giovedì 25 agosto 2022

Nove anni senza


 

25 agosto 2022. Nove anni di assenza.

Si fa fatica a crederlo. Nove anni senza quelle foto scattate all'alba sul lungomare di Sant'Erasmo a Palermo. Piccoli ritratti di una città sorpresa mentre ancora indugiava nel torpore tra il buio e le prime luci. Nove anni senza quell'insonnia (e quella punta di incoscienza) che lo facevano alzare alle quattro per scendere in strada e fotografare praticamente tutto. Senza quella pazzia, quel coraggio, quella testardaggine, quell'estro indomabile. Senza la fumetteria Altroquando, e quella commistione di interessi artistici, culturali, politici che senza di lui non sarebbe mai esistita.

Tutto quello che sono diventato oggi lo devo a lui, alla sua ispirazione, alla sua tenacia, e persino alle sue imperfezioni.
Nove anni sono tanti, ma non basteranno mai a silenziare la perdita. L'impronta è troppo forte, il vuoto lasciato enorme. Per questo non bisogna darsi per vinti, e portare avanti quel sogno che sarebbe un peccato abbandonare a un angolo di strada. Quel modo di intendere la bellezza, la cultura e l'impegno civile, in modo giocoso, anche quando le porte restavano chiuse, o le orecchie sorde. Perché si sa, noi vendevamo fumetti, e sono roba per bambini o per nerd perditempo. Ma l'impegno per una realtà migliore, per una percezione critica dell'esistenza, passa anche attraverso le forme espressive più popolari. Lui se n'era accorto, e mescolava tutto, andando avanti per la sua strada, catalizzatore naturale di talenti e iniziative culturali.
Tanto cose a Palermo oggi non ci sarebbero senza di lui e senza la sua stranissima, particolare libreria.
Ci sarà sempre un altroquando. Sarebbe una grave colpa dimenticarsene e lasciare spegnere questa fiamma.

In memoria di Salvatore Rizzuto Adelfio, 5 dicembre 1951 - 25 agosto 2013

sabato 13 agosto 2022

The Sandman - la serie Netflix

 


The Sandman, la serie Netflix che adatta il celebrato fumetto di Neil Gaiman, sta ricevendo una pioggia di consensi di critica e di pubblico. Non che manchino le voci discordanti, ma l'accoglienza generale è molto positiva. C'è chi lo definisce un piccolo miracolo, considerato che l'opera di Gaiman è complessa, stratificata e difficile da trasporre. Quasi impossibile secondo alcuni.

Il progetto era molto atteso. I pregiudizi tanti, per via delle ragioni già menzionate. Una notizia rassicurante avrebbe potuto essere la presenza dello stesso Neil Gaiman tra gli sceneggiatori della serie, affidata anche alla penna di David S. Goyer (che tanto ha lavorato, nel bene e nel male, a versioni in live action di fumetti amatissimi) e di Allan Heinberg, autore televisivo dal curriculum denso di successi. I mezzi c'erano, il cast annunciato non sembrava neanche male. Eppure persisteva quel timore reverenziale di fondo. Quel disagio che assale quando qualcuno si propone di mettere mano a una narrazione per noi sacra.

Sì, perché Sandman di Neil Gaiman non è un fumetto qualunque.


Si tratta di una saga monumentale che usa il linguaggio disegnato per produrre poesia, ed è in grado di accendere nel lettore una fame onnivora di altre storie, curiosità, voglia di arte a mai finire.

Così almeno, a suo tempo, fu per me. Mi accostai alla lettura di Sandman al suo primo apparire in Italia, pubblicato a puntate sulle riviste antologiche edite dalla Comic Art. Stavo attraversando una fase particolare, se vogliamo... di crescita. Non leggevo un fumetto da molti anni. Pur avendone divorati a tonnellate nella prima giovinezza, certe influenze sociali mi aveva spinto ad allontanarmene e a dedicarmi a letture ritenute più “nobili”. Avevo comunque scoperto che esistono tanti libri (nel senso di opere in prosa) il cui spirito può rivelarsi più fumettistico dei fumetti stessi, e i miei studi di sociologia mi avevano portato a esaminare il fenomeno editoriale di Dylan Dog, scrivendo persino un piccolo saggio che fu argomento di discussione a un esame. Insomma, i fumetti stavano tornando prepotentemente a far parte della mia vita adulta, e stavo cercando qualcosa capace di incuriosirmi in modo particolare.

La presenza in copertina del nome di Swamp Thing, da me appena incontrato nel film omonimo di Wes Craven, mi spinse ad acquistare quell'albo antologico, interamente dedicato a fumetti a tema soprannaturale e orrorifico. Il mio primo incontro con Morfeo fu uno shock culturale. Se si amano le storie e la lettura, Sandman non può lasciare indifferenti. Se sei sensibile a certi temi, l'opera di Neil Gaiman può cambiarti la vita. Come tutti i capolavori, del resto.

Ma stavamo parlando della serie Netflix...



Vediamo di tagliare corto. Mi è piaciuta, sì o no?


Ormai ho un'età. Ho visto e letto tanto. La mia vita è stata influenzata dai fumetti in modo profondo. Nel lavoro, negli affetti, negli interessi. Ho dedicato a essi gran parte del mio tempo, e ho persino scritto un libro che parla del rapporto tra il cinema e la nona arte attraverso la storia, tenendo conto delle trasformazioni culturali e della mutevole percezione del pubblico. Per questo, oggi, il mio atteggiamento tende a essere più che altro scientifico quando mi accosto all'adattamento audiovisivo di un fumetto. Entusiasmo o delusione, nel mio caso, si manifestano in modo smorzato. Di prodotti del genere ne ho visti veramente tanti, e ne ho parlato anche di più. La mia risposta emotiva ormai è distaccata, simile a quella di un medico che valuta le condizioni generali e la qualità di vita di un paziente.

Però... stavolta parliamo di Sandman. Non un fumetto come un altro, ma qualcosa che è diventato parte di me, influenzandomi sotto molti aspetti. Proprio per questo esprimersi è così difficile. E mi raccomando: tenete conto che per entrare nel merito della serie, dovrò necessariamente fare degli spoiler consistenti.

Ok, allora cominciamo dalle cose che NON mi sono piaciute.


E' inevitabile, quando assistiamo alla trasposizione su schermo di un'opera che amiamo, chiederci quali soluzioni avremmo adottato noi al posto di sceneggiatore e regista.

Per prima cosa, non ho apprezzato lo spiegone iniziale. Avrei voluto che tutto fosse più enigmatico, che la storia entrasse nel vivo con piccoli passi rivelatori. Avrei lasciato - come nel fumetto - che il punto di vista della prima parte del racconto fosse quello dello stregone Roderick Burgess e di suo figlio Alex. Dare immediatamente voce a Morfeo e al suo ruolo nell'universo svela subito troppe carte fondamentali, e compromette in parte il ritmo del primo episodio. Avrei gradito una maggiore ambiguità, e che la questione inerente l'epidemia di encefalite letargica negli anni '20 del secolo scorso fosse suggerita per mezzo delle immagini o dei commenti dei media del tempo. Non provo mai simpatia per le voci off che mi spiegano quanto sto guardando. Troppe informazioni esplicite. Troppa materia premasticata per essere data in pasto a un pubblico che si suppone non capirà da solo il parallelismo allegorico tra evento soprannaturale e cronaca storica. Uno spreco per quello che avrebbe potuto essere un inizio più suggestivo. Anzi, che è il suggestivo inizio del Sandman di Neil Gaiman.

Altri aspetti che non ho apprezzato a pieno riguardano certe scelte di regia. La condanna dell'ormai ottantenne Alex Burgess all'eterno risveglio è troppo confusa. Nel fumetto, Morfeo imprigiona Alex in una catena infinita di incubi dai quali si illude di risvegliarsi solo per ritrovarsi intrappolato in un nuovo orrore. Una dinamica angosciosa che l'adattamento in live action liquida in modo frettoloso, rinunciando a una costruzione a matrioska che avrebbe dovuto essere epica quanto inquietante.



Un'altra scena madre cui la regia rinuncia è la prima uccisione di Abele da parte di suo fratello Caino. Anche quello avrebbe dovuto essere un momento cruciale, la presentazione programmatica di un dramma ciclico e struggente. Invece si svolge d'un lampo, quasi fosse scontato.

Veniamo, infine, a Fun Land, il serial killer obeso molestatore di bambini che incrocia la strada di Rose Walker e suo fratello Jed. Quando, nella serie Netflix, il Corizio lo ha pugnalato uccidendolo, sono sobbalzato sulla sedia. Non perché fossi stato colpito dal twist, ma perché vedevo svanire la possibilità di adattare una delle scene più belle e poetiche scritte da Gaiman. Nel fumetto, infatti, l'omone assassino non muore, ma è sprofondato da Morfeo in un sogno consolatorio dove le sue piccole vittime tornano in vita e lo perdonano per giocare con lui in uno scenario spensierato. Parentesi pietosa, in cui è suggerita la solitudine e il vuoto affettivo che hanno generato il mostro uccisore di bambini, a sua volta una creatura tragica.

E poi?

Niente. Le cose che non mi sono piaciute sono tutte qui.

Se qualcuno ritiene potessero – o dovessero – essere di più, si faccia pure avanti.

Sarebbe semplice dire che, al netto di alcune riserve estetiche, l'adattamento Netflix di Sandman è bello e fedele alla sua fonte a fumetti. Così come sarebbe pedante, e altrettanto inutile, fargli le pulci per scovare tutto quello che non va (e probabilmente, ne troveremmo di roba). Il punto è che The Sandman, la serie Netflix, è interessante perché già lo è il fumetto di Neil Gaiman. La fedeltà è senz'altro il merito principale di questa produzione, consapevole di trovarsi davanti a un'opera che funziona grazie alla sua narrazione a orologeria, ai suoi personaggi e le mille invenzioni poetiche. Modificare la trama di Sandman sarebbe stato come mischiare della Coca-Cola a un vino pregiato, e i necessari adattamenti, le inevitabili discrepanze, o anche qualche piccola variazione creativa, è subordinata a una trama che mantiene salde le sue radici nell'opera cartacea.

Lo dirò per l'ennesima volta. Sono pochissime le opere che adattate per lo schermo – grande o piccolo – si dimostrano all'altezza o addirittura superiori alla loro fonte. Questo avviene solo quando la statura dell'autore cinematografico supera quella di chi ha scritto l'opera ispiratrice. Un esempio incontestabile è il film Psycho, e l'abisso che c'è tra l'adattamento di Alfred Hitchcock e il romanzo di Robert Bloch da cui è tratto. In altri casi, l'opera letteraria avrà vittoria facile, poiché è raro che la soggettiva danza tra narratore e lettore possa essere eguagliata dalla visione - comunque personale - di sceneggiatori e registi arrivati dopo. Almeno solitamente è così, in assenza di forti personalità artistiche in grado di sfuggire a questa regola.

E The Sandman? Dove si colloca?

Quando ero bambino mi portarono al cinema a vedere una delle tante riedizioni de La carica dei 101, classico Disney che oggi è impossibile non conoscere. Fatto sta che all'epoca, in assenza del film, uscito prima che nascessi, la storia dei dalmata Pongo e Peggy, dei loro padroni, dei loro cuccioli e di Crudelia De Mon, mi era nota solo attraverso l'adattamento a fumetti pubblicato su Topolino. Scoprire al cinema, viva e in movimento, quella storia già conosciuta sulle pagine di un fumetto, provocò un entusiasmo irrefrenabile nel bambino che ero, e ricordo che mentre il film andava avanti sul grande schermo, io sfogliavo l'albetto colorato esclamando felice: «E' proprio così! E' uguale! E' identico!»

Credo di avere manifestato, allora, una reazione infantile che non sempre si estingue con la crescita. Il cinema è percepito da tanti come un'arte adulta, e vedere adattare fedelmente qualcosa che ci piace sulla carta ci fa sentire coccolati, promossi a un livello superiore. Oppure, nel caso inverso, traditi, offesi, sminuiti. E lì parte la furia. Fenomeno cagliato in modo esponenziale nell'era delle grandi comunità di adoratori della cultura pop. The Sandman, la serie Netflix, accarezza quel medesimo punto sensibile ancora presente dentro molti di noi. Il voler riconoscere viva su schermo una storia amata... per amarla ancora. Per amarla anche di più, e poterla forse condividere con chi è arrivato dopo. Magari non sarà in tutto «Uguale! Identico!». Ma quello arrivato su Netflix è comunque Sandman, e non si può negare.


The Sandman
in live action è un capolavoro? In rete, in queste settimane, c'è chi sta usando la parola con la C senza troppi scrupoli. Beh, dipende dal significato che vogliamo darle. Se per capolavoro intendiamo un adattamento ispirato, che fa rivivere almeno in parte le emozioni provate con la lettura, forse The Sandman, nel suo ambito, ci si avvicina. Nel senso che si dimostra un piacevolissimo compendio, che non offende l'appassionato e potrebbe avere il merito di instradare nuovi lettori alla scoperta del capolavoro di Neil Gaiman.

C'è anche chi ha trovato la serie pesante, fedele ma noiosa, priva di reali guizzi spettacolari. 

Può darsi che a qualcuno faccia questo effetto, non lo si può assolutamente escludere. Temo, però, che chi si annoia davanti allo show di Netflix sarebbe altrettanto tediato dalla lettura del fumetto di Gaiman. E' una questione di attitudini. Al mondo esistono cose belle che non piacciono a tutti, per quanto possano essere pregevoli. Sandman di Neil Gaiman, dicevo in apertura, non è un fumetto come tutti gli altri. Vive di suggestioni, di immagini surreali e intuizioni liriche. E' un fumetto dalla forte componente letteraria, ma soprattutto rimanda a tanto altro. E' uno scrigno dei miracoli che si propone di esortare alla scoperta di tutte le storie possibili. Insomma, Sandman è una narrazione “intellettuale”, e sappiamo quali reazioni controverse può suscitare questa definizione. Inoltre, chi ha amato la saga di Morfeo sulle pagine disegnate, ha tutto il diritto di sentirsi satollo, e non provare alcuna esigenza di riascoltare la stessa canzone suonata da altri con strumenti diversi.


Le varianti introdotte nella serie Netflix (poche in verità) non sono affatto male. Non parlerò dei cambiamenti etnici o di genere di alcuni personaggi. Trovo questa polemica sterile, puerile e fuori dalla realtà. Pare che i diritti sul personaggio di John Constantine, il mago metropolitano già portato al cinema e in televisione da trasposizioni precedenti, siano ancora sotto il controllo della Warner, e pertanto Netflix non potesse usarlo. Non in modo dichiarato, almeno. Ottima, dunque, l'idea di attingere a Lady Johanna Constantine, antenata del mago londinese presente nella saga fumettistica di Gaiman, e trasformare il John del presente in un'altra Johanna, peraltro splendidamente interpretata da Jenna Coleman (amatissima Clara Oswald in Doctor Who). Un altro modo per aggirare i vincoli è stato quello di variare la pronunzia del nome del personaggio, che già a Londra prevede due varianti fonetiche: Constantìn, Constantàin.

Interessante anche l'espansione nella storia del ruolo del Corinzio, l'incubo fuggiasco, qui divenuto un vero e proprio antagonista che influenza più sottotrame. Peccato aver glissato sul potenziale visivo del personaggio e dei suoi occhi dentati. Nel fumetto, le prime sequenze che lo vedono protagonista sono descritte in soggettiva, e in virtù di questo gli effetti dei suoi morsi appaiono più spaventosi. Ciononostante, l'attore Boyd Holbrook (Narcos) rende il villain in modo convincente e a visione conclusa risulta difficile immaginare un interprete diverso.


Gwendolyne Christie (Games of Thrones) presta la sua presenza monumentale e androgina a Lucifero, e ci ricorda un po' la scelta della divina Tilda Swinton nel ruolo dell'arcangelo Gabriele proprio nel Constantine cinematografico del 2005 al fianco di Keanu Reeves.

Il duello d'intelligenza tra Morfeo e Lucifero offre un cambio di prospettiva rispetto alla versione raccontata da Gaiman. Nell'opera a fumetti, il Signore dei Sogni affronta direttamente Choronzon, duca dell'inferno, per poter recuperare l'elmo che gli è stato sottratto. La sceneggiatura della serie Netflix propone che il demone scelga di essere rappresentato da Lucifero in persona. Un espediente per dare più spazio alla performance di Gwendolyne Christie e sveltire le dinamiche di ostilità tra i personaggi che porteranno a ulteriori sviluppi più avanti. Intrigante l'idea di mostrare le tracce fisiche sul corpo dei contendenti che si scontrano verbalmente, identificandosi di volta in volta con animali predatori, calamità e le vittime di questi, in una lotta dialettica che sconfina sul piano materiale.

Si può definire un buon lavoro anche la semplificazione della vicenda di Hippolyta e del suo defunto marito Hector, destinati a concepire nei sogni un bambino che sarà il motore di importanti sviluppi futuri. Infatti, i due personaggi originali avevano una lunga e contorta vicenda editoriale, essendo Hector Hall una delle due incarnazioni precedenti del Sandman della DC Comics, e sua moglie Lyta la supereroina chiamata Fury. Per ragioni pratiche, la loro storia è stata ampiamente riscritta, e va più che bene così. Così come è adattata la vicenda del folle John Dee (David Thewlis nella versione in live action), che nelle storie della Justice League è conosciuto come il supercriminale Doctor Destiny. L'episodio intitolato 24 Hour è tra i più raccapriccianti scritti da Neil Gaiman, basato su un pugno di personaggi comparsa, ognuno fornito di una storia significativa. Lo show lo traspone con intelligenza, senza evitare pugni nello stomaco, ma gestendoli con un apprezzabile senso della misura.


Insomma, The Sandman di Netflix non lavora esattamente in sottrazione, ma devia delicatamente tra le pieghe del racconto, trovando agevoli scorciatoie quando necessario e percorrendo la via maestra per la maggior parte del tempo. A contare è soprattutto la storia, senza che la confezione passi in secondo piano. Ignoro i giudizi che i millenials più avvertiti daranno sulla computer grafica. Sono praticamente cieco di fronte a questi aspetti, e ascolto più che altro il cuore del racconto. La presenza di attori di rilievo come Joely Richardson, Charles Dance e Stephen Fry rappresenta un valore aggiunto da non trascurare e fornisce performance di un certo spessore. Lo stesso protagonista, Tom Sturridge, è un Morfeo vicino alla perfezione, qui probabilmente nel ruolo della sua vita, con un'interpretazione misurata, in cui sfoggia una presenza e un linguaggio del corpo notevoli.


Beh, alla fine della fiera, credo di stare dicendo che questa versione di Sandman mi sia piaciuta, no?

Mi è piaciuta come al bambino che sono stato era piaciuto vedere La carica dei 101 sul grande schermo. Quando la corrispondenza tra linguaggi si fa sentire e conferma le nostre esperienze passate. E' umano, in fondo, che sia così. Ma quello che mi piace di più pensare è che The Sandman di Netflix possa accendere curiosità in chi non ha letto l'opera a fumetti di Neil Gaiman, e spingerli a recuperarla. Sarebbe un peccato se questo non accadesse.

I sogni influenzano la realtà, e le storie non hanno bisogno di essere accadute per essere vere.

Ascoltatele, dunque, queste storie. Leggetele, metabolizzatele, e permettere a The Sandman, in qualunque sua forma, di entrare nei vostri sogni.

Vi piaccia o meno, sono sicuro che ne sarà valsa la pena.




sabato 6 agosto 2022

I vermi conquistatori

 


E se a un tratto incominciasse a piovere e non la smettesse più?


D'accordo, è difficile immaginare questa prospettiva per un pianeta già vittima del riscaldamento globale. Sappiamo (e facciamo di tutto per ignorare) che stiamo andando incontro a un inferno di fuoco che consumerà il nostro habitat in una morsa di calore insopportabile per flora e fauna. Ma immaginiamo per un momento che le cose prendano una direzione diversa. Che l'inferno non sia caldo e infuocato, ma umido, freddo, e sferzato da un'incessante pioggia. Non solo. Che in questa umidità prenda a strisciare qualcosa di abominevole e minaccioso.

Considerando la stagione torrida che stiamo attraversando, l'afa e tutto il resto, la lettura de I vermi conquistatori di Brian Keene potrebbe risultare quasi un toccasana. Non fosse per il fatto che riesce a fare davvero paura. Chi vi scrive è dipendente dai suoni ASMR per potersi addormentare in modo decente, e da sempre ha avuto un bel rapporto con la stagione invernale, la pioggia e il suo rumore ipnotico. Per me il suono della pioggia è come una ninnananna. Eppure, nel libro di Keene, quel rumore incessante, ossessivo e foriero di morte, diventa un vero incubo.

Non esiste solo Stephen King là fuori. La narrativa horror americana negli ultimi anni ha visto sorgere firme di tutto rispetto, in grado di evocare nuovi terrori e di offrire una scrittura avvincente, agile e piacevolmente inquietante. Tra questi c'è Brian Keene, poco noto in Italia, ma celebrato all'estero anche come fumettista e podcaster. Scrittore prolifico, esploso con la saga zombi intitolata The Rising ma soprattutto con The Conqueror Worms, romanzo apocalittico pubblicato per la prima volta nel 2005 e poi divenuto anch'esso un ciclo letterario di successo. Stampato dalle nostre parti dalle edizioni XII, in seguito riproposto da Mondadori nella collana Urania e oggi recuperato dal marchio Independent Legions, che per la prima volta presenta in italiano anche il secondo episodio del ciclo: I vermi conquistatori II: il diluvio.


La terra come la conoscevamo non esiste più. Tutto è cambiato nel giro di poche settimane. Le piogge incessanti hanno causato lo straripamento degli oceani, cancellando vaste porzioni di territorio abitato e ridisegnando la geografia del pianeta. Quel che resta sono i picchi di montagna più alti, ormai ridotti a isole in cui l'ecosistema sta cedendo. Milioni di persone sono morte annegate nell'allagamento delle grandi città. Altre, fuggite prima che la situazione precipitasse, sono andate incontro a un destino incerto. L'anziano Teddy Garnett resiste ancora nella sua villetta nel paesino di Punkin' Center sui monti Appalachi, proteggendo i suoi ricordi e rimanendo saldamente aggrappato al suo quotidiano. Intorno a lui, però, tutto sta franando. Il nuovo diluvio (perché di questo si tratta) presto reclamerà anche quel ridotto lembo di terra. Ma la pioggia incessante non è più l'unico pericolo. L'avanzata delle acque sembra avere risvegliato qualcosa, una stirpe mostruosa annidata nelle viscere della terra. Esseri che hanno iniziato a scavare verso la superficie, e adesso reclamano il mondo come nuova specie dominante...

I vermi conquistatori è uno strano romanzo. Sicuramente ben scritto, ma che presenta al suo interno due anime differenti. E' interessante e anche coraggioso affidare il ruolo di protagonista (e io narrante) a un vedovo ultraottantenne, costretto dalle circostanze a superare i propri acciacchi e a combattere per restare in vita in un mondo che gli si sta letteralmente sgretolando sotto i piedi. Molto bella la descrizione del suo rapporto di amicizia con l'altro eroe del romanzo, l'altrettanto anziano Carl, anche lui personaggio imperfetto, fragile e a volte persino ottuso, ma risoluto a difendere il tempo che gli resta da vivere e coloro che ama a costo di combattere contro orrori inimmaginabili.

Il romanzo di Brian Keene si apre come una storia di fantascienza apocalittica, una sorta di world debuilding in cui andiamo scoprendo poco per volta quanto poco è rimasto del pianeta terra e quanto ridotte siano le aspettative di vita dei sopravvissuti. La progressiva, insinuante rivelazione della presenza dei vermi è ottimamente gestita. Creature di matrice lovecraftiana, solo in apparenza mosse da istinti animali, emerse dal sottosuolo per banchettare con gli avanzi di un'umanità già sconfitta dallo sconvolgimento climatico.

Il libro di Keene, dicevamo, ha due anime, due facce, due voci. La prima vicina alla letteratura (e al cinema) fanta-horror degli anni '50 e '60, dove la lotta per la sopravvivenza dei protagonisti è scandita da uno scenario essenziale e cupissimo. La seconda più vicina alle atmosfere del dark fantasy e del racconto d'azione, in cui (con un temporaneo cambio di narratore) prevalgono i temi soprannaturali, le citazioni alle opere di Howard Phillips Lovecraft e alla sua cosmogonia si fanno dichiarate, e l'avventura assume un tono più barocco in cui ai vermi del titolo si uniscono creature mitologiche del tutto inattese. Si potrebbero considerare due libri a incastro, l'uno dentro l'altro. Quasi due diversi approcci al generico tema della fine del mondo. Un punto di vista circoscritto e sommesso il primo, fragoroso e sopra le righe il secondo. Un cambio di registro che può risultare straniante, ma che non compromette la qualità generale della lettura. Considerata anche la potenza della vera roccia della narrazione. Cioè il suo protagonista: l'anziano Teddy.


I vermi conquistatori
è un romanzo dell'orrore, ma sotto certi aspetti lo si potrebbe considerare anche un'allegoria esistenziale. Il mondo sta finendo, flagellato dalla pioggia che lo sta trasformando in una palla fangosa cui le radici degli alberi non riescono più ad aggrapparsi. Teddy è molto avanti negli anni. Vive nel ricordo della moglie defunta, e dei figli lontani, probabilmente già morti nella devastazione globale. Il suo corpo sta cedendo come l'ecosistema del pianeta, le sue ossa sono deboli come le piante sradicate dalla furia delle acque, e i vermi giganteschi che emergono dalle viscere della terra per divorare gli ultimi umani non sono troppo diversi da quelli che faranno piazza pulita delle sue spoglie dopo che il suo cuore si sarà fermato. C'è da chiedersi se il romanzo di Brian Keene, almeno in questo suo primo, potente libro, non nasconda un simbolismo amaro e nello stesso tempo nobile. La cronaca di un'esistenza giunta al crepuscolo, e la descrizione di un mondo che lotta con le sue ultime forze per sopravvivere un giorno in più. Anche solo per andarsene con dignità, nonostante tutto intorno a lui stia crollando in modo ineluttabile. Una metafora della vecchiaia e di quanta forza e coraggio ci vogliano per affrontare gli ultimi giorni. Teddy Garnett è un personaggio straordinario. Un eroe cui ci si può affezionare proprio perché debole e a dispetto di questo irriducibile. Pur con i suoi errori, le scelte sbagliate, i cedimenti che ci riguardano un po' tutti.

Sì, I vermi conquistatori è un'ottima lettura per gli appassionati dell'orrore, ma offre anche dei sottotesti che vanno considerati e lo elevano al di sopra di tanta narrativa di genere. Se riusciamo a tenere presente che tutti combatteremo contro i vermi prima o poi. Che piova o meno, che faccia freddo o splenda un sole cocente.



Brian Keene - I vermi conquistarori

Edizioni Independent Legions

https://www.independentlegions.com/

martedì 2 agosto 2022

60 anni di Uomo Ragno: teniamoci forte alla tela

 



60 anni.

Ufficialmente Spider-Man (che per me resterà sempre l'Uomo Ragno, come lo chiamavamo un tempo da queste parti) è apparso nelle edicole americane nell'agosto del 1962. In realtà, la Marvel Comics aveva l'abitudine di postdatare di un paio di mesi i suoi albi in uscita, pertanto la data del compleanno dovrebbe risalire al mese di giugno. Ma il calendario della storia – e dell'editoria – dice così, e pertanto ci adeguiamo.

In Italia sarebbe arrivato molto più tardi, nel 1970, pubblicato dal glorioso editoriale Corno. Primo albo di un supereroe Marvel a giungere nel nostro paese (sorvolando su una fugace apparizione dei Fantastici Quattro sulle pagine della rivista Eureka, avvenuta qualche tempo prima) e segno di un cambiamento epocale. Una mutazione che nella cultura pop – che ancora non si chiamava così – avrebbe profondamente influenzato l'immaginario degli eroi in costume e la formazione di piccoli lettori desiderosi di crescere.





Avevo sette anni quando acquistai il primo numero de L'Uomo Ragno della Corno. Sì, lo identificai tra le altre pubblicazioni esposte, mosso quasi da un istinto ancestrale, e lo divorai subito. Avevo imparato a leggere da poco, e fino a quel momento il mio eroe dei fumetti preferito era stato Batman. Vigilante tenebroso, altro uomo mascherato da animale, anche lui protagonista di avventure pittoresche, ma... profondamente diverso. C'è da dire anche che la mia fruizione delle storie dell'Uomo Pipistrello (che peraltro aveva avuto una pubblicazione molto discontinua in Italia) era ancora filtrata dall'aiuto degli adulti, visto che le mie capacitò di lettura erano in fase di sviluppo. Per L'Uomo Ragno era diverso. Potevo leggerlo da me, capire tutto, stupirmi e amare quel che leggevo parola per parola.


Oggi può suonare strano parlando di un albo supereroistico, ma è così. L'Uomo Ragno, nella sua versione più classica e archetipica, quella sbilenca e spigolosa disegnata (e in parte anche scritta, solo che allora non si sapeva) da Steve Ditko, era veramente un capolavoro nel suo genere. Il primo di una generazione di eroi problematici, in cui noi lettori avremmo seguito più l'essere umano dietro la maschera che il supereroe in costume. Peter Parker era un protagonista giovanissimo, addirittura minorenne, in controtendenza rispetto ad altri personaggi blasonati, quando ancora la parola “teen” non era in uso, e non rappresentava il modello stereotipato che si sarebbe fatto strada anni dopo. L'Uomo Ragno era un eroe con un'origine articolata in due atti. L'acquisizione dei suoi poteri da aracnide grazie al morso del ragno radioattivo era solo l'innesco per il twist successivo, molto più importante per il destino del personaggio. L'assassinio dello zio Ben e il senso di colpa per non averlo evitato. Vero momento fondativo che rendeva Peter e il suo alter ego ragnesco una figura tormentata in cerca di redenzione, laddove la maggior parte degli altri super erano figure assetate di riscossa se non vendetta o benevoli divinità venute da altri pianeti.

No, Peter Parker, al di là dei suoi poteri, era uno di noi. Un ragazzo normale, fallace, persino pasticcione. Impopolare, bullizzato dai coetanei e baciato da un inatteso dono, iniziava un percorso di rivalsa sociale che a un tratto veniva bruscamente interrotto. Un colpo di scena per i tempi impensabile, e uno shock che lo spingeva a cambiare strada per intraprendere un cammino volto al riscatto. Usare le proprie capacità per impedire accadimenti che altri non potrebbero fermare.

Può sembrare poco, ma all'epoca era tutto. Per questo non può esistere un Uomo Ragno senza il dramma dello zio Ben, senza il trauma iniziale e la sua trasformazione psicologica. Senza questi elementi fondamentali, diventa un balocco come tanti, privo di significato e reale spessore. Un prodotto “teen”, appunto, come li si intende oggi. Qualcosa di giovane pensato per i giovani, ma con la consistenza di una bibita gasata che evapora senza lasciare traccia.



60 anni fa, invece, quello che oggi anche in Italia chiamiamo Spider-Man (seguendo l'evolversi di una subdola e inesorabile colonizzazione culturale che passa attraverso i brand commerciali), rappresentava una significativa scossa al modo di narrare le gesta degli eroi mascherati. Era una storia che ci diceva che anche essi sbagliano. Anzi, nascono sbagliando e possono continuare a sbagliare, come ragazzini allo sbando, alla scoperta di se stessi. Entusiasti, ma anche impauriti, confusi.

Gli anni stemperano le emozioni, e i miti a volte si appannano. Oggi vanno forte gli eroi fighi, risoluti, che menano le mani senza tanti scrupoli. Sembrano più moderni, quando in realtà rappresentano un passo indietro, e il ritorno a una narrazione semplificata, fatta di soluzioni schematiche e semplicistiche, simili a quelle proposte da certe realtà politiche.


Questo mese, nel 2022, L'Uomo Ragno compie 60 anni, ma la sua idea di base rimane fresca e attualissima. Non tutto può essere risolto con la forza, e non è un potere superiore a renderci migliori. Tutto quello che possiamo fare è sforzarci di imparare dai nostri errori, e anche se a volte li ripeteremo, quel che conta è sforzarci di fare sempre meglio e compiere le scelte giuste. Rialzarci dopo che siamo caduti. E aiutare chi ci è vicino a fare altrettanto.

Un vero uomo deve lavare i piatti. Si è un eroe perché si lotta a tutte le ore. E prima di Caparezza, Peter Parker ce lo insegnava a modo suo. Oltre la maschera, oltre la capacità di aderire alle pareti. Perché senza quelle intenzioni, quel vissuto, non ci sarebbe mai stato nessun Uomo Ragno.

Fategli questo regalo di compleanno, dunque. Non lasciate che sia solo un brand commerciale per un target sempre più giovane e svagato. Ricordatene il senso profondo e tessete la vostra personale tela, affinché anche altri vi si possano reggere.

Lunga vita a Spid... No. All'Uomo Ragno.






sabato 23 luglio 2022

Un'Altra Storia di Cinema e Fumetti: inizia il Pre-Order

 


Ormai ci siamo.

Tutto è nato per gioco, da una conversazione tra amici appassionati degli stessi temi.

Studiare il fenomeno dei film ispirati ai fumetti, possibilmente andando oltre i soliti titoli citatissimi. Scovare quelli più riposti, strani, imprevedibili, e cercare di ordinarli secondo un criterio storico, che tenesse conto anche delle trasformazioni sociali, culturali, e della mutevole percezione del pubblico.

Di libri sul cinema dei fumetti ne esistono già a carrettate. Perché allora affrontare di nuovo questo argomento così abusato? Beh, perché ogni voce è differente, per cominciare. E perché dietro a ogni storia trasposta sullo schermo c'è n'è un'altra, scritta con un altro linguaggio, che si porta dietro le vicende dei suoi autori, del suo contesto storico. Un altro modo di raccontare i cinefumetti è possibile? Secondo me sì. Non solo. Può essere molto divertente, e forse persino istruttivo se non ci limitiamo alla superficie e cerchiamo di esplorare un po' il fondo.

E' nata così la rubrica “Storia dei Cinecomics”, pubblicata sul mio canale Youtube: “Altroquando”, nato per dare continuità a un sogno che con la chiusura della nostra storica fumetteria a Palermo rischiava di interrompersi. Il tutto con la voglia di giocare non solo con i fumetti, ma con le storie in generale, e i modi per raccontarle, divagando, saltando di palo in frasca, esplorando l'immaginario intorno a noi e scoprendo spunti nuovi. L'esperienza della rubrica, di capitolo in capitolo, si è allargata, e ha avuto così origine un libro. Anzi, una serie di tre libri: “Un'Altra Storia di Cinema e Fumetti”, in cui andremo oltre le voci affrontate su Youtube, e a fianco dei cinefumetti potremo parlare di costume, di società, e anche un po' del sottoscritto e del suo vissuto in relazione con le passioni che abbiamo in comune. Andando avanti con i tre libri, rivivremo insieme anche qualche episodio avvenuto tra le mura del nostro amato Altroquando, e ricorderemo Salvatore, l'uomo che ha dato inizio a tutto.

Lunedì 25 luglio 2022, sul sito dell'editore (Bisso Edizioni) partirà il preordine per il primo libro della serie: “La Preistoria, il Medioevo, il Rinascimento”. Il volume (il più corposo della trilogia) costerà 27 euro e sarà corredato dalle illustrazioni di Federico Sfascia, giovane regista indipendente e geniale fumettista, che ha omaggiato a modo suo numerosi film, realizzando anche qualche tavola a fumetti che è parte integrante della narrazione.



A introdurre questo primo volume sarà una nota di Victorlaszlo88 (Mattia Ferrari), youtuber, commentatore cinematografico, appassionato di cultura pop e ormai un amico per il sottoscritto.

Spero vogliate accompagnarmi numerosi in questa nuova avventura, mentre gli episodi di “Storia dei Cinecomics” proseguiranno regolarmente sul canale Youtube. Per ogni altra informazione potrete rivolgervi direttamente a www.bissoedizioni.it.

Ci sarà sempre un altroquando, e tante storie da raccontare.

Link per i preordini: https://www.bissoedizioni.it/prodotto/cinecomics-filippo-messina/


A prestissimo.


Playlist "Storia dei Cinecomics" su Youtube




giovedì 21 luglio 2022

Ci lascia Alan Grant



Così ci lascia anche Alan Grant, fumettista scozzese che tanto ha dato al mondo della nona arte. Di lui ricordiamo la forte impronta
infusa a "Judge Dredd", personaggio creato da Pat Mills, John Wagner e dal disegnatore Carlos Ezquerra nel 1977. Accusato di essere un personaggio reazionario, Dredd era in realtà tutto l'opposto. Fu nelle mani di Grant che la sua serie giunse a maturazione diventando la satira di un potere ipocrita, una critica degli eccessi polizieschi e di tutte le derive autoritarie esistenti anche in seno a paesi che si ammantano di presunta democrazia. Alla sua penna si devono anche molte storie di Batman, e soprattutto la nascita di Lobo, l'irriverente e violentissimo alieno al centro di avventure grottesche e paradossali.

L'estro di Alan Grant era fuori dal comune, come fuori dal comune erano i suoi personaggi e i suoi racconti, che giustamente saranno ricordati come pagine importanti nella storia del fumetto.

Alan Grant - 1949 - 2022








martedì 12 luglio 2022

Cittacotte 2022: Memento Mori

 


Era dal 2019 che la bottega Cittacotte, in via Vittorio Emanuele 120 a Palermo, non inaugurava una nuova vetrina.

Colpa della pandemia da Covid-19 che tante tradizioni e consuetudini sociali ha falciato per ben tre anni, e che ancora ci accompagna verso un futuro incerto e tutto da ricostruire.

L'ultima composizione creata dall'estro di Vincenzo Vizzari in occasione del Festino, festa patronale palermitana, del 2019 era stata “Fraternidad”. Inno alla solidarietà in cui Santa Rosalia congiugeva le mani con un migrante sopra un globo di edifici storici che rimandava dalla città di Palermo a tutto il mondo. Poi un lungo silenzio. Necessario, inevitabile, dettato dalle norme restrittive e da una saggia prudenza.



Memento Mori”, nuova vetrina inaugurata lunedì 11 luglio in occasione del Festino del 2022 interrompe finalmente la lunga pausa, e presenta un progetto artistico che in verità aveva cominciato a prendere forma proprio nel 2019, alla vigilia della grande emergenza che tante vite avrebbe stroncato costringendo tutti gli altri a un forzato isolamento. «Uno spunto quasi profetico,» riflette oggi Vincenzo Vizzari, considerando il tema della sua ultima creazione. L'intuizione di tempi funesti, ma anche la ricerca di rinnovate energie volte alla ricostruzione.

Memento Mori” (Ricordati che devi morire), formula reiterata da certe tradizioni religiose in cui si rammenta ai fedeli la caducità della vita e il giudizio divino che seguirà il trapasso, ma anche – in termini laici – un invito a vivere l'esistenza e a goderne le gioie proprio perché limitata nel tempo.

Stavolta la composizione di Vincenzo Vizzari si presenta dietro un sipario nero, bizzarra contaminazione di allusioni etniche, con i riferimenti alla Santuzza, e di cultura pop. Il teschio sinistro visto nella locandina del film “Inferno” di Dario Argento, in cui protagonista era la morte stessa, ma incoronato di rose come la santa patrona, e sovrastante una croce, simbolo di pena ma anche di resurrezione. Disvelata l'opera, le luci prevalgono sulle tenebre descrivendo un loop ideale di fine e principio, da cui ancora una volta Rosalia emerge trionfante.



Due, infatti, sono le possibili letture. Due le direzioni interpretative, dal basso o dall'alto. Una la visione globale che veicola il messaggio definitivo dell'opera. In “Memento Mori”, Rosalia è tutt'uno con il suo manto, corpo e anima di Palermo, e al suo interno scopriamo il melange di architetture che riassumono una città dai tanti volti storici. La morte incombe sulle case, rappresentata da più teschi fusi con le strutture. Una città che guarda un cimitero, e a una fossa comune a forma di punto interrogativo, che suggerisce l'incertezza del domani, ma anche l'ambiguità di quelle ossa, che forse giacciono, ma forse stanno ribollendo per uscire, sollevarsi e tornare a vivere.


E' vero che Rosalia ha la morte nel cuore. La sua espressione, però, rimane enigmatica. Dolente, ma quasi sensuale, come se quelle ossa la nutrissero e le dessero forza. Una lettura dell'opera verso il basso suggerisce il disfacimento della città, vittima delle sciagure, dell'incuria, condannata a un inesorabile tracollo. La lettura verso l'alto, parla invece di spoglie mortali che alimentano una vitalità indomabile, da cui la Santuzza si rigenera e alza il capo incoronato di fiori verso il cielo stellato, resa potente da tutte quelle anime che non saranno dimenticate. La visione globale comprende entrambe le interpretazioni, in una narrazione circolare di vita, morte e perenne rinascita. Un oroboro che si alimenta di se stesso e vede coincidere nella propria fine un eterno nuovo inizio. Circolarità poetica amara, ma in fondo ottimista, giacché solo vivendo si può continuare a sperare e a costruire qualcosa di migliore, anche dopo tre anni di pandemia, decenni di generica indifferenza e pertinace degrado. Una bellezza che resiste nonostante tutto, che serba i ricordi e onora i suoi morti.

Ricordati che devi morire, ma fallo per vivere. Al meglio, anche per chi non c'è più. Un augurio poetico per Palermo e il Festino del 2022, che trova nell'estro artistico di Vincenzo Vizzari e nella sua preziosa bottega delle terracotte un pilastro culturale che andrebbe coltivato come un fiore in serra. Auguriamoci di non dovere attendere troppo a lungo per vedere nuove creazioni.















 

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