia, invece, è l’unica luce di speranza degna di essere conservata.
Lasciami entrare è un film dell’orrore. Ma di un orrore delicato, che commuove il cervello prima del cuore. Un piccolo gioiello che incanta, dimostrando quanto il cinema fantastico possa apparire adulto pur utilizzando i toni essenziali e sommessi della fiaba.
Questa recensione è stata pubblicata anche su Fantasymagazine.
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