venerdì 27 luglio 2018

Capitani Meravigliosi - 2



CAPITANI MERAVIGLIOSI – 2

Nel 1953, la sentenza in appello che riconosce alla DC Comics l'accusa di plagio di Superman intentata contro il personaggio Capitan Marvel (che per inciso aveva preso a vendere più albi del prototipo), condannò la casa editrice Fawcett a pagare alla concorrenza un risarcimento altissimo e a ritirare dal commercio le riviste che vedevano come protagonista l'eroe oggetto del contendere. Si concludeva così (temporaneamente) la vicenda editoriale del primo Capitan Marvel-Shazam, che solo molto tempo dopo sarebbe stato recuperato dalla stessa DC Comics e integrato nel proprio cosmo narrativo con un differente titolo di testata. Negli anni che seguirono la sentenza, però, si creò un vuoto riguardo al copyright. In sostanza il nome “Capitan Marvel” diventò di pubblico dominio, e ci sarebbe voluto ancora qualche tempo prima che la Marvel Comics piantasse la propria bandiera sul brand garantendosi i diritti su tutti i capitani meravigliosi che sarebbero venuti da lì a quel momento.

E' in questo intervallo giuridico che, nel 1966, appare nei fumetti americani... Capitan Marvel di Carl Burgos. Lo stesso Burgos che nel 1939 aveva creato la prima, storica Torcia Umana per la Timely Comics, etichetta che successivamente si sarebbe evoluta prima nella Atlas, e poi nella Marvel che conosciamo. Il suo Capitan Marvel, nato sotto il marchio editoriale Myron Fass Enterprise, non aveva niente a che vedere con il suo predecessore magico. Piuttosto, suggeriva che Burgos doveva avere una vera passione per gli androidi romantici. Infatti, come già la prima Torcia (umanoide più che umana) era un robot con poteri di fiamma, anche questo secondo Capitan Marvel era un automa senziente venuto da un altro pianeta. Un essere robotico dotata di emozioni umane che aveva la capacità di scomporre il suo corpo mandando le singole unità (mani, piedi, braccia, testa) a svolgere azioni indipendenti. A innescare la separazione degli arti era la parola (magica? In codice?) “Split!” (ma tu guarda!). E “Xam!” per poi reintegrarsi. La missione di questo Capitano robotico era, al pari di Superman, quella di mantenere l'armonia sulla terra. Si nascondeva dietro l'identità segreta di un archeologo, il professor Roger Winkle, e la sua vita di facciata era quella di un normale essere umano, con pulsioni e sentimenti del tutto normali. Nelle sue storie compariva un comprimario che in qualche modo rappresentava una citazione di Billy Batson, alter ego del primo capitano della Fawcett, chiamato però “Baxton”. La vita editoriale del secondo Capitan Marvel fu molto breve. Solo quattro albi nel 1966. Ma la dinastia dei Capitani Meravigliosi era lungi dal concludersi. La Marvel sarebbe presto arrivata a dire la sua. E avrebbe declinato la ricetta fino allo sfinimento. Non senza ammiccare al prototipo che era arrivato per primo...







giovedì 26 luglio 2018

Capitani Meravigliosi - 1


Di personaggi chiamati "Capitan Marvel" ce ne sono stati più di uno. La loro storia è complessa e si dipana nel corso di decenni. Quello che oggi conosciamo come SHAZAM nasceva negli anni 40 sotto il marchio Fawcett Comics (due anni dopo l'esordio editoriale di Superman) e inizialmente si chiamava Capitan Thunder. Nome che fu presto accantonato perché echeggiava le generalità di un altro personaggio edito da un'etichetta concorrente. L'eroe diventò così Capitan Marvel (Shazam era solo la parola magica che pronunciava per trasformarsi, e il nome del mago che lo aveva investito dei suoi poteri). Capitan Marvel nasceva dichiaratamente come emulo dell'Uomo d'Acciaio di casa DC, cui si contrapponeva per la sua natura magica invece che fantascientifica (Superman è un alieno, Capitan Marvel è un adolescente terrestre scelto come campione da forze esoteriche). Sorprendentemente, negli anni quaranta, le vendite di Capitan Marvel superarono quelle di Superman (fu anche il primo supereroe a diventare protagonista di un serial in live action). La DC Comics fece causa per plagio alla Fawcett Comics e la disputa legale sarebbe durata molti anni. Una prima sentenza vide prevalere la Fawcett, ma la DC ricorse in appello, e per la Fawcett, indebolita anche dalla crisi che negli anni 50 fece crollare le vendite dei fumetti di supereroi, le cose si misero male. Capitan Marvel chiuse così i battenti, generando un vuoto legale di cui sarebbe giovata la Marvel Comics, registrando il nome dell'eroe e garantendosene il futuro utilizzo. Quando, anni dopo, il personaggio fu acquisito dalla DC ed entrò a far parte del suo parco testate, il nome Capitan Marvel non poteva più essere usato. Ed ecco nascere "Il potere di Shazam", titolo di testata per l'eroe che nelle storie continuava a chiamarsi Marvel, ma sempre più di rado. 
Ma di Capitan Marvel, non solo targati Marvel Comics, ce ne sarebbero stati altri...

martedì 24 luglio 2018

Madre!


Ho finalmente visto "Madre!" ("Mother!" di Darren Aronofsky). Film fischiato dai più alla Mostra del Cinema di Venezia del 2017, chiacchieratissimo e sfortunatissimo al botteghino. Mi sento quasi in colpa a dire che nel vederlo mi sono 
divertito. Non nel senso che mi abbia fatto ridere (è parecchio disturbante), ma per dire che oltre ad apprezzarlo per intenti e confezione, è stato per me un piacere cogliere le tante parentele estetiche formali. Il teatro dell'assurdo di Harold Pinter, il cinema surrealista di Luis Buñuel, e da un certo momento in poi anche il Ken Russell più allucinato e rabbioso. In qualche atto del film mi sono persino identificato nel personaggio della bravissima Jennifer Lawrence, intrappolata in un menage di cui non ha il controllo. Un incubo allegorico e disperato che non può oggettivamente essere per tutti. Opera difficile da inquadrare, navigando in territori ambigui, tra la commedia nera, il dramma surreale, il thriller psicologico e persino l'horror. Un crescendo grottesco che diventa minuto dopo minuto devastante. Forse un film non perfetto, ma sicuramente un esperimento affascinante e una visione che resta a fermentare dentro dopo la visione. Una sfida cinematografica notevole, per il regista e per lo spettatore.

giovedì 19 luglio 2018

Arriva un bastimento carico di...


Arriva un bastimento carico di...
un'altra grande donazione fumettistica, scortata da un companion che porta il nome di un messaggero celeste, è in viaggio per Palermo, e presto raggiungerà la Biblioteca Salvatore Rizzuto Adelfio. La donazione precedente (ancora in fase di archiviazione) si caratterizza per la prevalenza di titoli italiani e argentini. Questa per molti classici americani. Il sogno di un centro culturale che offra gratuitamente la possibilità di leggere fumetti si arricchisce sempre di più, ed è sempre più vario. Stiamo lavorando sulla struttura affinché possa ospitare al meglio tutti i nuovi titoli (sì, c'è anche l'edizione cartonata di Watchmen e tanta altra roba interessante). Siamo veramente contenti e grati. Grazie a tutti coloro che ci supportano donando fumetti e libri o con piccole somme sul conto Paypal: http://paypal.me/altroquandopalermo
Fai buon viaggio, Gabriele. Ti stiamo aspettando a braccia aperte.
Ci sarà sempre un altroquando.

venerdì 13 luglio 2018

C'era una volta... il Festino di Altroquando



Con il Festino, la festa patronale di Palermo, ho un rapporto controverso legato a un ricordo difficile. Per molti anni, infatti, l'affollatissima ricorrenza cittadina è coincisa con un'incombenza lavorativa che condizionava l'intera serata. Altroquando era ancora una fumetteria, la prima ad avere aperto a Palermo, che si affacciava sullo storico Cassaro (via Vittorio Emanuele), tragitto principale del grande carro che celebra la santa patrona Rosalia e della moltitudine di palermitani che si riversa in strada per seguire gli eventi festivi. Altroquando era sì una fumetteria, ma era nata da un'edicola, ingrandendosi nel tempo, e ne conservava le funzioni e gli appuntamenti. Tra questi, il famigerato cassonetto dell'edicolante. Quel grosso baule metallico, spesso di colore verdastro, che molte garitte hanno annesso per ricevere le nuove uscite dei quotidiani e rendere le copie invendute agli operatori forniti di chiavi che arrivavano alle prima ore dell'alba (quindi con l'attività ancora chiusa). Nel nostro caso, il cassonetto era mobile. Veniva usato come piano d'appoggio all'interno della libreria durante le ore del giorno, riempito con il reso prima della chiusura e dunque incatenato all'esterno per la sera, in attesa del consueto scambio di quotidiani vecchi e nuovi. Un trantran che durava tutto l'anno con una sola eccezione. La notte del Festino.
Quella notte, Salvatore mi aveva spiegato sin dal primo giorno di lavoro, non si dormiva. Il cassonetto, infatti, non poteva essere lasciato all'esterno della bottega, per quanto saldamente incatenato alle tubature a destra dell'ingresso. Non per timore di improbabili furti, ma per evitare che venisse sfondato, o quanto meno gravemente ammaccato, rendendolo inservibile.
«Diventerebbe una tribuna rialzata per il pubblico,» mi disse. «In tanti ci salirebbero, in piedi, per guardare meglio il carro e poi i fuochi d'artificio a mezzanotte. Sarebbe un macello. E se qualcuno cadesse, o lo rompesse e si facesse male, sarebbe pure nostra responsabilità.»
Così il cassonetto restava al sicuro nel chiuso del negozio per tutta la sera. E soltanto dopo la mezzanotte, dopo i botti, quando la folla iniziava a diradarsi, potevamo finalmente metterlo fuori.
Le soluzioni possibili erano due. Riposare dopo la chiusura, puntare la sveglia per scendere a tarda ora ed eseguire l'irrinunciabile collocazione del cassonetto, pena la mancata consegna dei quotidiani, oppure resistere al sonno e partecipare alla festa generale, che ne avessimo voglia o no, fino all'ora magica. Più o meno mezzanotte, come Cenerentola.
Possiamo dire che la nostra partecipazione al Festino aveva qualcosa di forzato, eravamo praticamente ostaggio della ricorrenza. O meglio, del nostro lavoro e delle circostanze che la collocavano in una strada per questa cruciale.
I primi tempi era quasi divertente. Ma i giorni, gli anni, le Estati non sono tutte uguali. La fatica del lavoro, il caldo, il non poter tornare a casa fino a notte inoltrata dopo aver superato l'orario di lavoro, a volte pesava. Qualche volta ci capitò anche di non farcela, di cadere addormentati sul divano dopo aver cenato ed essere svegliati dal fragore dei fuochi d'artificio. Tuttavia, quasi sempre, io e Salvatore eravamo in strada, a fare il bagno di folla. Cosa che personalmente odiavo (non che lui l'amasse, ma disponeva di qualche anticorpo in più) e affrontavo come un sacrificio necessario.
Oggi ci penso a ogni nuovo Festino. Oggi che, se scrivo queste righe, devo spiegare per bene di quale tradizione sto parlando, perché Altroquando è diventato un'idea, una filosofia di vita che mischia cultura, passione fumettistica e attivismo, orfana di una bottega che non esiste più, e tra chi mi legge ci sono molte persone che vivono fuori dalla Sicilia, e seguono le mie iniziative solo attraverso il filtro della rete, di Youtube.
Il Festino ha quindi per me un sapore agrodolce. E strano, ora che vivo lontano dal centro città che per tanti anni è stato casa mia e di Salvatore. Forse mi piace un po' ricordare quella fatica, quella noia, quel caldo e quella folla. Mi piace ricordare quel fastidio, quella seccatura. Mi piace continuare a odiare quell'onere lavorativo, anche perché, per come la natura mi ha fatto, non dimentico quasi niente e rivedo tutto (nel bene e nel male) come un film nella mia testa.
Se vorrei riviverlo? Vorrei poter rispondere di sì... o di no. Difficile dirlo. In fondo lo rivivo già. In ricordi cui non potrei rinunciare neanche se volessi. Mi piacerebbe, però, che quanti vivono ancora in quella zona, mentre passeggiano per il Cassaro, dietro il carro di Santa Rosalia o con il naso all'aria per vedere i giochi di fuoco, si ricordassero del nostro negozio quando passano di là. Si ricordassero di Salvatore e che cosa rappresentava per lui, per noi. E ricordassero che faccio di tutto affinché questa memoria non vada perduta. Perché i tempi cambiano. Le strade mutano faccia, le tendenze pure, ma la forza di certe passioni resta il carburante di tutte le cose più importanti. Il miracolo della Santuzza che vinse la peste è in fondo una metafora di sopravvivenza e rinascita. Rinascita di una città, ma anche delle sue tante anime. E bisogna andare avanti nonostante tutto.
Buon Festino, dunque. Perché ci sarà sempre un Altroquando a Palermo.

Cittacotte: Nuovomondo




NUOVOMONDO

Nuova apertura del sipario, nuovi applausi, un nuovo mondo e una nuova Santa Rosalia. Ulteriore capitolo, in questa Estate 2018, per la tradizione palermitana che ormai da molti anni impegna mastro Vincenzo Vizzari e la sua bottega Cittacotte in via Vittorio Emanuele 120, in occasione della festa patronale del Festino. Una santa patrona sempre trasfigurata secondo sensibilità artistiche mutevoli, che attingono al surrealismo come alla cultura pop e alla tendenza che oggi potremmo definire mash-up, l'ibridazione di icone di origine eterogenea.

Un “Nuovomondo” che potremmo considerare un augurio, un auspicio. Ma anche una sfida ai tempi bui che viviamo, e che apre a una luce di speranza dopo le prove degli anni passati, dove la Santuzza appariva schiacciata sotto il peso di una Palermo in pieno degrado, soffocata dai rifiuti e dal caos, ma anche scintilla che si appellava al senso di solidarietà dei palermitani per la tragedia dei migranti, esortante a ritrovare una perduta (oggi anche schernita) umanità.


Nuovomondo, si discosta dalle prove degli anni precedenti. Ma senza fare passi indietro. Scegliendo stavolta colori pastello alle tinte forti (in senso sia plastico che emotivo) delle trascorse rappresentazioni. Affidandosi a un registro più intimista e classico e proponendo un ponte concettuale tra passato e un auspicabile futuro. Il fondale, con Monte Pellegrino separato dalla santa dal mare, non va sottovalutato. Suggerisce un viaggio, un percorso, e il superamento di un limite. Quel mare, stavolta calmo, ma anche deserto in modo inquietante, pare collegarsi sottotraccia all'opera precedente, intitolata “Per Terra e per Mare...”. Quasi a dire che l'apparente quiete nasconde in realtà una profonda tristezza. Rammarico per quello che dovrebbe essere e non è. Lo leggiamo negli occhi chiari di Rosalia, stavolta ritratta con il volto di Franca Florio, figura storica ed emblematica della memoria siciliana. Moglie dell'armatore Florio, donna di cultura (quella cultura che oggi è spesso spregiata a favore delle pulsioni meno ponderate). Amante dell'arte e adorata per il suo fascino e la sua intelligenza da artisti come Gabriele D'Annunzio, Ruggero Leoncavallo, Giacomo Puccini. Protagonista, in questo 2018, con il ritorno in patria del celebre ritratto realizzato dal pittore Giovanni Boldini, opera che l'artista modificò più volte tra il 1901 e il 1924.

Il ritorno del quadro a Palermo, esposto la scorsa Primavera a Villa Zito, la storia della lunga genesi del dipinto con le sue svariate trasformazioni, il noto amore di Franca Florio per la bellezza, la natura e le arti, la sua relazione con il mare e l'imprenditoria a questo legata, nelle mani dell'artista Vincenzo Vizzari realizzano un simbolo complesso che cuce letteralmente i fasti perduti della Belle Epoque palermitana con una speranza di cambiamento e di pace. Coronato da un manto floreale fatto di pomelie, gelsomini e rose. Fiori molto diversi tra loro, eppure perfettamente integrati come cornice di un esempio di bellezza intelligente (o bellezza dell'intelligenza, se vogliamo). Le farfalle sono da sempre simbolo di rinascita, e non potevano mancare nella rappresentazione di un nuovo mondo ideale. Magari posate su una mano accogliente, che si protende per proteggere una città-pianeta tuttora compressa, chiusa, a suo modo blindata e soffocata pur nella sua potenziale bellezza. Protetta, da un gesto morbido che la sfiora senza però toccarla. Una simbologia ambigua, che unita allo sguardo malinconico e sostanzialmente rivolto atrove della santa patrona, sembra esprimere anche un lamento. Lamento per una bellezza ancora prigioniera, non del tutto redenta, che si presenta gloriosa ma metallica, bellicosa e spietata come una palla di cannone. Forse incandescente, magari sul punto di esplodere, che Rosalia non osa toccare, meditando sul nuovo mondo che verrà. Chiedendosi chi mai saprà riconoscere la vera bellezza, e realmente oserà liberarla, andando oltre la fierezza ottusa di un fortino ancora chiuso in se stesso.


Auspichiamo, tra tanti possibili cambiamenti in un mondo che più che nuovo arranca nei suoi errori passati, che l'arte di Vincenzo Vizzari possa infine toccare le corde delle sensibilità giuste e guadagni, oltre a ispirare sempre riflessione, uno spazio dove le sue opere possano essere ammirate e studiate come meritano.


Viva Palermo e Viva Santa Rosalia.

giovedì 12 luglio 2018

E la biblioteca cresce...


 Una meravigliosa e cospicua donazione alla Biblioteca Salvatore Rizzuto Adelfio di Palermo. Collezione di Frigidaire e Cannibale. La Compagnia della Forca, prima edizione. Cybersix edizione Eura. Ed è solo l'inizio di un grosso arrivo che sta raddoppiando il nostro patrimonio fumettistico che sveleremo un poco alla volta. Stiamo lavorando per ridefinire lo spazio con nuovi scaffali. La nostra biblioteca continua a crescere. Grazie a chi ci crede. Ci sarà sempre un altroquando.