Io sono fatto così.
Ci sono periodi in cui sono preso da una logorrea bulimica. Non solo
parlo tanto (...anche da solo), ma scrivo. Scrivo forse più di
quanto abbia da dire. Fa parte delle mie neurodivergenze, perciò...
stacce.
Poi ce ne sono altri, in cui mi zittisco. Resto muto, non interagisco
e smetto pure di scrivere. Quasi una forma di afasia selettiva. Ma se
non altro, raramente smetto di leggere.

Tra la fine dell'anno scorso e l'inizio di quello in corso, in
effetti, ho divorato un bel po' di libri. Letto finalmente Capolinea
Malausséne di Daniel Pennac, ultima (si direbbe) tappa della
saga familiare che ha fatto conoscere al mondo lo scrittore francese.
Recuperato (ebbene sì) Quer pasticciaccio brutto de via Merulana
di Carlo Emilio Gadda. Classico la cui lettura avevo rimandato per
buona parte della vita. Qualcosa che è più di una semplice
immersione letteraria. Un'esperienza, che andava fatta. Dopo gli
equilibrismi linguistici del grande Carlo Emilio, ho dato spazio al
disimpegno più totale, leggendo Festa di morte di Philip J.
Farmer, primo tassello di quel mosaico (in larga parte inedito in
Italia) che fa incrociare le strade di celebri eroi della narrativa
popolare. Nella fattispecie Tarzan (mai così selvaggio, violento,
animalesco e sessuale) e Doc Savage, uno dei principali archetipi del
supereroe nato nella narrativa pulp, anch'egli spogliato da ogni velo
morale. Ho assaporato l'angoscia sublime (e in buona parte
incompresa) trasmessa da John Ajvide Lindqvist nel suo L'estate
dei morti viventi, di cui
presto uscirà il film, e mi sono rifatto il palato con il
divertentissimo Guida al trattamento dei vampiri per casalinghe
di Grady Hendrix, sempre più vicino a essere incoronato come lo
Stephen King delle nuove generazioni. Dunque ho fatto conoscenza con
il fantasy nostrano di Francesco Dimitri e il suo Alice nel paese
della vaporità, per poi tornare a trovare il mio amico Haruki
Murakami tra le pagine de Nel segno della pecora,
romanzo giovanile forse meno incisivo dei lavori successivi, ma
dove il suo caratteristico cocktail di facilità narrativa e
surrealismo è comunque straniante.Una droga per me. La lettura, intendo.
E i fumetti?

Ammetto di averli trascurati un po' ultimamente. Ad ogni modo, mentre
soggiornavo a Pisa, ho letto Tristerio e Vanglorio, fumetto
satirico fantasy di Francesco Catelani e Federico Fabbri. Lettura
quanto mai doverosa, considerato che ero ospite a casa di uno dei due
autori, ma anche perché si tratta di un fumetto italiano di quelli
che non si trovano facilmente e una piacevolissima sorpresa. Un
universo fantasy dalla mitologia... Pardon, oggi si dice “lore”...
assolutamente peculiare. Ricamato sul modello dell'epica
cavalleresca, ma ricco di anacronismi e trovate visionarie, in cui le
peripezie dello sgangherato eroe Tristerio e del suo anonimo
scudierio si intrecciano con le leggende che hanno per protagonista
Vanglorio, superbo cavaliere senza paura e con qualche macchia, le
cui gesta hanno messo radici nella memoria collettiva del suo mondo
come un ineguagliabile modello di eroismo. E la Fama, ritratta come
fu descritta da Virgilio nell'Eneide: un essere dalle grandi ali, dai
mille occhi, bocche e lingue pronte a narrare. Una divinità
capricciosa capace di seminare nelle orecchie degli uomini canti di
lode come cronache di infamia. In definitiva un mostro, ma nondimeno
ambita e corteggiata da un'umanità affamata d'attenzione e di
riscatto dalla mediocrità. Un'avventura a fumetti dai toni
irriverenti, pregna di simbolismi e critica sociale. Inno agli umili
allo sbando in un mondo di merda, che tale rimane a dispetto di
sacrifici e altruismo. Fumetto, quello di Catelani e Fabbri, quanto
mai cattivo, nerissimo e intelligente, che non si dimentica dopo
aver chiuso il libro, ma che lascia una sardonica sensazione di
disagio.
Le letture, in fondo, servono a questo. A scuoterci, indurci a
riflettere...
Appunto.
Questo è un blog, un diario di bordo in rete. Un posto in cui vengo
a pensare per iscritto. E non è immune al mio periodico blocco.
Posso scriverci sopra tanto, anche fesserie. E poi fermarmi, a lungo.
E così è stato di recente, una volta di più.

Ormai da anni scrivo per... parlare. Nel senso che ciò che scrivo è
progettato per finire in un video su Youtube o in podcast su Anchor
(ora acquistato da Spotify). Ed è su questo che nelle ultime
settimane mi sto trovando a rimuginare. Mi sento sempre più tentato
dal linguaggio del podcast, dalla voce senza corpo, dalle parole e
dai suoni che bastano a sé stessi. Tante volte mi son sentito dire
che i miei video sono ascoltati più che guardati. Una vera stoccata
per il sottoscritto, che spende ore a confezionare la parte grafica
sforzandosi di dare al proprio prodotto un look riconoscibile. Non
che per realizzare un podcast sia tutto in discesa. C'è comunque un
copione da scrivere, da leggere, le voci nella mia testa che tento di
replicare, le musiche scelte in base al tono del discorso e i mille
effetti sonori. Che posso farci? Tutto è iniziato dalla mia passione
per il teatro. Le prime cose che scrissi da ragazzo erano commedie.
Facevo impazzire i miei coetanei coinvolgendoli in improbabili
compagnie teatrali e dirigevo da solo spettacoli amatoriali in cui
spesso mi sentivo dare del regista tiranno. Colpa del mio
perfezionismo, fallace ma ostinato. Tutte cose che ancora oggi mi
porto dietro qualunque cosa faccia.
Ma perché questo discorso? Considerato anche che questo blog, tra le
mie attività in rete, è sicuramente il palcoscenico meno seguito.
Non me lo scordo, eh! In passato ho scritto per anni su riviste
elettroniche. Sempre parlando di fumetti. E non ricevevo manco un
commento. Ma proprio zero. Nisba. Pacche sulle spalle dagli addetti
ai lavori, quelle sì. Ma nessuna interazione con il pubblico. Poi
arrivò il grande tubo, la chiusura della libreria Altroquando e la
mia definitiva trasmigrazione da “articolista” in “creator”,
qualunque cosa questo significhi. Giusto per sentirmi dire che
risultavo uno scrittore cui s'era rotta la tastiera, e che su youtube
mi stavo svendendo.
Ma si può?!
Che devo dire? A te. Proprio te che mi
stai leggendo?
Bravo, brava, bravə.
E grazie. Considerato che oggi comunicare scrivendo è diventato
veramente difficile se il tuo nome non è urlato dagli algoritmi in
home page blasonate.
E i podcast?
Sono un mondo strano, in espansione
nel nostro paese e amatissimo all'estero. In realtà non dissimili da
certe esperienze radiofoniche, ma progettati per essere disponibili
in qualunque momento e su qualsiasi supporto. Insomma, qualcosa di
comodo. Un codice che (ci risiamo!) si presta a integrare scrittura,
idee, narrazione e... teatro.
Non si scappa, ritorno sempre lì.
Quello che faccio io, dopotutto, è
questo. Un teatro di narrazione che ha scelto il fumetto come spunto
di partenza, ma che si basa su affabulazione e divagazione. Qualcuno
potrebbe scegliere di chiamarla “divulgazione”. Beh, ci sta. Più
che altro lo spero.
Allora, se questo è un blog, un
diario, blablabla... perché non dovrei usarlo come tale? Scrivere a
ruota libera (come sto facendo) per inseguire idee e condividere la
confusione che ho in testa.
Caos con cui ora sto ammorbando te
che mi leggi... ammesso che tu ci sia ancora.
Qual è il problema?
Io lo chiamo... l'ingorgo. Una
situazione di stallo in cui ciclicamente mi ritrovo impantanato.
Vorrei tanto andare avanti, ma non so
che direzione prendere. Nella produzione in rete, intendo. In genere
preparo una scaletta, un carnet di argomenti e progetti... che
consulto, affronto e depenno un po' alla volta. Ma le cose non vanno
sempre lisce.
E' come avere tante voci nella testa
che parlano contemporaneamente. Tanti spunti, tanti argomenti che ti
si offrono e ti dicono: prendimi! Normale che subentri una certa
ansia da prestazione. In poche parole... l'esubero di pensieri, di
temi e di propositi, anziché foraggiare il mio lavoro finisce col
produrre un blocco. Un ingorgo, appunto, nel quale mi sento
intrappolato.
Questo blog è una sorta di spia rossa
del mio umore, dello stato di salute della mia creatività. E'
devastante, per me, contare quanti coccodrilli ho scritto nell'ultimo
anno. Artisti che ci hanno lasciato cui ho voluto dedicare almeno un
breve pensiero. E poco altro. O nulla.
La recente scomparsa di
Alfredo Castelli, poi, mi ha colpito in modo particolarmente
violento. Non ho mai avuto il piacere di incontrarlo, ma per me era
come un vecchio zio che c'era sempre stato. Da bambino ero rimasto
affascinato dalle storie dell'Ombra negli inserti (i cosiddetti Albi
Avventura) del Corriere dei Ragazzi. Avevo seguito con piacere le
imprese degli Aristocratici e i contrappunti surreali dell'Omino
Bufo. E la rivista Tilt, le adorate strisce di Zio Boris... fino a
Martin Mystère, letto per la prima volta mentre svolgevo il servizio
civile come forestale nei boschi della Calabria.
Alfredo Castelli, con la sua
prolificità di narratore, la sua competenza storica e l'allegria che
gli permetteva di disegnare e incidere nella memoria pur essendo
fuori da ogni canone tecnico, era come un punto fermo, un
irraggiungibile modello di creatività vulcanica, e sapere che non
c'è più mi addolora profondamente. Mi fa sentire vecchio e mi mette
davanti alla povertà di quanto sono riuscito a produrre nel corso
della mia esistenza. Lutto, insomma, per una persona che ho
conosciuto solo attraverso le sue opere e la costante presenza sulla
scena del fumetto.
A pensarci bene, credo che
non mi capitasse da tanto di scrivere sul blog con questo tono. Da
vero e proprio diario, insomma. Diciamocelo, i blog sono
prevalentemente dei magazine dove troviamo raccolte recensioni di
cinema, di libri, di altro... o comunque dissertazioni su argomenti
specifici, in genere firmati da appassionati se non da chi è
professionalmente attivo in determinati settori.
Io stesso, in passato
(probabilmente anche in futuro) mi sono dedicato alle recensioni.
Ogni tanto piazzando qualche racconto qua e là (madonna, da quanto
non ne scrivo?!) e supportando i miei impegni altrove, soprattutto
sul grande tubo.
Ma Cronache da un
Altroquando, come ha preso a chiamarsi in anni più recenti,
nasceva come blog a supporto della nostra libreria. Per la funzione
di comunicare con la clientela, parlare della nostra attività,
presentare i nuovi arrivi e i nostri progetti culturali. A suo modo
un diario del capitano al comando di una bagnarola alla deriva in un
mare non sempre amichevole.
Perché oggi dovrebbe essere
diverso?
Se mi stai leggendo,
prendilo come uno sfogo. Il tentativo di fare il punto. Perdonami. Ho
l'ingorgo in testa. Tutte le vetture intorno a me stanno
strombazzando, immobili e frustrate. Il livello di smog sale, e le
mie cellule grigie friggono come uova in padella.
Non so cosa voglio, questo è
il problema. Da giovanissimo credevo di volere dedicare la mia vita
al teatro, alla scrittura e alla recitazione. Poi al giornalismo,
alla cronaca e al servizio dell'informazione. Infine ho preso a
lavorare in libreria, circondato prima da libri di narrativa, poesia
e saggistica. Quindi fumetti, fumetti e ancora fumetti.
Fumetti... che sono stati
sempre nella mia vita, cadenzandola come un leitmotiv wagneriano. In
qualche caso in modo giocoso, in altre in termini quasi tragici.
«Un tram che si chiama
Desiderio è un dramma che ha influenzato tutta la mia vita!»
diceva la protagonista di Tutto su mia madre di Pedro
Almodovar. Per me sono stati i fumetti. Via di fuga durante
l'infanzia e la prima adolescenza, oggetto di riscoperta e
passepartout culturale nell'età matura e quindi oggetto di lavoro
(prima) e zattera di salvataggio (dopo).
E cosa posso fare se non
rimanere aggrappato alla zattera? Prima o poi l'ingorgo dovrà
iniziare a sciogliersi, il traffico a fluire, e io finirò da qualche
parte. Dove non so... ma un posto ci sarà.
Scusa se ti ho coinvolto in
questo delirio. Sono un soggetto complicato. E tutto sommato, mi
andava di scrivere, di parlare... anche di nulla.
O di tutto, non lo so. Ma
spero che ci risentiremo presto.