martedì 12 settembre 2017

Twin Peaks - Il Ritorno: una riflessione finale


L'esperienza “paratelevisiva” (nel senso che per contenuti e forma è più prossima al cinema che alla televisione, per cui è stata realizzata) della “terza stagione” di Twin Peaks si è conclusa. Definitivamente, pare. Niente quarta stagione all'orizzonte, a meno che David Lynch non abbia un'imprevedibile (e improbabile, a questo punto) ripensamento. Un'esperienza allo stato delle cose premiata dalla critica e in ottima parte dal pubblico, pur collocandosi in quella nicchia estranea a giochi dei troni e altri fenomeni più fisiologicamente destinati al vasto pubblico.

Una conclusione, a distanza di ventisette anni, da quella “soap d'autore”, come fu definita, bruscamente interrotta, da quei compromessi tra regista e produzione che inquinarono un evento che avrebbe comunque fatto la storia della televisione e cambiato le regole per molti prodotti che sarebbero venuti dopo. Una conclusione destinata a far discutere appassionati e detrattori. Che sta già facendo discutere, e che merita una riflessione dopo diciotto episodi di grande impatto visivo e concettuale.



Inevitabili, per quanto vaghi, gli spoiler. Pertanto se chi legge non ha visto l'intera serie, è consigliabile fermarsi qui e non procedere nella lettura. Sarebbe un peccato. Qualunque cosa possiate avere sentito, qualunque cosa potreste commentare voi stessi a visione ultimata, che il modo di Lynch di fare cinema e televisione vi piaccia o no. Si deve partire da un fatto. Ai tempi della serie classica, Lynch aveva già un suo stile formato e il suo astro artistico era in ascesa. Non aveva comunque raggiunto l'acme della notorietà e il potere contrattuale di oggi, e questo giocò a discapito delle sorti delle prime due stagioni di “I segreti di Twin Peaks”. Questa nuova serie, dunque, la si può intendere non soltanto come un sequel (o terza stagione), ma anche come una sorta di riscossa artistica. Riscossa nei confronti di un mezzo che aveva in buona parte tarpato un potenziale espressivo troppo rivoluzionario per gli anni in cui arrivava in televisione, influenzandola in ogni caso per sempre.

La domanda che sorge spontanea, che in tanti si fanno... anzi, che in tanti formulano non come quesito, ma piuttosto come affermazione per liquidare il tutto, sarebbe: la narrazione di Lynch ha un senso enigmatico da interpretare o non ha senso alcuno e si limita a un mero delirio visivo? Ma anche: David Lynch conosce davvero il significato di quanto mette in scena o il suo intento è rappresentare i propri incubi affastellandoli a caso con il solo intento di disorientare lo spettatore?

A mio modesto parere, la risposta è...

Chi se ne frega?!



L'arte nel suo complesso, cinematografico, fotografico, pittorico, letterario, si stacca dal suo autore nel momento stesso in cui è posta in essere, e giunge a chi la fruisce come un'entità separata e senza difese, pronta a essere valutata, interpretata, gradita o aborrita. I casi di artisti che producono senza avere la piena consapevolezza di quanto stanno dicendo, in realtà, non si contano. E questo non sottrae nulla (quando c'è, ovviamente) alla qualità della loro arte, e alla possibilità di chi la osserva di decifrarla a modo proprio. Anzi, fa parte del gioco e coinvolge in esso lo spettatore-lettore-ascoltatore. Lo invita farne parte, a diventare autore egli stesso. Dunque è del tutto irrilevante che Lynch abbia architettato ogni singolo dettaglio del suo puzzle (cosa che secondo me ha fatto) o si sia affidato ciecamente alla sua febbre creativa.

“Twin Peaks – Il Ritorno” si presenta come un'opera complessa e dalle molteplici sfaccettature. E' un sequel, e nello stesso tempo è un'opera diversa, che percorre le strade (perdute) della maturità di Lynch. Un'opera trasognata che rilegge i feticci della serie classica in un'ottica più dichiaratamente surreale, chiudendo trame lasciate aperte e aprendone altre che forse non si chiuderanno mai, ma che hanno comunque una loro forte ragion d'essere.

Se la serie classica faceva del tema del doppio (a partire dal titolo) il suo spunto portante, il mosaico di David Lynch qui rivela nuovi incredibili aspetti. Il concetto di “vivere in un sogno”, che cita dichiaratamente Jorge Louis Borges, è soltanto la punta dell'Iceberg. La Loggia Nera, fucina di doppelganger e le tante vite parallele di personaggi vecchi e nuovi, acquistano qui un significato ben più ampio della “dimensione oscura” simbolo del male assoluto descritto nella serie originale. La chiusura di cicli narrativi e il voluto spezzarsi di altri non è casuale e risponde a una simbologia precisa. Così come la metanarrativa che pervade l'intero racconto. A volte scoperto (la partecipazione di Monica Bellucci che interpreta se stessa, o la malattia della signora Ceppo, interpretata dall'attrice Catherine E. Coulson, realmente in fin di vita durante le riprese), altre sottinteso e quasi pirandelliano. Vediamo l'agente Cooper emergere dalla dimensione della Loggia dopo venticinque anni, ma a sorpresa il suo ritorno non trova ad attenderlo soltanto il doppelganger posseduto dallo spirito malvagio di Bob. Già il personaggio di Dougie Jones è dissonante, e sin dall'inizio ci chiediamo la necessità del suo ruolo, il perché di un'ulteriore vita parallela, la ragion d'essere di questa terza incarnazione dell'agente dell'F.B.I. rimasto intrappolato nella Loggia. L'accenno alla parentela di Janey-E, la moglie di Dougie, con l'assistente di Cooper, Diane (la quale afferma che lei e sua sorella hanno intrapreso strade diverse tempo prima e non si sentono da anni) è una chiave di volta. L'indizio dell'esistenza di un cosmo fatto di universi narrativi paralleli che possono sfiorarsi, intrecciarsi, ma rimanendo distinti. Un universo cui appartiene, a suo modo, anche lo spettatore che sta seguendo la serie.

Il viaggio nel tempo di Dale Cooper e il salvataggio di Laura Palmer, dal cui assassinio tutto aveva avuto inizio decenni prima, rapresenta il coronamento del quadro metanarrativo dipinto da David Lynch. Laura non è mai morta, Pete Martell non ha mai trovato il suo cadavere in un sacco di plastica, il corso della storia dovrebbe essere cambiato. Tutto sembra combaciare, ma non è così semplice. A David Lynch non basta fornire questa risoluzione rassicurante della sua opera. Offre invece allo spettatore la possibilità di una scelta. Scegliere dove fermarsi, quale finale eleggere a vera conclusione, ma con la consapevolezza che un finale definitivo non potrà mai esserci. In una linea temporale onirica, Cooper ha evitato la morte di Laura. Ma lo svanire di lei nelle tenebre del bosco e l'eco del suo urlo (proveniente da dove, da quando?) è presagio di altre tragedie. Vediamo quindi Cooper tornare, come aveva promesso, da Janey-E e da suo figlio, e salutarli riassumendo la parlata incerta di Dougie. Un finale tutto sommato lieto, dove l'eroe ha concluso la sua missione, ha salvato la vittima e scofitto le forze del male.

Chi vuole, può accontentarsi di questo.

Ma il discorso cinetelevisivo di David Lynch frantuma ogni regola e va oltre, così come William Burroughs nel suo “Pasto Nudo” infrange schemi letterari e linguistici per creare un proprio mondo. I doppelganger non sono più soltanto dei doppi, malvagi o buoni, ma vere e proprie possibilità alternative per i personaggi, e i cammini ramificati che possono intraprendere sono infiniti.



Lo shock finale ci era già stato anticipato dalla conclusione della delirante storyline relativa a Audrey Horne. Dopo un lungo dialogo debitore alla tradizione del teatro dell'assurdo con un marito che non c'era dato conoscere, alla ricerca di un amante perduto che non conosceremo mai (ma che porta il nome dell'attore Billy Zane, interprete di un interesse amoroso di Audrey nella serie originale), Audrey si ritrova a danzare in un locale pubblico sulle note del tema musicale di Angelo Badalamenti a lei dedicato. Tema che fino a quel momento della serie contemporanea non avevamo ancora sentito. E tutto a un tratto si sveglia ritrovandosi in camice bianco, in una stanza bianca, confusa, spaventata. Un'altra realtà possibile, insomma. E non è neppure detto che la Audrey che abbiamo visto fino a pochi secondi prima fosse la stessa che ricordavamo.

Potrebbe significare che Audrey non era mai uscita dal coma in cui era entrata dopo l'esplosione alla banca avvenuta quasi trent'anni prima, e che tutto quello cui abbiamo assistito fosse un sogno che preludeva al suo effettivo risveglio nel presente. Ma non solo. E adesso viene il peggio. O il meglio, a seconda dei punti di vista.

L'ultima puntata, che potremmo considerare una nota conclusiva, una sorta di epilogo, ci mostra un Cooper più ambiguo che mai, di nuovo scisso da Dougie, consumare un rapporto sessuale con Diane per poi destarsi in quella che si rivelerà essere una realtà alternativa. Non una linea temporale modificata, come il finale dell'episodio precedente avrebbe potuto lasciare intendere, ma qualcosa di ben più alieno. Il biglietto lasciato da Diane, in cui chiama Dale e se stessa con nomi diversi, è un indizio abbastanza evidente che qualcosa non torna. Il ritrovamento di Laura Palmer, che non si chiama Laura, ma è ugualmente perseguitata da una scia di morte e distruzione, ricorda l'entrata in scena della seconda versione di Kim Novack ne “La donna che visse due volte” di Alfred Hitchcock. Una donna uguale eppure diversa. Diversa, ma che potrebbe comunque essere la stessa, o almeno diventarlo. La metanarrativa di Lynch raggiunge il suo apice se si considera (cosa che lo spettatore occasionale non può sapere, o perlomeno non da subito) è il ritrovarsi, una volta giunti a Twin Peaks, presso la casa in cui Laura era vissuta, di fronte alla donna che è l'effettiva proprietaria della location nella vita reale. Ma aldilà del gioco civettuolo, volto a stuzzicare gli appassionati esegeti dell'opera, è presente un'esca intellettuale molto più concreta. Il nome della donna e quello dell'uomo (invisibile per lo spettatore) cui lei si rivolge chiamandolo “Tesoro”, sono gli stessi delle due presenze demoniache, nonna e nipote, presenti nella serie classica.

A quel punto lo smarrimento è totale, sia per lo spettatore che per il personaggio di Cooper (che possibilmente ha riconosciuto i nomi che gli sono stati riferiti) e chiede stordito: «In che anno siamo?»

La voce echeggiante di Sarah Palmer che chiama il nome della figlia, le luci della dimora che si spengono di botto e l'urlo terrorizzato di Laura (lo stesso che abbiamo sentito in lontananza nella puntata precedente) suggellano la fine, probabilmente definitiva, di Twin Peaks.



Cosa vorrebbe dire?

Che Twin Peaks è una grande metafora onirica sulle storie e sui modi possibili di raccontarle. Che la vita, così come nelle “soap” (anche quelle d'autore) non tutto ha sempre senso compiuto, e che le vicende dei personaggi che sfioriamo possono avere una conclusione come esplodere e scomparire a un tratto in una bolla di sapone (sì, “soap”). Perché non sempre nella vita ci sono risposte, e non è sempre il caso di pretendere che le narrazioni seguano regole differenti. La Loggia Nera, più che una dimensione di puro male, è un crocevia del caos. Un punto da cui partono e convergono storie e personaggi che possono manifestarsi in più versioni, una quantità infinita di letture e possibilità alternative, in un ciclo senza fine. Una narrazione mutevole, che potremo ritrovare altrove, in altre storie, di cui Lynch ci mostra gli ingranaggi e il potenziale multiforme. Ma anche i suoi feticci, i suoi archetipi. Come la lotta tra il bene e il male, qui raffigurata dalla dicotomia dei volti di Sarah e Laura Palmer che si aprono mostrando il primo oscurità, l'altro luce. E Laura stessa, salvata in una possibile dimensione narrativa dopo essere stata vittima in quella originale, potrebbe tornare a soccombere, in quanto personaggio iconico, vincolato dalla dinamica delle storie secondo la quale qualcosa di brutto deve accadere affinché la narrazione trovi il suo innesco. Vittima sacrificale necessaria per continuare a narrare altre storie. Comprensibile che Laura-Carrie urli davanti a una spirale infinita di tribolazioni senza le quali non potrebbe esserci racconto.

«Continuo a precipitare per l'eternità» diceva il personaggio nel film-prequel “Fuoco cammina con me”.


Questa la mia personale lettura della “terza stagione” di Twin Peaks. Una lettura che non necessita dell'avallo del regista-autore (qui interamente al timone rispetto all'esperienza di tanti anni fa). E che lascia il tempo che trova, restando la poetica di Lynch qualcosa di criptico e sfuggente, e proprio per questo affascinante.

In passato è stato scritto che «David Lynch o lo si ama per quello che è o lo si rifiuta in blocco.»
Personalmente sono contrario a questa estremizzazione. E non è neppure il caso di offendersi se altri non apprezzeranno la particolarità della narrazione Lynchiana. E' un fatto culturale, inteso come bagaglio di esperienze e forma del gusto dello spettacolo. David Lynch non sarà mai un autore popolare. Non potrà mai mettere tutti d'accordo. E tutto sommato, è una fortuna che sia così.

Non avremmo avuto, altrimenti, opere cinematografiche di rara potenza, e nemmeno questo ritorno a Twin Peaks, del quale certamente si discuterà ancora a lungo.

domenica 10 settembre 2017

IT's FANTASTIC! (ma non solo)



Posso raccontarvi una storia?

Allora... C’era una volta... Ma che storia! Non è una storia normale: questo è un fumetto! Anzi una storia su un fumetto. Meglio ancora, un fumetto che racconta la storia di come potrebbe nascere un fumetto. Che poi, è più che altro la storia di come potrebbe nascere un fumettista, e un fumettista è uno che fa fumetti. Ma un fumettista... è fumettista se fa fumetti... o solo se riesce a pubblicarli? E se li pubblica e basta, è un fumettista o diventa un fumettista solo se qualcuno legge i suoi fumetti e fa partire il passaparola?

Dunque questo è un fumetto che parla di fumetti e di autori di fumetti che non sono autori di fumetti però vorrebbero diventarlo. Ma è anche un fumetto che gioca con altri fumetti e altri media, con stili di fumetto differenti e racconta quindi una storia più grande, fatta di segni, di tipi umani che potremmo incontrare in un fumetto come in un cartone o in un anime... o nella realtà.

Confusi? Calma. Abbandoniamo il citazionismo e Pierino e il Lupo, e ci scusi il buon Prokofiev.
Il punto è che stiamo parlando davvero di un'operazione bizzarra e ibrida, metafumettistica e sotto certi aspetti ammicante al crossmediale. Uno scherzo della Cyrano Comics posto in essere da Enrico Martini alla sceneggiatura e da una ciurma di giovani illustratori (Gabriele Bagnoli, Elisa Ferrari, Michele Righetti e Aldo Tocci) che hanno dato vita a una vera e propria trilogia (It's Fantastic!, It's Problematic!, It's Karmatic!) per descrivere sogni, delusioni, incidenti, speranze e goffaggini di un aspirante autore di fumetti in un contesto a cavallo tra realtà e fantasia, fino a una conclusione spumeggiante che è meglio lasciare dietro le quinte per chi ancora non si è accostato alla lettura.

Se parlando dell'odissea di un fumettista e di contenuti “meta” è impossibile non pensare a Bakuman di Tsugumi Oba e Takeshi Obata, la trilogia che ha inizio con It's Fantastic! conquista una sua identità grazie a un ritmo agile e a una spensieratezza di fondo che colloca il racconto in una dimensione fiabesca, dai toni fracassoni ma tutto sommato ottimisti, dando vita a un piacevole incrocio di stili per quanto riguarda forma e contenuti.


La storia del giovane studente Jonny Faben, del suo amico Ted e dello strampalato clan familiare che lo supporta, rimanda dichiaratamente allo shonen e al cammino iniziatico fatto di inciampi, ruzzoloni e ripresa che i protagonisti affrontano in questo specifico genere giapponese. C'è una ciurma di “losers” solidali (figura amatissima nell'immaginario orientale) in grado, pur sbagliando, di realizzare l'impossibile. Ma c'è anche un ritmo che oltre i manga si rifà agli anime, con soluzioni grafiche surreali che figurerebbero bene in un prodotto animato (in molte scene, leggendo, si ha la sensazione di sentir partire un jingle musicale o il suono di un'onomatopea beffarda). La Cyrano Comics non è sicuramente nuova a operazioni del genere. Cioè la produzione di fumetti italianissimi, ambientati in un'Italia che sembra il Giappone (del resto le nuove generazioni hanno avuto circa trent'anni per iniziare a introiettare feticci, look e vezzi originari della cultura asiatica), e fare da banco di prova a giovani artisti (ognuno dei tre capitoli è illustrato da un disegnatore diverso) palesemente cresciuti a pane e manga.

La trilogia It's Fantastic!, It's Problematic!, It's Karmatic! è una simpatica sinfonia allegra, ben confezionata, che celebra e nello stesso tempo canzona bonariamente il mondo nerd e le dinamiche, spesso caotiche dell'establishment fumettistico. Ma presenta, a sorpresa, anche altri rimandi, coinvolgendo istituzioni e canali che interessano l'universo dei fumetti e dei suoi fruitori sotto ulteriori aspetti. Aspetti, ovviamente, editoriali, ma anche dal punto di vista degli eventi pubblici ormai mitizzati nella percezione di noi italiani e personaggi che in qualche modo da questo ambiente sono stati influenzati e a questo media devono la loro identità pubblica.


Insomma, il trittico della Cyrano è un godibile divertessemant, un esercizio di stile promettente e un riuscito omaggio a tutta la tradizione manga-anime che ci ha cresciuti. Una lettura che piacerà soprattutto ai lettori più giovani, che maggiormente potranno immedesimarsi in Jonny e i suoi compagni di strada, condividendone sogni e inciampi. Ma che fa ben sperare lettori più maturi, davanti a una prova di scrittura e di disegno che può (e a questo punto deve) maturare ancora, dimostrando che, aldilà dei prestiti culturali, una fucina di giovani talenti in Italia esiste, ed è viva e vitale.

sabato 9 settembre 2017

Sogni Lucidi: Incubo e Spasimo


Diario del Capitano, data bestiale 09.09.2017

E' un po' che non parlo dei sogni lucidi. Il fenomeno in base al quale è possibile acquistare durante il sonno la consapevolezza di sognare e prendere in qualche modo il controllo del proprio viaggio onirico. Come dico sempre, sono un pessimo discepolo di questa pratica, che prevederebbe esercizi, meditazione e la scrittura regolare di un diario dei sogni. Inoltre, era qualche mese che non vivevo più esperienze simili. Dopo una fase di intensa attività onirica, il tutto si era dissolto come neve al sole e i miei sogni erano tornati a essere evanescenti e inafferrabili.

Senza preavviso, la scorsa notte è successo di nuovo.
Stavolta non è stato esattamente piacevole, ma comunque interessante.
Il sogno consisteva nel mio incontro con una persona cara che non è più tra noi. Un camminare insieme per luoghi che erano un delizioso ibrido di realtà e fantasia. L'incantevole rudere della chiesa dello Spasimo a Palermo, nella dimensione del mio sogno, si apriva su un'icantevole spiaggia sotto la luce di un incipiente tramonto. Dettagli buffi, ma affascinanti, consistevano in contaminazioni contemporanee tra i resti di una chiesa costruita nel XVI secolo. Come residui di una Disneyland di epoca classica, anche questa decaduta e recante i segni del tempo. Rammento una statua in pietra, simile per aspetto allo stile greco, ma raffigurante Mickey Mouse. Un Topolino bianco sasso che si stagliava a pochi passi dalla spiaggia. Evidente gancio alle mie attività quotidiane legate al mondo dei fumetti e della cultura pop.

La passeggiata con la persona a me cara si snodava per questo ambiente che mutava ogni volta che si girava un angolo. Lo Spasimo-Disneyland diventava a tratti un'abitazione moderna con vista sul mare. Praticamente una sintesi tra monumento storico e confort molto piacevole, almeno in ambito onirico. A un tratto, però, le cose cambiavano. Mi ritrovavo solo, e guardandomi il polso notavo qualcosa di strano. Portavo il mio orologio intorno al polso destro (cosa che non è nelle mie abitudini) e il quadrante era completamente rovesciato. Notavo questa stranezza anche nel sogno e iniziavo a slacciare il cinturino per guardare meglio l'orologio, conscio che significava qualcosa.

La disciplina meditativa che accompagna la ricerca dei sogni lucidi prevede l'uso di un totem di riferimento. Un oggetto che si conosce bene, con un preciso funzionamento, che dovrebbe segnalarci con le sue possibili variazioni che ci troviamo immersi in un sogno. Il mio nano gestalt, però, quello che in posizione orizzontale acquista le sembianze di un uccello, non era con me. In qualche modo l'orologio ne stava prendendo il posto, ma non mi sono subito reso conto del significato dell'avvertimento.

Lo scenario era ormai diventato una grande casa con terrazzo e ormai fuori imbruniva. Ormai ero rimasto solo a percorrere quello scenario, e molto presto, il sogno si sarebbe trasformato in un incubo. Andavo per uscire sul terrazzo e mi trovavo davanti a una scena inquietante. Due persone di mia conoscenza (non vicinissime e non frequentazioni abituali) si trovavano immobili ai lati del terrazzo. Dritti e fermi come statue. Erano loro, potevo riconoscerli, ma nello stesso tempo non lo erano. Nei loro visi riconoscevo delle distorsioni molto simili a quelle che si possono vedere nelle immagini meme relative alla creepypasta Zalgo. Occhi simili a pozzi neri incavati e sanguinanti, lineamenti impietriti in espressioni prime d'emozione. Per farla breve, diciamo che la sensazione era quella di trovarsi di fronte a due zombi per il momento immobili, ma che sembravano prepararsi ad attaccarmi. Iniziavo a sentire dardeggiare la sensazione sgradevole di minaccia e tornavo in fretta sui miei passi per sottrarmi alla vista di quelle creature. Quindi, un lampo. Ricordavo di aver guardato l'orologio e il suo quadrante rovesciato in modo del tutto improbabile.

Adesso ero consapevole di trovarmi in un sogno, e che il pericolo era irreale. Permaneva però un senso di angoscia per niente piacevole. Decidevo pertanto che volevo svegliarmi per uscire da quello scenario prima che l'incubo degenerasse. Ricordo di aver preso una cartella (molto simile a una cartella di plastica che uso nella realtà) e di averla scaraventata sul pavimento con l'intenzione di produrre uno shock che potesse svegliarmi. Niente. Allora mi inoltravo nella casa. Casa che aveva preso ad assomigliare sempre più al mio vero appartamento. Accendevo la luce nell'ingresso, battevo le mani, ma senza produrre suoni. Allora ho cominciato a schiaffeggiarmi ordinandomi di svegliarmi. Niente. Il sonno resisteva nonostante ormai fossi del tutto consapevole di stare sognando. Continuavo a muovermi per casa toccando di tutto alla ricerca di stimoli che mi agganciassero alla realtà, e finalmente vedevo accendersi la luce nella cucina, e sentivo i passi e la presenza di mia sorella intenta a preparare il caffè come ogni mattina. Ma non era ancora realtà. Solo il sogno che imboccava un sentiero di ritorno verso il risveglio.
Pochi istanti dopo questa tappa, finalmente, mi sono svegliato.

Bizzarra esperienza. Acquistare consapevolezza nella fase onirica, ma faticare a uscirne. Una cosa che ancora non mi era capitata. I sogni lucidi sono strani, ambigui, e non sempre facili da gestire.

Soprattutto da uno studente indisciplinato come me.

giovedì 7 settembre 2017

Voice Anatomy



L'eco spesso è più bella della voce da esso ripetuta” diceva Oscar Wilde.
Non è la voce che comanda la storia: sono le orecchie” rispondeva Italo Calvino.

Insomma, diamo “voce” a un'iniziativa cui tengo e per la quale vi invito ad aprire le orecchie. E a leggere. Anche se il testo è lungo.

Io non sono un attore. Non sono un doppiatore. E probabilmente non sono neanche uno “youtuber”.
Mi hanno tolto le adenoidi che ero già abbastanza grande, e la mia voce è rimasta nasale. Pur facendo un po' di teatro amatoriale da ragazzo, non ho fatto alcun tipo di studio in materia, e quindi resto la cornacchia gracchiante che sono. Nonostante questo, vi ronzo nelle orecchie cercando di dare voce ai fumetti, leggendol, “recitandoli” e cercando di farne l'oggetto di un gioco mediatico che possa andare oltre la fruizione più canonica di questo mezzo, di norma prettamente visivo.
Rimango comunque un soggetto improvvisato, un naif, e vorrei in questa occasione ringraziare e supportare un amico conosciuto proprio a causa di questa avventura. Un aspirante doppiatore che, a differenza del sottoscritto, ha già iniziato un cammino di studio e di formazione tecnica, e che più volte mi ha fatto sentire appoggiato e consigliato nel mio “abbaiare” sul Grande Tubo e in radio.
Altroquandiani, vi presento Alfredo Dino Capuano e il suo viaggio nel mondo delle voci che ci accompagnano nelle edizioni italiane di film e serie televisive, e il suo sogno che, considerato il potenziale che ben conosco, merita la vostra attenzione. Per questo, lascio ora la parola a lui, confidando che possa presto farvi sentire direttamente la sua... voce.
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Ciao, mi chiamo Alfredo, per gli amici più confidenzialmente Dino. Da circa due anni, mi sono dedicato con molta passione e amore, alla realizzazione di un sogno. Lavorare con la voce e nello specifico diventare doppiatore. Studio molto affinchè questo difficile obiettivo, un giorno, possa diventare realtà. Forse ance tu potresti aiutarmi, basta davvero poco. Domenica 10 settembre, parteciperò ad un contest indetto da Pino Insegno; doppiatore nonchè conduttore, della trasmissione Voice Anatomy. La trasmissione va in onda dalle 14:00 circa, sulle frequenze di Radio 24. Nel corso delle puntate verranno provinati dei talent, dai 6 ai 10 a puntata. Che reciteranno un monologo tratto da un film, la cui durata dovrà essere di circa 1 minuto. Verso novembre, più o meno, cioè dopo aver ascoltato un centinaio di aspiranti doppiatori; ne verranno selezionati 4 (due uomini e due donne). I vincitori avranno la possibilità di poter lavorare in altrettanti ruoli, PICCOLI RUOLI, in due film che alcune case di distribuzione (verranno rivelate allinterno del programma) hanno messo a disposizione. Naturalmente sara fondamentale il giudizio di una commissione interna, presieduta dallo stesso Pino Insegno, a decretare ci saranno i più meritevoli. Tuttavia avrà un certo peso anche il gradimento dei radio ascoltatori. Che attraverso un commento sulla pacina facebook della trasmissione (basta cercare appunto Voice Anatomy, potranno contribuire al successo di un talent preferito. Tutto qua! Se ti va di darmi una mano, e sopratutto se ascoltandomi ti piacerà il mio intervento, sarebbe importante per me avere un tuo feedback positivo sulla suddetta pagina tramite messaggio o attraverso un SMS al seguente numero dedicato di Voice Anatomy: 3492386666 . Non so esattamente quando ci sarà la mia esibizione, posso rivelare però che reciterò un monologo tratto dal film il "Miglio verde". Ringrazio tutti per l'attenzione.



martedì 5 settembre 2017

Quattro Dita (Three Fingers) di Rich Koslowski


Riscopriamo una perla del fumetto indipendente americano che ha fatto una fugace apparizione (grazie alle edizioni Prospettiva Globale) anche in Italia nell'ormai lontano 2008. Un "documentario a fumetti" profondo e cattivo. Graffiante e tragico. Divertente e shockante. Rich Koslowski realizza un capolavoro del fumetto ibridando più stili e dando alla sua opera una direzione satirica che affonda le zanne nell'industria di Hollywood e più generalmente denuncia senza mezzi termini la società dei consumi, il mondo dello spettacolo e il monopolio culturale del marchio Walt Disney. Un fumetto che forse è arrivato il momento di riscoprire, magari con un'opportuna ristampa. 

Riguardo "Alien Covenant" (e scusate il ritardo)

E... che dire?
Mi è piaciuto. Mi trovo risucchiato nel partito dei bastian contrari, dal momento che su quest'ultima fatica di Scott se ne sono dette davvero tante, spesso non proprio in termini positivi.
Certamente, è un film che porta il fardello di un'eredità pesante. Dal prototipo dello stesso regista ai vari seguiti, è ormai difficile che alcune situazioni non risultino già viste. Ma potremmo anche definirle "iconiche". Io l'ho trovato diretto benissimo. Ho apprezzato la componente horror più spiccata del solito e interessante la performance di Michael Fassbender.


Rammento (io c'ero) quando vidi il primo "Alien" nuovo in sala, e le prime recensioni. Quel primo film non fu subito acclamato dalla critica, e noto con un certo smarrimento che le critiche che sento oggi riguardo "Alien covenant" sono in linea di massima le stesse che allora furono mosse al film da cui tutto ebbe inizio. Interessante ricorso storico e sociologico sul quale mi sto interrogando. Diciamo che se "Prometheus" poteva non risultare gradito a una parte di pubblico per i suoi contenuti "ellittici" (possibilmente anche per la sceneggiatura cui contribuiva Damon Lindelof di Lostiana memoria), in cui molti dettagli venivano indicati con le immagini e non spiegati, "Alien covenant" mette le carte in tavola e poi le butta all'aria. Curioso, ma per una volta le chiacchiere in negativo mi hanno preparato alla visione del film facendomelo apprezzare di più (e chi mi conosce sa che non amo andare in controtendenza per il puro gusto di farlo).

martedì 29 agosto 2017

...e andiamo di meme


...e niente. Mi devo rassegnare, per adesso è il trend di tutti i pischelli che mi vedono per la prima volta. Esclamare: «Ma è George R. R. Martin?!» 🤪
Dopo una vita trascorsa a essere stato associato a:
Lucio Dalla (versione giovane, barbuto e senza parrucchino)
Luciano Pavarotti (in versione accorciata)
Giuliano Ferrara (di solito rispondo: "accetto di essere paragonato a un porco solo a proposito delle cose di letto".)
...per dirla alla siciliana, il buon Martin è "stidda ca mi curri".
Nessun problema, eh! Solo vent'anni di meno. Nessun problema. ☺️
Conferma a una gestalt che conosco da tempo. Per molta gente, i ciccioni barbuti si assomigliano tutti come per altri i neri e gli asiatici. 😏






 Valar Morghulis.